In questi giorni stiamo assistendo a un proliferare di commenti e di critiche sull’ennesima proposta di riforma del Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD). Poche settimane fa, difatti, è stato approvato in Consiglio dei Ministri lo Schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive al D.lgs. 179/2016, recante “Modifiche e integrazioni al Codice dell’amministrazione digitale di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n 82, ai sensi dell’articolo 1 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”.
In realtà sappiamo bene che l’attuale CAD approvato con il decreto legislativo del 7 marzo 2005, n. 82 non ha mai trovato pace ed ormai non si contano più le modifiche sostanziali e formali che lo hanno trasformato nel tempo: D. Lgs. 4 aprile 2006, n. 159, dalla legge 24 dicembre 2007, n. 244, dalla legge 28 gennaio 2009 n. 2, dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, dalla legge 3 agosto 2009, dal d.lgs. 30 dicembre 2010, n. 235, dalla legge n. 221/2012 (recante i principi dell’Agenda Digitale) e dalla legge n. 98/2013 (decreto del fare), d.lgs. n. 179 del 26 agosto 2016.
Perché tutte queste difficoltà?
Qual è la reale situazione delle amministrazioni pubbliche sul fronte dell’innovazione?
Si tratta di domande alle quali non è facile rispondere e che implicano necessariamente un’analisi approfondita dei meccanismi (non sempre logici) che sono alla base del corretto funzionamento della PA e delle reali esigenze che possono essere soddisfatte attraverso un’innovazione agile ed efficace. Il problema, ad avviso di chi scrive, non sta nell’adottare o meglio ancora affinare una particolare tecnica legislativa, ma nel comprendere e semplificare la macchina burocratica pubblica e renderla il più possibile vicino al cittadino. Solo in questo modo sarà possibile avere provvedimenti legislativi efficaci che, si badi bene, ogni qualvolta vanno a disciplinare tecnologie informatiche non saranno mai ineccepibili.
Bisogna capire, e questo il nostro legislatore lo ignora, che il tanto auspicato cambio epocale (ne stiamo parlano ormai da decenni) dalla carta al bit, non si ottiene solo per decreto!
Qui dobbiamo mettere in condizione gli operatori della P.A. di capire le norme, di comprendere perché è necessario digitalizzare le attività e dobbiamo tra l’altro fornire tutti gli strumenti non solo economici, ma anche culturali.
Allo stato attuale e mi dispiace dirlo, discutere della riforma del CAD e dei relativi aspetti critici è solo accademia, ma non rappresenta un reale contributo a vedere davvero realizzati i principi che sono alla base del Codice. Del resto abbiamo visto cosa è successo nel passato, grandi riforme come quella del 2010, ma risultati nulli. Mi viene, a questo punto, un atroce dubbio: ma chi propone queste riforme conosce come funziona un ufficio pubblico?
Sa davvero quali sono i problemi che affronta quotidianamente un funzionario pubblico?
Ho la netta sensazione che la risposta purtroppo sia negativa.
Di conseguenza, che ben vengano sicuramente le proposte di modifica (evitando però assurdi tecnicismi che mal si conciliano con norme di carattere generale, per questi ci sono le regole tecniche o quelle che l’ultimo schema di riforma definisce linee guida), il legislatore indubbiamente deve fare la sua parte, ma questo non basta, perché dobbiamo ottenere, con le buone o con le cattive, un altro importante e fondamentale cambiamento e cioè quello della mentalità del burocrate e credetemi questo non è affatto facile!
Una coscienza più aperta verso la digitalizzazione, determina quei necessari cambiamenti organizzativi indispensabili per attuare le norme che noi tanto ci sforziamo di riformare.
L’innovazione rappresenta, ormai, un fattore strutturale di crescita sostenibile e di rafforzamento della competitività delle imprese e la realizzazione di un simile obiettivo non può essere ormai più procrastinata per stare al passo con l’Unione Europea. Ma la digitalizzazione dei servizi rimane uno degli argomenti più complessi e di difficile realizzazione sia per il proliferare di norme che spesso disciplinano la materia in modo confusionario e non sempre attento sia per le concrete problematiche di carattere organizzativo e tecnologico.
In realtà bisogna comprendere che digitalizzare un servizio non è affatto semplice e quella che esternamente viene vista come una banale attività nasconde una serie di processi e trasformazioni a livello documentale e gestionale talvolta piuttosto complessi. Si tratta del c.d. back office necessario per ottenere un front-office davvero innovativo.
Difatti lo sviluppo di strumenti quali protocollo informatico, firma elettronica, SPID, uniti all’espansione dell’uso della posta elettronica, rende possibile la realizzazione di una gestione completamente automatizzata dei flussi documentali e la conseguente attuazione di profonde innovazioni nelle modalità di lavoro delle unità organizzative.
Bisogna, però, chiarire che la dematerializzazione o meglio il processo di informatizzazione della memoria documentaria, deve includere inoltre, per produrre risultati di qualche efficacia, il controllo sulla corretta formazione del documento e il governo del ciclo del documento in tutte le sue fasi incluso quello della conservazione: nessun processo di trasformazione può avere successo se non prevede la definizione di procedure e il controllo gestionale pianificato di tutte le fasi.
Appare, quindi, chiaro che la vera digitalizzazione in realtà non può ridursi a semplici attività di dematerializzazione dei documenti, bensì consiste nel faticoso e complesso intervento di semplificazione dei processi e di diminuzione delle fasi e dei passaggi del processo decisionale, come del resto indicato negli obiettivi della legge 241 del 1990 da ormai oltre 20 anni.
Tale situazione riguarda sia gli organi centrali che gli enti locali dove in molti casi il digitale è diventato una “delega” ad hoc, in capo al Sindaco o ad assessorati dedicati o, ancora, “spalmata” in più di un assessorato sulla base degli obiettivi: dai servizi e-gov ai progetti di smart city, dall’e-mobility all’e-inclusion, i “capitoli” sono tanti e prevedono risorse dedicate e roadmap puntuali.
Il compito, abbiamo visto che non è facile anche in termini di tecnica legislativa e d’altro canto laddove è presente l’innovazione tecnologica non potrebbe essere altrimenti, poiché è sempre difficile adeguare un rigido testo normativo al continuo progresso tecnologico specie in un settore come quello pubblico che non ha mai avuto nella flessibilità la sua caratteristica principale.
Ma andare avanti su questa strada è indispensabile per avere una Pubblica Amministrazione digitale davvero efficace.
Ma perché la P.A. ancora non riesce a raggiungere questi obiettivi apparentemente ormai alla portata di tutti?
Le motivazioni sono diverse ed alcune criticità sono state individuate già da tempo, ma proviamo a schematizzare questi c.d. punti deboli nella speranza di debellarli definitivamente:
- Carenza di formazione in materia e necessità di una “nuova alfabetizzazione informatica” coinvolgendo nell’iniziativa principalmente le figure dirigenziali.
- Aspetti organizzativi ancora da definire con l’individuazione di figure già previste dalla normativa (resp. conservazione sostitutiva, resp. privacy, resp. trasparenza, amministratore di sistema, DPO, ecc.). Tale lacuna è sicuramente dovuta alla mancanza di dipendenti qualificati per cui diventa fondamentale una formazione specialistica che allo stato attuale è del tutto inesistente (Si pensi, ad esempio, alla figura del DPO prevista come obbligatoria dal regolamento europeo n. 2016/679 sulla protezione dei dati personali, ebbene attualmente non c’è ente pubblico che abbia avviato seri percorsi di specializzazione in materia e la scadenza del 25 maggio 2018 è ormai vicina).
- Necessità di semplificare una normativa troppo complessa ed articolata per una materia come quella tecnologica in continua evoluzione (troppi decreti applicativi che rischiano di bloccare o quanto meno ritardare l’introduzione di nuovi strumenti).
- Nel corso della formulazione di regole tecniche o linee guida, fondamentali nel nostro settore, sarebbe opportuno aprire un reale confronto con tutti gli operatori al di là delle consultazioni pubbliche che spesso si risolvono in mere formalità.
- Necessità di ricostituire un ente come l’AIPA dotato di un minimo di autonomia. Purtroppo le varie trasformazioni successive (CNIPA, DigitPA, AGid, ecc.) hanno creato non pochi problemi di funzionamento ed efficienza ad un ente che avrebbe dovuto aiutare gli enti pubblici a realizzare una trasformazione epocale. Va, inoltre, riservata una maggiore attenzione agli enti pubblici periferici lasciati spesso soli a risolvere problematiche non facili. Si ha, inoltre, la netta sensazione che la creazione continua di queste task-force (vedi quella dell’I.A.), forum, team di esperti rappresentino solo l’occasione per accontentare giovani studiosi desiderosi di incarichi prestigiosi, ma non abbiano come obiettivo la reale soluzione di delicate problematiche.
- Necessità di rivedere molte procedure burocratiche che andrebbero snellite e semplificate come del resto richiede la stessa informatizzazione. Basta con la realizzazione di queste linee guida, libri bianchi, ecc. che non hanno alcuna utilità ma è necessario provvedere a modifiche concrete e non a mere indicazioni di carattere generale.
- Procedere per piccoli passi senza prevedere brusche accelerazioni sul fronte sia tecnologico che normativo qualora non ci siano i presupposti (parlare oggi di smart cities con la P.A. ancora in difficoltà sui fondamenti dell’informatizzazione, appare onestamente un po’ eccessivo).
- Riservare maggiore attenzione a due componenti fondamentali dell’informatizzazione: interoperabilità e sicurezza.
- Prevedere sanzioni efficaci in caso di inosservanza di norme fondamentali in materia. Purtroppo l’idea di Brunetta di colpire i dirigenti incidendo sull’indennità di risultato non ha avuto alcun effetto.
- Coinvolgere e sensibilizzare di più gli stessi cittadini che spesso ignorano l’effettiva utilità della digitalizzazione dei servizi.
Infine, comprendere che è necessario prima investire nell’ICT e nella realizzazione di progetti validi ed efficienti. Solo successivamente sarà possibile risparmiare.
In tale contesto appare ormai chiaro un importante principio che dobbiamo sempre tenere in mente: se vogliamo davvero condurre l’Italia ad una svolta epocale in tale settore, lo dobbiamo volere noi tutti come operatori, come cittadini, come imprese, come professionisti, poiché non basta la legge, ma è fondamentale una nostra effettiva consapevolezza di voltare pagina rispetto al passato, pagina che non è più cartacea.