L’avatar della mia Xbox già circa sei anni fa, ai tempi della Xbox360, poteva essere vestito con dei completi acquistabili nello store, principalmente ispirati ai videogame più famosi. Acquistare vestiti per delle proiezioni digitali di noi stessi, che ci rappresentano all’interno di un contesto, non è una novità. Volendo andare più indietro nel tempo, anche su Second Life si poteva acquistare del vestiario senza grandi complicazioni. Quindi, cosa sta cambiando negli ultimi tempi nel mondo dell’abbigliamento digitale, quello che si può acquistare per “vestire” i propri avatar sulle varie piattaforme? Sono cambiate le suggestioni e le tecnologie.
Le suggestione principale si chiama Metaverso, la tecnologia che promette di rendere unico il tuo acquisto (e in qualche modo “originale” certificato dal brand) sono gli NFT. La combinazione di queste due cose sta facendo sognare il mondo del fashion, sparando direttamente velleità e visioni di futuro, direttamente nel campo della moda digitale.
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Il caso Second Life
Per arrivare al Metaverso di oggi (che è ancora una visione più che un fatto concreto) sicuramente l’esperienza di massa più significativa e coinvolgente è stata Second Life, un mondo virtuale lanciato nel 2003, che ha visto la corsa di aziende ed istituzioni pubbliche ad accaparrarsi spazi, ricreare ambienti (musei, opere d’arte, case, palazzi), mettere in piedi proposte commerciali. Di qualunque genere. Ci si poteva dotare anche di attributi speciali e frequentare luoghi di piacere che ricreavano perversioni di qualunque genere. Resta il fatto che Second Life, ad oggi, è l’unico esempio di universo parallelo dove siamo andati a ricrearci delle vite con delle proiezioni in 3D. I limiti erano dettati dall’epoca: infrastruttura lenta per portarti il dato in casa e computer che venivano stressati da queste simulazioni. Non era così immerso e fluido come possono immaginarselo i nativi digitali che non lo hanno mai utilizzato.
Per molti, l’esempio di quello che avremo quando il Metaverso non sarà poco più che un’idea o 1000 progetti separati di ambienti 3D immersivi, separati gli uni dagli altri, lo possiamo vedere con il film del 2018 di Steven Spielberg “Ready Player One”, a sua volta tratto da un libro del 2011 di Ernest Cline. La grande differenza sarà che oggi si sta definendo il Metaverso come un ambiente con accesso grazie a strumenti di realtà aumentata (occhiali, guanti) e non come hardware da realtà virtuale. Molto più easy di una tuta in ambiente controllato insomma. Il concetto di Metaverso è stato recentemente rilanciato in maniera importante nel mainstream dal rebranding di Facebook come Meta, che ha dato l’idea di un futuro prossimo in cui la loro stessa piattaforma sarà un universo in 3D pensato per l’interazione umana in tutti gli ambiti sociali e lavorativi.
Le possibilità del Metaverso
Questo potrebbe portare gli utenti ben oltre gli spazi digitali bidimensionali, in luoghi – proprio come tutta la letteratura citata – nei quali gli utenti avranno ora una realtà immersiva, che si potrà anche “abitare. I creatori di contenuti e i designer (soprattutto esperti di modellazione 3D e costruzione di mondi di realtà virtuale) avranno una strada da percorrere che definirà un nuovo modello di sviluppo di business, potenzialmente gigantesco. Il Metaverso apre anche ad una nuova economia in cui la ricchezza può essere creata, scambiata e migliorata utilizzando una valuta distinta ma correlata al mondo reale. Non necessariamente ai Bitcoin, ma con la moneta di scambio che sarà scritta sulla blockchain scelta del mondo ricreato.
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Ovviamente il Metaverso non è oggi, non è ora: richiede l’evoluzione di nuove tecnologie per la sua esecuzione. Ad esempio, è necessario un “Digital me” o il gemello digitale di una persona per simulare la presenza nel mondo reale. E bisognerà capire che modello si imporrà per questa “trasposizione in dato” di ognuno di noi. Tutto ciò genera, ovviamente, non poche preoccupazioni in merito alla privacy dei dati, alla sicurezza, alla diversità e al comportamento etico: problemi del mondo reale che possono assumere una nuova dimensione in uno virtuale, soprattutto quando è un mondo ancora da sviluppare. E infatti, lo stesso Facebook prevede di sviluppare il metaverso e farlo diventare realtà nei prossimi 20 anni. Che non è domani, ma è bastata la suggestione di Zuckerberg per dare avvio la folle corsa a rivendicare la propria unicità nel mondo di domani.
NFT e Metaverso, l’impatto sul mondo della moda
Per molte persone, sopratutto nelle convinzione di molti brand, nel prossimo futuro, invece di andare nel tuo armadio per scegliere qualcosa da indossare per la tua prossima videochiamata, potresti spulciare al tuo guardaroba virtuale per scegliere un vestito digitale renderizzato in 3D da “indossare”. E sempre più produttori in ambito fashion scommettono che quegli abiti virtuali non saranno solo per le tue chiamate Zoom, ma potrebbero eventualmente essere indossati in tutto il “metaverso”, nei giochi, sui social media e anche “visti” sul corpo nel mondo reale attraverso occhiali di realtà aumentata, per arrivare ad avere il proprio vestito “di marca” gironzolando per qualunque mondo virtuale.
Nel 2019, Louis Vuitton ha disegnato skin per League of Legends e quest’anno Nike e Ralph Lauren hanno offerto accessori per avatar attraverso la piattaforma di creazione di mondi virtuali Roblox. La collezione NFT di Dolce & Gabbana è andata esaurita per 1.885,719 ETH, in quel momento equivalenti a 6 milioni di dollari. Nike ha denunciato StockX alla Corte Federale di New York per fermare la sua vendita di NfT legati alle sue scarpe: il problema è che StockX ha messo in vendita delle immagini delle scarpe della Nike a numero limitato e secondo Nike stanno infrangendo il copyright… anche perchè è la stessa operazione che stanno preparando loro.
Il ruolo della pandemia
Indubbiamente la pandemia ha dato una spinta a questa ricorsa alla digitalizzazione della moda: dalle sfilate con modelli ricostruiti al computer, alle vetrine utilizzate come schermi per far vedere i capi. L’industria dei videogiochi ha indubbiamente gettato le basi per la moda digitale, con abiti o “skin”, in giochi come Overwatch e Fortnite, generando un indotto di oltre 40 miliardi di dollari, ma è l’interesse dei brand a legare la vendita di modelli digitali la cui “originalità” non può essere messa in discussione neppure nella riproduzione in pixel, che alza l’asticella delle attese per gli sviluppi prossimi-futuri.
Lo scenario
Sembra una follia logica che la moda lasci da parte – nei pensieri – la fisicità del capo che serve per vestirci per dedicarsi ad vendere vestiti senza produrre capi fisici: con il discorso che la moda virtuale è molto più sostenibile, la non produzione di un capo aumenta i margini all’ennesima potenza, perchè non c’è un capo da produrre e da vestire? Il primo scenario a cui mi veniva da pensare era legare ad un NFT un abito comprato e numerato per certificare l’originalità del capo. Ma evidentemente ho troppa poca fantasia rispetto a chi si sta muovendo rapidamente per posizionarsi in questo meta-virtual-verso.
I nuovi creatori di moda digitale sono davvero rimasti poco impressionati dalla visione del Metaverse di Zuckerberg, che per fornire alcune suggestioni su cosa si sarebbe potuto fare nel metaverso con un avatar digitale, sfogliava selezione di look abbastanza povera. Era molto standard e devono essersene resi conto anche i suoi uomini, tanto che dopo qualche ora hanno tentato di coinvolgere Balenciaga con una tweet chiedendo consigli su come vestirsi nel metaverso, seppur non ricevendo risposta.
Balenciaga stesso ha collaborato con Fortnite per sviluppare oggetti e con Epic Games per presentare la nuova collezione come un videogioco: ed sono proprio quelli di Balenciaga ad essere citati dai colleghi e competitor come l’attuale principale innovatore nel mondo del meta-fashion. Burberry e Louis Vuitton stanno coniando NFT, Gucci ha collaborato con Roblox per creare un “Gucci Garden” e la loro famosa borsa Queen Bee Dionysus venduta digitalmente per 350.000 Robux (4.000 dollari). RTFKT pubblica scarpe da ginnastica virtuali e altri oggetti da collezione, altri si dedicano a skin ed oggetti ormai per qualunque esperienza ludica di socialità su realtà aumentate o virtuali.
Conclusione
Se i videogiochi sono il battistrada, un mondo virtuale – o dei realtà aumentata – sul modello di Second Life, che potrebbe arrivare in qualunque momento, potrebbe essere una grande possibilità per i brand che sapranno rendere disponibili questi oggetti unici per elevare la riprova sociale delle nostre trasposizioni digitali. Essere riconosciuti con trend setter anche nel metaverso potrebbe essere il sogno di tutte le influencer che oggi tentando di trovare l’hastag giusto per raccattare follower, avere l’oggetto unico ed irripetibile ce solo il loro avatar può indossare. Siamo in una società che riconoscere il possesso, l’esclusività, la possibilità nel computo metrico della validazione sociale: pensiamo che nel metaverso sarà differente?