Nel già complesso e incerto quadro normativo relativo al Green Pass nel mondo del lavoro si aggiunge ora un intervento trasversale da parte del D.L. 139/2021 (il c.d. “Decreto capienze”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 08.10.2021), che interviene a gamba tesa su alcuni aspetti dell’impostazione del controllo sul possesso del Green Pass.
Il decreto, infatti, oltre a introdurre nuove prescrizioni per lo svolgimento di spettacoli ed eventi sportivi in zona gialla, a disporre la riapertura (con Green Pass) delle discoteche e ad introdurre nuove significative (e inattese) modifiche al Codice Privacy, inserisce nel D.L. 52/2021 (atto normativo davvero tartassato dal susseguirsi di interventi normativi) l’art. 9 octies in tema di controlli del Green Pass in azienda.
In un’evoluzione alla quale gli operatori sono tristemente rassegnati, al Decreto Legge ha fatto seguito un DPCM pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 14 ottobre 2021, per spiegare come si articoleranno le nuove modalità di controllo previste dal D.L. 139/2021.
La comunicazione anticipata dei lavoratori sul Green Pass all’azienda
L’articolo 9 octies del D.L. 139/2021 dispone che: “In caso di richiesta da parte del datore di lavoro, derivante da specifiche esigenze organizzative volte a garantire l’efficace programmazione del lavoro, i lavoratori sono tenuti a rendere le comunicazioni di cui al comma 6 dell’articolo 9-quinquies e al comma 6 dell’articolo 9-septies con un preavviso necessario a soddisfare le predette esigenze organizzative.”
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Le comunicazioni di cui parla la nuova norma sono quelle che il lavoratore deve rendere al datore di lavoro nel caso in cui sia sprovvisto di Green Pass (l’art. 9 quinquies fa riferimento al settore pubblico mentre l’art. 9 septies fa riferimento al settore privato).
La disposizione risponde ad una più che legittima esigenza manifestata anche da Confindustria, in quanto la normativa sul Green Pass declinato nel mondo del lavoro sta creando non pochi grattacapi a consulenti, datori di lavoro e dipendenti ancor prima di essere applicata.
Confindustria stessa aveva peraltro già inserito questa ipotesi di controllo “anticipato” nelle proprie Linee Guida dedicate alle imprese, peccato che in assenza di un sostegno normativo (ora introdotto con l’art. 9 octies nel D.L. 52/2021) la ricostruzione fatta dall’organizzazione degli industriali rischiava di esporre i datori di lavoro a censure da parte del Garante e ad un rischio contenzioso elevato con i dipendenti.
Ci si sta infatti rendendo conto che la normativa, nel difficile compito di bilanciare i diritti dei lavoratori, le esigenze dei datori di lavoro e le esigenze di salute pubblica, ha finito per creare una situazione in cui il dipendente senza Green Pass è assente ingiustificato fino a quando non esibisce il certificato verde (salvo il caso delle imprese con meno di 15 dipendenti che possono disporre una sospensione di 10 giorni prorogabile per una sola volta) e non matura lo stipendio ma non rischia ulteriori conseguenze disciplinari né di perdere il lavoro.
Come funziona
Di fatto, quindi, se un dipendente non ha il Green Pass le conseguenze sostanziali per lui sono simili a quelle delle ferie non pagate (salvo il nodo della responsabilità civile, ancora da sciogliere). Tra l’altro secondo il tenore della normativa il dipendente può ben decidere, a propria discrezione, magari di farsi un tampone e lavorare per i due/tre giorni successivi, quindi presentarsi senza Green Pass e procedere poi dopo qualche giorno con un nuovo tampone, compromettendo così le capacità di organizzazione dell’azienda (salvi i limitati casi in cui è possibile disporre la sospensione).
Se a ciò si aggiunge che le Linee Guida green pass dedicate alla PA affermano che il lavoratore sprovvisto di Green Pass non può nemmeno essere utilizzato in smart-working appare evidente la difficoltà per un’azienda di gestire l’assenza da un giorno all’altro di un lavoratore essenziale ai processi aziendali, che non è certo possibile sostituire in breve tempo (sostituzione che tra l’altro sarebbe illegale salvo il caso delle imprese con meno di 15 dipendenti, poste di fronte alla risibile possibilità di sostituire un lavoratore specializzato senza alcun preavviso e offrendo all’ipotetico candidato un contratto di 10/20 giorni!).
Le imprese hanno quindi chiesto a gran voce che fosse possibile quantomeno un controllo anticipato dei Green Pass, chiedendo ai lavoratori di manifestare con preavviso le loro intenzioni così da poter organizzare i turni di servizio.
I problemi della nuova normativa Capienze per il green pass
A questa esigenza risponde l’art. 9 octies del D.L. 52/2021 (in uno con il DPCM esplicativo in corso di approvazione), che però pone più problemi di quanti ne risolva.
La richiesta del green pass ai lavoratori in anticipo
In primo luogo la possibilità di chiedere con anticipo ai dipendenti se questi sono sprovvisti del Green Pass (la norma non legittima infatti una richiesta e/o raccolta dei Green Pass dei dipendenti, bensì solo una richiesta ai dipendenti di comunicare se saranno sprovvisti di Green Pass dal 15 ottobre in poi) è subordinata a “specifiche esigenze organizzative”, peccato però che sia difficile immaginare situazioni in cui una simile esigenza non sussista (salvo l’azienda non sia in esubero di risorse o il datore di lavoro non sappia già per vie traverse -peraltro spesso non legittime- che i lavoratori sono vaccinati o comunque in possesso di Green Pass).
Sul punto, stando a quanto trapelato sul DPCM, non arriveranno indicazioni nemmeno dalla disciplina di dettaglio, con la conseguenza che i datori di lavoro saranno lasciati a loro stessi nella determinazione delle esigenze che giustificheranno queste richieste.
Fortunatamente però il DPCM ribadisce quanto detto più sopra, ovvero che il controllo anticipato non può essere uno strumento per “raccogliere” Green Pass o altri dati dei dipendenti. L’oggetto della comunicazione anticipata riguarda infatti unicamente le comunicazioni del dipendente al datore circa il fatto che questo è sprovvisto di Green Pass, non altro.
Il datore di lavoro potrà quindi chiedere ai dipendenti di inviargli con anticipo una comunicazione se e solo se sono (saranno) sprovvisti di Green Pass.
Il DPCM promette invece lo sviluppo di un applicativo per il controllo a distanza dei Green Pass (app già disponibile per il personale scolastico, in corso di approntamento per l’intero settore pubblico e che SOGEI dovrebbe realizzare e mettere a disposizione anche dei datori di lavoro privati). La presenza di questo applicativo (se arriverà tempestivamente) consentirà di semplificare i controlli ma non risolverà tutti i problemi in quanto le esigenze del datore di lavoro di conoscere con maggiore anticipo le intenzioni del lavoratore potrebbero ben sussistere anche in presenza di un controllo da remoto (ad esempio il datore di lavoro potrebbe voler sapere se il dipendente, che risulta sprovvisto del Green Pass, si farà il tampone prima di venire al lavoro o meno).
Connesso a quest’ultimo aspetto è il problema per cui la norma non definisce con quale anticipo sia possibile chiedere ai dipendenti di manifestare le proprie determinazioni, in quanto è evidente che il soggetto non in possesso di valido Green Pass potrebbe esserlo fino a una certa data (magari ha appena fatto la prima dose del vaccino) o addirittura saltuariamente a seconda di come questo programma di effettuare dei tamponi (c’è da vedere se un simile comportamento sia legittimo, anche se la normativa in tema di Green Pass non connette direttamente a una simile condotta una specifica sanzione). C’è quindi da domandarsi quale sia il diaframma temporale dell’informazione da dare al datore di lavoro (fino al 31 dicembre? di settimana in settimana?).
Salta il limite delle 48 ore
Sul punto avrebbe dovuto intervenire il DPCM pubblicato nella G.U. del 14 ottobre (a meno di 24 ore dall’entrata in vigore dell’obbligo), che nelle bozze circolate affermava come il controllo preventivo avrebbe potuto essere effettuato “con l’anticipo strettamente necessario e comunque non superiore alle 48 ore, ciò anche in relazione agli obblighi di lealtà e di collaborazione derivanti dal rapporto di lavoro”.
Peccato che la norma, prevista nella bozza, sia stata omessa completamente nel DPCM pubblicato, con la conseguenza che i datori di lavoro sono ora lasciati completamente a loro stessi nel determinare l’anticipo con cui richiedere il Green Pass.
Se il termine “fisso” a 48 ore era criticabile in quanto per le aziende sarebbe stato (specie in alcuni settori) difficile programmare con un minimo di respiro l’attività aziendale, anche non avere alcuna indicazione non è una soluzione auspicabile.
Quel che sarebbe stato opportuno era lasciare un minimo di maggior discrezionalità alle aziende per individuare un tempo di preavviso superiore alle 48 ore in presenza di necessità specifiche.
Ora ai datori di lavoro non restano che prudenza e buon senso, ricordando che si tratta pur sempre di un trattamento di dati sanitari che quindi dovrebbe essere il più possibile minimizzato anche nella sua estensione temporale.
Aziende e PA lasciate a loro stesse sul trattamento dati
Ultimo e fondamentale problema è che mentre il controllo del Green Pass è molto irreggimentato dal punto di vista privacy (controllo via app governativa, nessun trattamento dati dopo l’esibizione del certificato, nessuna trasmissione di dati sanitari a distanza, delega formale dei soggetti a cui è affidato il controllo, etc.) con riguardo al trattamento dati per le comunicazioni anticipate dei dipendenti, ben più rischioso per le sue modalità operative, le aziende e le amministrazioni sono lasciate a loro stesse.
I datori di lavoro, finora accompagnati passo passo sulle modalità del trattamento dei dati dei dipendenti, si trovano ora senza alcuna indicazione su un trattamento dati che coinvolge per la prima volta una conservazione di dati appartenenti a categorie particolari al di là del momento del controllo.
Persino il DPCM sembra non offrire prospettive utili sul punto.
Salvo l’intervento (ovviamente in extremis) da parte del governo o del Garante per fornire indicazioni in proposito, ci si permette di evidenziare come sia opportuno per i datori di lavoro:
– individuare dei canali di comunicazione sicuri per questo flusso di informazioni, magari confrontandosi con il D.P.O. ovvero con i consulenti privacy aziendali per individuare le modalità operative più rispettose;
– limitare al massimo il numero dei soggetti coinvolti nel trattamento di questi dati;
– predisporre istruzioni per la cancellazione dei dati raccolti non appena questi non sono più attuali e comunque al termine dell’emergenza (salvo situazioni eccezionali);
– informare i dipendenti interessati circa gli accorgimenti adottati e il trattamento dati cui saranno sottoposti.
Si potrebbe pensare anche al coinvolgimento del medico del lavoro in queste operazioni, anche se dovendo il dato circa la mancanza del Green Pass in capo ad un dipendente comunque pervenire al datore di lavoro per consentirgli di organizzare il lavoro, si tratterà di un coinvolgimento che andrà valutato caso per caso, per evitare che si risolva in un mero ampliamento soggettivo dell’elenco di persone che conosceranno dati sanitari ulteriori dei dipendenti (il ruolo del medico del lavoro potrebbe essere prezioso laddove questo disponga di un canale di comunicazione sicuro e possa fare da “filtro” sulle informazioni esorbitanti la richiesta che potrebbero essere fornite dai dipendenti).
Non bisogna commettere l’errore di pensare, infatti, che l’assenza di prescrizioni con riguardo al controllo anticipato dei lavoratori sprovvisti di Green Pass possa giustificare un trattamento dati senza alcun criterio, anzi, l’assenza di indicazioni finisce per responsabilizzare i datori di lavoro (e la colpa non può che essere del legislatore) in questa delicata fase di raccolta dei dati.
L’impiego di certificazioni diverse dal Green Pass
Nonostante ci si augurasse che non trovasse ingresso nel testo definitivo del DPCM la disposizione, presente nella bozza del decreto, per cui nelle more dell’ottenimento del certificato Green Pass è possibile esibire le certificazioni cartacee (es. ricevuta di tampone, certificato vaccinale), questa possibilità è stata invece mantenuta nel testo definitivo del DPCM del 14.10.2021 che ora introduce, nel DPCM 17.06.2021 sui controlli del Green Pass, una disposizione (art. 13 co. 14) che consente ai lavoratori di esibire non il Green Pass bensì i certificati rilasciati da medici, strutture sanitarie e farmacie “nelle more del rilascio e dell’eventuale aggiornamento delle certificazioni verdi COVID-19 da parte della piattaforma nazionale DGC”.
La disposizione è evidentemente pericolosa in quanto apre le porte alla presentazione di certificati cartacei più agevolmente falsificabili e compromette in toto l’architettura privacy faticosamente studiata dal Garante e dal Governo sfociata nel sistema informatico che regge il Green Pass.
Da ultimo poi si finisce per complicare terribilmente la vita agli accertatori che dall’oggi al domani si trovano a dover fronteggiare una diversa e più difficile attività di controllo di svariati tipi di ricevute che potrebbero essergli presentati davanti.
Il Governo non deve ammettere ritardi nella digitalizzazione dei certificati e deve intervenire con speditezza nel caso di errori od omissioni, insistendo però nell’unicità della strada digitale del Green Pass.
I certificati di esenzione
Allo stesso modo orfani di una soluzione digitale sono i certificati di esenzione, che le Linee Guida dedicate alla P.A. pubblicate nella Gazzetta Ufficiale del 14 ottobre affermano non possano essere oggetto di controllo.
Tali soggetti informeranno il medico del lavoro della loro condizione e quest’ultimo, ove autorizzato dal dipendente, potrà comunicare la circostanza ai soggetti incaricati di controllare i Green Pass.
La disciplina sembra congegnata senza alcuna coscienza delle modalità operative con cui, ovviamente, avverrà la verifica.
Da un lato infatti è impensabile che i soggetti muniti di certificato di esenzione possano “non essere controllati”, specie se non consentono la comunicazione dal medico del lavoro ai soggetti incaricati del controllo circa la loro condizione.
I soggetti incaricati del controllo dovranno giocoforza verificare i certificati di esenzione, pena la strumentale esclusione da controllo di tutti i dipendenti che si affermano esenti (è poi da evidneziare che anche l’affermarsi esenti presuppone che il dipendente munito del certificato di esenzione sia sottoposto a controllo, sconfessando quindi la normativa che prevede “che tali soggetti siano esentati dalle verifiche”.
Peccato, poi, che anche qui nessuno abbia pensato a tutti i soggetti che non possono rivolgersi al medico del lavoro (soggetti impiegati presso ditte terze che accedono ai luoghi di lavoro, consulenti, titolari, e tutta quella serie di figure che accedono ai locali aziendali e, pur non essendo dipendenti, sono soggetti al controllo del green Pass) per i quali ovviamente non si potrà evitare il controllo del certificato cartaceo (anche qui in attesa della predisposizione di uno strumento digitale di verifica che possa scongiurare problemi privacy).
Con sforzo interpretativo non indifferente si può ricondurre l’impossibilità di sottoporre a controllo il personale munito di certificato di esenzione solo previa trasmissione al medico competente del certificato e se ciò è possibile (ovvero se il soggetto munito del certificato è sottoposto alla sorveglianza sanitaria del medico del lavoro dell’amministrazione/azienda a cui accede).
C’è da sperare che presto si superi questa situazione kafkiana con l’introduzione del QR-code di verifica anche per i soggetti muniti di certificato di esenzione, che secondo le Linee Guida finalmente comporterà la possibilità di sottoporre a controllo anche questi soggetti.
Resta, a margine di questo esame, l’amaro in bocca per una situazione nella quale nel momento dell’entrata in vigore di una normativa dagli effetti dirompenti il Governo non è stato in grado di approntare un plesso normativo ragionato e dotato di una minima coerenza ed efficacia applicativa.