Come tassare le criptovalute: lo chiarisce l’Agenzia delle entrate Entrate con la risposta ad interpello n. 788/E pubblicato il 24 novembre 2021. L’indicazione riguarda la tassazione dei proventi da cessione a titolo oneroso delle criptovalute secondo le regole stabilite per le monete estere, avuto riguardo alla giacenza media determinata sulla base dell’insieme dei wallet elettronici detenuti dal contribuente, oltre all’obbligo di monitoraggio con compilazione del quadro RW della dichiarazione reddituale e non assoggettamento a IVAFE delle valute virtuali.
Questi chiarimenti permettono di definire in maniera più chiara i profili fiscalmente rilevanti di un mercato, quale quello delle criptovalute, sempre più di interesse e in forte sviluppo.
Tassazione criptovalute, il nodo dell’assenza di norme consolidate
Dalla lettura del documento di prassi dell’Agenzia delle entrate risulta di assoluta evidenza la mancanza di una disciplina civilistica consolidata in tema di valute virtuali: solamente il completamento del processo approvativo della proposta di regolamento europeo relativo ai mercati delle cripto-attività, emanata dalla Commissione europea il 24 settembre 2020 COM(2020) 593 final e ai passaggi finali in Consiglio Europeo, contribuirà in maniera decisiva a definire con maggiore precisione i confini di riferimento.
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La proposta di regolamento cd. Mica (Markets in Crypto-Assets), costituisce uno degli assi portanti del Pacchetto Digital Finance ed è proprio funzionale a consentire e sostenere l’ulteriore sfruttamento del potenziale della finanza digitale in termini di innovazione e concorrenza, attenuandone nel contempo i rischi.
Tassazione criptovalute, cosa dice l’Agenzia delle Entrate
Il caso sottoposto all’attenzione dell’amministrazione finanziaria, oggetto di interpello, ha riguardato un contribuente persona fisica che detiene, per un lungo periodo di tempo superiore comunque a cinque anni, valute virtuali in alcuni digital wallet, non procedendo alla loro cessione o alla loro conversione in euro. Il contribuente istante mantiene inoltre la disponibilità esclusiva della chiave privata del wallet. Nel corso del periodo di imposta di riferimento, e cioè il 2020, le valute virtuali non sono state, appunto, né prelevate né convertite: era interesse dell’istante comprendere se la detenzione di per sé determinasse o meno un risultato di gestione fiscalmente rilevante in sede di dichiarazione annuale dei redditi e se, di conseguenza, andasse o meno compilato il quadro RW riservato alla indicazione degli investimenti e delle attività finanziarie all’estero ai fini del monitoraggio fiscale.
Nella soluzione interpretativa prospettata nell’istanza di interpello, il contribuente ha ritenuto che la mera detenzione, per un lungo periodo di tempo, di valute virtuali in un digital wallet non assuma alcuna rilevanza fiscale, non determinando realizzo di redditi, con la conseguenza di non essere obbligato alla compilazione del modello dichiarativo e al pagamento dell’imposta sostitutiva (a differenza del caso di cessione a titolo oneroso delle valute virtuali con assoggettamento a imposta nella misura del 26 per cento secondo quanto disposto dall’art. 5, comma 2 del D.Lgs. n. 461/1997). Inoltre, la esclusiva disponibilità della chiave privata non determinerebbe, ad avviso del contribuente, neppure la necessità di ottemperare all’obbligo di monitoraggio fiscale con compilazione del quadro RW.
La posizione delle Entrate non concorda con la soluzione interpretativa suggerita dal contribuente. La risposta ad interpello chiarisce intanto come, da un punto di vista tecnico, le valute virtuali non sono altro che stringhe di codici digitali opportunamente criptati e scambiati tra utenti tramite apposite applicazioni software. Tali valute hanno quindi natura esclusivamente digitale: sono create, memorizzate e utilizzate attraverso dispositivi elettronici (pc e smartphone) e conservate in portafogli elettronici (wallet), caratterizzati da una coppia di chiavi crittografiche (la pubblica e la privata) di cui il detentore può o meno disporre di quella privata.
La posizione della Corte di Giustizia UE
In carenza di un quadro normativo e definitorio, le Entrate operano un esplicito richiamo alla sentenza C-264/14 della Corte di Giustizia UE datata 22 ottobre 2015. Con tale pronuncia, le operazioni sulle valute virtuali rientrano tra quelle relative a divise, banconote e monete con valore liberatorio. Dall’inquadramento civilistico, l’Agenzia delle entrate fa discendere il trattamento fiscale corrispondente chiarendo, sulla base di quanto dispone l’art. 67 del TUIR, che le cessioni a termine di valute virtuali rilevano sempre fiscalmente. Al contrario le cessioni a pronti (e cioè le transazioni in cui si scambiano contestualmente una valuta con altra valuta differente) non danno origine a redditi imponibili perché manca la finalità speculativa a meno che la valuta ceduta derivi da prelievi da portafogli elettronici per i quali la giacenza media superi un controvalore di euro 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo di imposta (art. 67, comma 1, lett. c-ter, TUIR).
Il valore della giacenza
Il valore in euro della giacenza media va determinato secondo il cambio di riferimento all’inizio del periodo di imposta. Per giacenza media occorre invece avere riguardo all’insieme dei wallet detenuti dal contribuente a prescindere dalla tipologia dello stesso portafoglio (paper, hardware, desktop, mobile, web). Tale reddito sarà assoggettato, quando percepito da una persona fisica al di fuori dell’esercizio di attività di impresa, ad imposta sostitutiva del 26 per cento.
Da ciò discende l’ulteriore obbligo di monitoraggio fiscale, con compilazione del quadro RW della dichiarazione redditi, anche per la detenzione delle valute virtuali, e a prescindere dalla disponibilità esclusiva della chiave privata, in quanto trattasi di attività estere di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi in Italia. Le valute virtuali non sono invece assoggettate a IVAFE e cioè all’imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero dalle persone fisiche residenti in Italia: tale imposta si applica infatti esclusivamente ai depositi e ai conti correnti di natura bancaria.