Le norme sulla tenuta e la conservazione digitale dei libri, registri e documenti hanno subito degli ultimi decenni dei cambiamenti che hanno seguito due linee conduttrici. La prima è scaturita dalla esigenza del legislatore di adeguare la normativa alla evoluzione tecnologica. La seconda dalla volontà di creare una standardizzazione dei processi di gestione e conservazione dei documenti informatici.
Ci saremmo aspettati tutti che, superati i primi momenti di difficoltà, avremmo raggiunto un equilibrio ad un livello più alto di quello preesistente nel mondo analogico; invece la normativa disomogenea, spesso contraddittoria, si è posta obiettivi eccessivamente “elitari” ed è stata troppo sensibile agli interessi delle lobbies che hanno colto l’occasione per ampliare il mercato dei servizi informatici.
Il caso della fatturazione elettronica
Tutto questo ha generato insicurezza e paura. Solo per citare un esempio, l’avvio della fatturazione elettronica avrebbe potuto e dovuto essere il primo tassello di una rivoluzione documentale e culturale; sia perché è il primo esempio di documento fiscale strutturato, la cui esistenza di fatto ha reso inutile la tenuta dei registri IVA[1], sia perché ha rappresentato (finalmente) l’avvio di una nuova era in cui un documento informatico viene trattato ed interpretato come tale e questa metodologia potrebbe essere estesa a tutta la documentazione amministrativa[2].
Ma tutto ciò è stato ostacolato da tutti: dagli imprenditori e dai professionisti, che non hanno colto immediatamente gli enormi vantaggi che sarebbero potuti derivare da un utilizzo integrato della fattura elettronica e dei sui dati, ed indirettamente anche dal legislatore, che non è riuscito a conferire alla legislazione in ambito digitale la semplicità di gestione che avrebbe dovuto costituirne il naturale presupposto.
I PDF dei registri contabili
Dulcis in fundo, di recente sono state emanate disposizioni[3] che hanno reso possibile la esibizione dei file in formato pdf di qualsiasi registro contabile, in luogo della stampa o del processo di conservazione ai sensi del C.A.D. (Decreto Legislativo 82/2005). Questa ultima deregolamentazione, salutata con favore da imprese e professionisti, ha avuto un effetto devastante in quanto ha neutralizzato di fatto tutta la produzione normativa e gli obblighi codificati nel tempo in relazione alla conservazione dei documenti informatici. Ma non penso che la partita possa chiudersi così.
Digitalizzazione e semplificazione: un binomio non sempre vero
L’avvento della digitalizzazione in ambito amministrativo-contabile ha segnato una rivoluzione senza precedenti. Passare dalle registrazioni manuali a quelle meccanografiche non solo ha realizzato economie significative, ma ha progressivamente permesso una fruizione in tempo reale dei dati oggetto di elaborazione. La informatizzazione ha avuto come oggetto dati analogici, materializzati in documenti cartacei, per cui la rilevazione informatica si limitava ai dati di sintesi, essendo quelli di dettaglio rappresentati in formato analogico tradizionale, per lo più cartaceo.
Tradotto in pratica, si poteva ottenere in tempo reale una stampa di un registro IVA, ma non si poteva riprodurre il contenuto della fattura. Il progresso tecnologico ha trasformato il supporto “contenitore” dei dati da analogico a digitale, e ciò ha generato il c.d. documento informatico, definito dal Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD-Decreto Legislativo 82/2005) come “rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti” in contrapposizione al documento analogico (“rappresentazione non informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti”).
Cosa dice il CAD
I requisiti di validità ed efficacia probatoria dei documenti informatici sono stabiliti dall’articolo 20, del C.A.D. che così recita: “Il documento informatico soddisfa il requisito della forma scritta e ha l’efficacia prevista dall’articolo 2702 del Codice civile quando vi è apposta una firma digitale, altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata o, comunque, è formato, previa identificazione informatica del suo autore, attraverso un processo avente i requisiti fissati dall’AgID ai sensi dell’articolo 71 con modalità tali da garantire la sicurezza, integrità e immodificabilità del documento e, in maniera manifesta e inequivoca, la sua riconducibilità all’autore.”
Quando ad un documento informatico viene apposta una firma digitale, gli viene attribuita la integrità ed immodificabilità. Ciò è facilmente verificabile provando a modificare un file a cui è stata applicata una firma digitale e successivamente effettuando la verifica del file. In caso di successiva verifica comparirà il seguente messaggio:
Le regole della conservazione
Un’altra regola da rispettare è dettata dall’articolo 3 comma 3 del Decreto MEF del 17/6/2014, che così dispone: ”Il processo di conservazione di cui ai commi precedenti è effettuato entro il termine previsto dall’art. 7, comma 4-ter, del decreto-legge 10 giugno 1994, n. 357, convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 1994, n. 489”, ossia entro tre mesi dal termine previsto per la presentazione delle “relative dichiarazioni annuali”.
La relatività del termine con la dichiarazione di riferimento aveva fatto emergere qualche dubbio di scadenze differenziate a seconda che i documenti informatici si riferissero all’IVA, la cui dichiarazione annuale scade il 30 aprile dell’anno successivo, e il terzo mese successivo sarebbe quindi luglio, ovvero alla dichiarazione dei redditi, con uno spostamento quindi di 5 mesi in avanti. Sul punto l’Agenzia delle Entrate, con la Risoluzione 46/E del 10 aprile 2017, ha affermato che “la conservazione dei documenti informatici, ai fini della rilevanza fiscale, deve essere eseguita entro il terzo mese successivo al termine di presentazione delle dichiarazioni annuali, da intendersi, in un ottica di semplificazione e uniformità del sistema, con il termine di presentazione delle dichiarazioni dei redditi”.
La esigenza di “cristallizzare” il termine entro cui deve essere fatta la conservazione trova la sua esigenza nel comma 2 dell’articolo 3 del citato Decreto del MEF, che prevede che “Il processo di conservazione dei documenti informatici termina con l’apposizione di un riferimento temporale opponibile a terzi sul pacchetto di archiviazione ”.
Ma c’è anche un’altra ragione per cui la marcatura temporale è necessaria. I certificati di firma non hanno scadenza illimitata (generalmente qualche anno), potrebbero anche essere revocati, quindi la loro validità è strettamente connessa al tempo in cui è stata apposta la firma. Un documento informatico a cui è stata apposta la firma digitale, una volta che il certificato di firma cessa la sua validità, perde un importante caratteristica, necessaria appunto per certificare, con metodo legalmente opponibile ai terzi, che il documento informatico è stato firmato quando il certificato di firma era valido; ciò è possibile quindi con l’applicazione della marca temporale.
Questi sono gli adempimenti sostanziali, ossia quelli che, ad avviso di chi scrive, realizzano gli obiettivi del C.A.D. come dichiarati all’articolo 20 sopra indicato. Non a caso il Codice Civile, all’articolo 2215-bis, al terzo comma, prevede come formalità a cui assoggettare i libri, i repertori e le scritture soggetti a numerazione progressiva e vidimazione sono la firma digitale e la marca temporale[4].
Le linee guida prevedono la organizzazione dei documenti informatici in “pacchetti” che si distinguono in base alla loro funzione (pacchetto di versamento, pacchetto di conservazione e pacchetto di distribuzione). La procedura prevede la generazione di un file-indice che contiene tutti gli elementi per poter individuare i documenti informatici oggetto di conservazione, inclusi i files che contengono i metadati, generati al momento della formazione del documento informatico immodificabile , e l’hash di ciascun file , ed assoggettando l’indice alla firma digitale e alla marcatura temporale in pratica si evita che il processo di marcatura temporale debba essere effettuato per ciascun file che compone il pacchetto di conservazione.
Il C.A.D. contiene altre regole che impongono la mappatura dei processi, la redazione di manuali e la nomina di responsabili dei processi e della conservazione.
I fronti critici del contesto applicativo
Senza voler ripercorre la storia della legislazione informatica, penso che siamo tutti d’accordo nell’affermare che è stato affidato al documento informatico un ruolo certamente più nobile e dignitoso rispetto al documento analgico tradizionale, ma senza rendersi probabilmente conto che a questa elevazione di ruolo – accompagnata anche dalla introduzione di complessi obblighi formali – non sono stati attribuiti privilegi di alcun genere.
La legge prevede che il documento informatico debba essere autentico, immodificabile e la data di formazione opponibile ai terzi. Ma il documento analogico non aveva queste caratteristiche. La stampa di un libro giornale si sarebbe potuta riprodurre n volte, e ogni volta in maniera diversa; una fattura analogica avrebbe potuto avere (ovviamente fraudolentemente) anche contenuti differenti per l’emittente e per il destinatario, e nessuno se ne sarebbe accorto se non in caso di controlli incrociati. Adesso ben venga che il documento informatico abbia requisiti di sicurezza superiori rispetto al documento analogico, ma il vero problema sta nel non avere previsto normativamente che il documento informatico privo di alcuni requisiti formali mantenga la sua validità legale, sempre che la legge non preveda particolari requisiti formali ad substantiam.
In effetti l’articolo 20 del C.A.D. prevede che “l’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, in relazione alle caratteristiche di sicurezza, integrità e immodificabilità”. Ma scomodare il Giudice per riconoscere che un libro giornale, firmato digitalmente e a cui è stata applicata la marca temporale è un documento informatico valido mi sembra eccessivo. Identico ragionamento vale per il Manuale della Conservazione, previsto dall’articolo 7 del DPCM 3/12/2013, e dalle c.d. Linee Guida, emanate ai sensi dell’articolo 71 del C.A.D.; la mancata predisposizione del manuale della Conservazione come può inficiare la validità del documento informatico qualora esso sia perfettamente leggibile, autentico, ed integro ?
Tutte queste domande evidenziano come la produzione legislazione sembri più rivolta a privilegiare la forma che la sostanza delle cose, e ciò, oltre ad essere di ostacolo a qualsiasi forma di progresso sociale ed economico, rende tutto il sistema insicuro, inaffidabile.
Il paradosso del Manuale della conservazione
Di recente è venuto all’ordine del giorno un problema. Essendo il Manuale della Conservazione un documento informatico, che va quindi conservato alla stregua di qualsiasi documento informatico, chi predispone e conserva il manuale di conservazione delle Fatture Elettroniche quando il servizio è erogato dall’Agenzia delle Entrate?
Il panico seminato dalla domanda a mio modesto avviso evidenzia il livello di assurdità a cui ci ha portato la legislazione. Summum jus, summa iniuria, dicevano i nostri padri latini: quando la applicazione di una norma perde qualsiasi aderenza con la realtà e diventa fine a se stessa, ovviamente c’è qualcosa che non va e vanno posti i necessari rimedi. Penso che faremmo ridere il contesto internazionale se l’Amministrazione Finanziaria ritenesse censurabile il comportamento di un contribuente che, avvalendosi del sevizio di conservazione offerta dall’Agenzia delle Entrate, non avesse “conservato a norma” il manuale della Conservazione che – peraltro – l’Agenzia ha l’obbligo di pubblicare sul proprio sito e di mantenere aggiornato.
Ecco, con la conservazione sostitutiva siamo arrivati a questo paradosso. Sono state previste norme oggettivamente molto complicate, che possono essere rispettate solo delegando l’affidamento del processo di conservazione a pochi soggetti specializzati, e il cui controllo da parte degli utenti è praticamente impossibile. Ne siamo tutti testimoni perché nel corso delle verifiche fiscali, quando abbiamo consegnato alla Amministrazione Finanziaria gli archivi conservati a norma, l’unico controllo si è concentrato sul contenuto dei files pdf dei libri e registri, ossia sull’equivalente dei precedenti documenti analogici; che mi risulti, non sono state mai fatte indagini sul processo di conservazione. E forse è stato meglio così perché qualche Solone avrebbe potuto eccepire che una qualsiasi irregolarità nel processo (vuoi anche la mancanza del Manuale della Conservazione) potesse riflettersi sulla validità dei documenti.
Il rebus della conservazione annuale
Ogni mese di febbraio[5] si è proceduto a “mandare” in conservazione libri, registri (facoltativamente) e fatture elettroniche (obbligatoriamente). Questo è il secondo anno in cui è vigente la norma[6] secondo cui la esibizione dei files dei libri e registri obbligatori anche in formato pdf è valida anche in deroga alle norme del C.A.D. e fiscali previste in materia di conservazione dei documenti informatici. Tale semplificazione non è ammessa per le fatture elettroniche, documento nativamente informatico, ma per cui ho avuto modo di sostenere la inutilità di un simile adempimento[7].
Quindi, la domanda che molti addetti ai lavori si sono posti, è: che senso ha conservare “a norma” i libri e registri contabili? il problema si pone soltanto per il libro giornale, il libro inventari e i libri sociali, considerato che la stampa dei registri IVA è stata soppressa dal già citato articolo 1, comma 1-ter, del Decreto legislativo 127/2015.
Una prima risposta potrebbe essere data dal “privilegio” che hanno i documenti conservati a norma in quanto provvisti della efficacia probatoria prevista dall’articolo 2702 del C.C. ad opera dell’articolo 20 del C.A.D., secondo cui al documento informatico firmato digitalmente è riconosciuta l’efficacia della scrittura provata che “ … fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritta, se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa è legalmente considerata come riconosciuta”. Non si tratta di un riconoscimento di poco conto, ma temo che le Corti di Giustizia, indirizzate sempre di più verso processi sommari, spesso pro-fisco, non abbiano la sensibilità giuridica per riuscire ad apprezzare tali considerazioni e che quindi ad un accertamento ISA possa il Giudice possa conferire prevalenza probatoria più alta rispetto alle risultanze delle scritture contabili tenute con tutte i crismi e conservate a norma.
Ma allora cosa conviene fare, considerato che la conservazione a norma è onerosa non solo nell’anno di effettuazione, ma anche negli anni in cui deve essere mantenuta?
Se si dovesse seguire la ovvia considerazione che “nel più sta il meno” si potrebbe continuare a conservare i libri e registri seguendo le regole del CAD, magari evitando di conservare i registri IVA, la cui tenuta è – come sopra detto – non obbligatoria e comuqnue ridondante rispetto ai dati già in possesso dell’Agenzia delle Entrate.
Ma chi volesse sottrarsi ad una assurda procedura potrebbe applicare la firma digitale e la marca temporale ai libri da conservare (quindi tendenzialmente inventari[8] e giornale) e confidare che in caso di contestazione il Giudice attribuisca ad un documento informatico non conservato a “regola d’arte” ma con tutte le caratteristiche di autenticità, integrità ed immodificabilità” la validità prevista dall’articolo 20 del C.A.D..
L’analisi
Sono sufficienti i pochi esempi sopra illustrati (ma ci vorrebbe poco per rappresentarne altri non meno eclatanti) per dimostrare come l’eccesso di zelo del legislatore abbia prodotto un mostro, i cui effetti sono stati poi in parte neutralizzati dalla successiva produzione normativa deregolatrice. Ma il mostro resta.
Abbiamo codificato sino all’assurdo la esigenza di avere un contenitore di complicatissima costruzione per poi metterci dentro libri e registri che potrebbero anche essere soltanto un insieme di bit di fatto ingestibili informaticamente[9]. Oppure, nella migliore delle ipotesi, n formati di libro giornale, magari con contenuti sostanzialmente omogenei ma predisposti secondo la fantasia del programmatore che ha sviluppato l’applicazione che genera la stampa del libro giornale.
Ritengo che la esigenza di standardizzazione sarebbe dovuta andare avanti in base a semplici requisiti di buon senso. Invece cosa abbiamo fatto ? abbiamo standardizzato la forma e ci siamo disinteressati della sostanza. Come aver pensato di standardizzare i mezzi di trasporto definendo il colore della carrozzeria, e non ponendosi in alcun modo il problema del sistema di alimentazione. Mutatis mutandis, voglio dire che la standardizzazione sarebbe dovuta iniziare aii formati e dei contenuti da mandare in conservazione. Le norme parlano ancora di libri e registri, che non esistono più da qualche decennio.
Un semplice esempio. Sappiamo tutti che la normativa tributaria è articolata e complessa, e che un errato instradamento di un elemento di costo o di ricavo comporta una errata classificazione della voce sotto il profilo reddituale. Non sarebbe auspicabile che gli addetti ai lavori (quindi Dottori Commercialisti, Assosoftware ed Agenzia Entrate) lavorassero su un piano dei conti standard a cui i vari applicativi potrebbero fare tutti riferimento? Il che non vorrebbe dire costringere le aziende ad utilizzare il medesimo strumento di lettura e riclassificazione dei dati contabili, mediante i software applicativi e la contabilità analitica si potrebbero comuqnue raggiungere tutti i livelli di sofisticazione de dettaglio necessari. Ma, diciamoci la verità, un piano dei conti completo e standard, quanti problemi risolverebbe ? potrebbe essere sufficiente creare una API tra dati di sintesi del piano dei conti ed applicativi fiscali per avere predisposta in tempo immediato la dichiarazione dei redditi e calcolare le imposte. Certo, chi tratta i dati contabili dovrebbe capire bene come assegnare a ciascuna operazione il sottoconto corretto, ma questo è un compito al quale siamo abituati.
Le possibili soluzioni
Sino a poco tempo fa ritenevo che il nemico della semplificazione fosse il legislatore, adesso purtroppo mi sto rendendo conto che il vero nemico del progresso è la forma mentis di coloro che ritengono che la semplificazione renderebbe immediatamente inutili tante prestazioni “professionali”, che attualmente rappresentano comunque fonte di compensi.
Le mosse da fare sarebbero poche:
- trasformare i libri contabili in files strutturati e quindi in database
- avere un piano dei conti fiscale unico e trasversale per tutti gli applicativi
- standardizzare i report delle transazioni bancarie in files xml
- interfacciare la fattura elettronica e il SDI con i vari sistemi di pagamento
- sostituire le attuali “dichiarazioni” e comunicazioni IVA in “integrazioni” dei dati già in possesso del SDI, mediante trasmissione di files xml da considerare complementari rispetto alla FE[10]
- prevedere che un qualunque documento informatico di cui sia richiesta la conservazione sottoposto a firma digitale e a marcatura temporale, se leggibile, abbia le caratteristiche previste dall’articolo 20 del C.A.D. indipendentemente dall’utilizzo delle Linee Guida di cui all’articolo 71 del C.A.D..[11]
I dati strutturati sarebbero il compendio di molti libri, registri e dichiarazioni che ci affanniamo a produrre ogni giorno. Con ciò non avremmo fatto nulla di incoerente con la tecnologia oggi esistente; avremmo solo messo i progressi a disposizione della economia.
La associazione tra il documento giustificativo (fattura, busta paga, F24, contratto locazione, etc.) e il suo pagamento, oltre a rendere pleonastica la distinzione tra i vari regimi contabili, accenderebbe un enorme faro sulla coerenza tra i documenti giustificativi e i relativi pagamenti, e ciò darebbe un sostanzioso contributo alle emersione ad operazioni di dubbia natura, ma potrebbe anche consentire la verifica dello stato di crisi di una impresa o la esistenza di un soggetto che opera una una posizione dominante, che paga chi vuole e quando vuole.
Non che le superiori proposte abbiano la pretesa di risolvere tutti i problemi, ma notare che si fa poco o nulla per semplificare realmente fa nascere il serio dubbio che la semplificazione sia solo un alibi che copra l’interesse di ciascun stakeholder di coltivare il proprio orticello, a scapito del benessere economico-sociale collettivo.
Note
- Ciò è codificato nell’articolo 1 del Decreto Legislativo 127/2015, comma 3-ter, che così recita: “I soggetti obbligati alla comunicazione dei dati delle fatture emesse e ricevute ai sensi del comma 3 del presente articolo sono esonerati dall’obbligo di annotazione in apposito registro, di cui agli articoli 23 e 25 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633”. ↑
- Si immagini ai movimenti bancari e tutte le altre operazioni contabili. ↑
- Con le modifiche apportate all’articolo 7 del D.L. 357/1994, commi 4-ter e 4-quater, con effetto dal 19/8/2022, secondo cui “4-ter. A tutti gli effetti di legge, la tenuta di qualsiasi registro contabile con sistemi meccanografici è considerata regolare in difetto di trascrizione su supporti cartacei, nei termini di legge, dei dati relativi all’esercizio per il quale i termini di presentazione delle relative dichiarazioni annuali non siano scaduti da oltre tre mesi, allorquando anche in sede di controlli ed ispezioni gli stessi risultino aggiornati sugli appositi supporti magnetici e vengano stampati contestualmente alla richiesta avanzata dagli organi competenti ed in loro presenza. 4-quater. In deroga a quanto previsto dal comma 4-ter, la tenuta e la conservazione di qualsiasi registro contabile con sistemi elettronici su qualsiasi supporto sono, in ogni caso, considerate regolari in difetto di trascrizione su supporti cartacei nei termini di legge, o di conservazione sostitutiva digitale ai sensi del Codice di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005 n.82, se in sede di accesso, ispezione o verifica gli stessi risultano aggiornati sui predetti sistemi elettronici e vengono stampati a seguito della richiesta avanzata dagli organi procedenti ed in loro presenza. ↑
- Un altro pessimo esempio di inciviltà legislativa è la asincronia tra le norme del codice civile e le norme fiscali e amministrative. ↑
- Sulla base dell’attuale calendario fiscale che fissa a novembre il termine per la presentazione delle dichiarazioni dei redditi, altrimenti entro tre mesi dal predetto termine. ↑
- Si veda la nota 3 in premessa, che fa riferimento all’articolo 7 del D.L. 357/1994, commi 4-ter e 4-quater ↑
- Vedi https://www.agendadigitale.eu/documenti/fatturazione-elettronica/conservazione-delle-fatture-elettroniche-storia-di-un-obbligo-inventato-diventato-business/ e “Conservazione delle fatture elettroniche: adempimento obbligatorio o superfluo?” sulla rivista “il Fisco” numero 36/2023. ↑
- Ricordandosi che a norma dell’articolo 2217 C.C., “L’inventario deve essere sottoscritto dall’imprenditore entro tre mesi dal termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi ai fini delle imposte dirette” ↑
- E’ il caso di un libro giornale stampato ed acquisito tramite scansione. Vero che è interpretabile tramite un OCR, ma il software di “interpretazione” snaturerebbe la originalità del documento. ↑
- In questo modo verrebbe finalmente consacrato il principio secondo cui le “dichiarazioni” e le “comunicazioni” sono già in possesso dell’Agenzia delle Entrate, devono soltanto eventualmente essere integrate con ulteriori dati e notizie. ↑
- Ovviamente mi riferisco all’ambito privato. Nel settore della pubblica amministrazione la standardizzazione dei formati ed il rispetto delle procedure è a tutela dell’interesse pubblico. Una pubblica Amministrazione deve assicurare in prospettiva la leggibilità nel tempo dei suoi documenti e la sicurezza dei processi di gestione e conservazione documentale; se un privato non assicura la leggibilità dei suoi documenti informatici (in atto, non in prospettiva) ne paga le conseguenze come omessa tenuta di libri, registri o documenti. ↑