Le audizioni intervenute in Commissione parlamentare d’inchiesta sul livello di digitalizzazione e innovazione delle pubbliche amministrazioni hanno aperto un ampio dibattito attorno alle difficoltà di alcuni dei progetti sistemici, focus dell’Agenda Digitale Italiana (in particolare ANPR e CIE). Dibattito che ha intensificato il campanello d’allarme sul rischio di un concreto rallentamento nella trasformazione digitale della pubblica amministrazione italiana. Di recente, poi, il Presidente della stessa Commissione d’inchiesta ha denunciato che, a sette mesi dall’entrata in vigore degli obblighi (art. 17 CAD), solo il Ministero dell’Interno ha nominato il responsabile per la transizione al digitale e soltanto il Comune di Venezia ha provveduto alla nomina del difensore civico per il digitale, sollecitando quindi l’intervento del Commissario Diego Piacentini.
La sensazione è che non si stia cogliendo l’importanza di strutturare il livello organizzativo per agevolare la transizione al digitale e che le pubbliche amministrazioni stiano di fatto attuando l’ennesimo rinvio ad libitum delle prescrizioni normative. In tale ottica, se si volesse ipotizzare un “tagliando” sul grado di attuazione del sistema organizzativo pubblico delineato dal riformato CAD, sarebbe interessante considerare anche quali e quante politiche formative siano state finora pianificate dalla pubblica amministrazione per lo sviluppo di competenze digitali, interdisciplinari e manageriali del proprio personale (come previsto dall’art. 13 del CAD).
Date le premesse, è ragionevole presumere che anche i piani formativi delle PA – ancorché necessari al processo organizzativo e al cambiamento – non siano oggetto della giusta attenzione da parte delle amministrazioni. Se poi restringiamo il campo alle amministrazioni minori, gli ultimi dati Istat confermano come, nei piccoli comuni, si parli una lingua altra in materia digitale.
I comuni fino a 15.000 abitanti che – dati alla mano – governano oltre il 35% della popolazione italiana (circa 23 milioni di persone), oggi più che mai rivelano un alto grado di “vulnerabilità”: risorse carenti, anzianità del personale, scarso turnover, piani formativi assenti o insufficienti, figure dirigenziali che – laddove presenti – spesso non esprimono particolare attenzione al cambiamento. A ciò si aggiunga l’eccessivo proliferare di norme e adempimenti e, last but not least, un sempre più evidente distacco centro-periferia. Insomma, le piccole amministrazioni non stanno certo in buona salute e l’attuale quadro di finanza pubblica non le aiuta.
In tale contesto, anche il capitale umano appare accantonato, rimanendo poco valorizzato e male utilizzato. Il gap tecnologico e culturale dei (pochi) dipendenti, è parte della quotidiana azione amministrativa; esso crea demotivazione che incide sul grado di benessere organizzativo, influenza negativamente il clima interno, rafforza – anziché combattere – la cultura dell’adempimento per gravare, in ultima analisi, sulla qualità dei sevizi al cittadino.
Poiché anche nei piccoli comuni l’innovazione comincia dalle persone, dalle loro professionalità e competenze, la valorizzazione del personale – tema centrale della rivoluzione digitale – diviene nelle amministrazioni minori l’elemento fondante il cambiamento interno e del territorio.
La sfida quindi passa dalla formazione. Basata sui principi del lifelong learning, costruita su parole chiave come cooperazione e contaminazione, capace di assicurare percorsi di qualificazione umana e professionale. Molti dipendenti pubblici dei territori hanno colto da tempo la sfida della trasformazione digitale; ma molti altri ancora sono pronti a mettersi in gioco per partecipare attivamente al cambiamento in corso, percepito come obiettivo di tutti.
Affinché i comuni medio-piccoli e piccoli non siano esclusi da questo processo che riguarda l’intera pubblica amministrazione, è importante costruire ponti formativi tra amministrazioni pubbliche, con azioni volte ad innescare conoscenza a cascata. A questo scopo, le amministrazioni dovrebbero sostenere la creazione di reti di pubblici dipendenti capaci di coinvolgere le organizzazioni tutte affinché, allo scattare dello swich-off, il Paese possa trovare in ogni sua struttura pubblica persone culturalmente pronte a muoversi, senza ostacoli, in una organizzazione nativamente digitale.
Infine, è noto che il risultato dei processi formativi non si smonta: successivi cambi di governo e/o scelte politiche diverse non potranno di certo inficiare ciò che le reti di persone riusciranno nel frattempo a costruire.