Il decreto con le nuove regole per il Green pass sul luogo di lavoro è diventato legge. È stata infatti pubblicata in Gazzetta Ufficiale la legge di conversione 165/2021, dunque le regole del decreto per il green pass e lavoro sono ufficialmente entrate in vigore. Sono molti i problemi che ne derivano, alcuni dei quali difficilmente risolvibili e dovuti alla ormai evidente confusione che attanaglia il legislatore, impegnato ormai da mesi a emanare norme del tipo “dopo la parola 15 giorni, si inserisce la parola settimane e si elimina il capoverso 1 ma non l’1 bis”. Anche solo scrivere queste norme diventa difficile se non si ha una chiara visione di insieme, che di sicuro manca.
Una legge che non razionalizza, che non semplifica ma, anzi, crea confusione dove ormai c’erano procedure ben oliate (nonostante un attimo di resistenza nelle fasi iniziali). “Un bel tacere non fu mai scritto” ecco, è questa la sensazione che ancora una volta lascia la lettura di queste norme emergenziali di quella che ormai emergenza non è più ma è vita quotidiana. Lascia l’amaro in bocca tutto ciò e non è finita considerando che a breve verrà emanato anche il Decreto Compendi.
Controlli Green pass sul luogo di lavoro, le difficoltà di comunicazione
Anche solo pensare che la Legge 165/2021, converte e modifica il DL 127/2021 che a sua volta modifica ed integra il DL 52/2021…sembra uno scioglilingua ma invece è una normativa che, per chi la legge dovrebbe essere chiara. Nulla di più lontano. Non è un caso se anche le più note piattaforme giuridiche, a due giorni dall’entrata in vigore non hanno ancora emendato il DL 52/21. È un lavoro complesso, fatto di sostituzione di piccole parole e di inserimento di articoli bis, ter.
Green pass aziende, guida agli obblighi per lavoratori e datori
Legge Green pass, le verifiche sul posto di lavoro
In tutta questa confusione è quindi naturale (ma non giustificabile) che si perda il filo e si scrivano degli abomini giuridici come accaduto con la modifica dell’art 9 septies del DL 52/2021 il quale prevede ora: “Al fine di semplificare e razionalizzare le verifiche di cui al presente comma, i lavoratori possono richiedere di consegnare al proprio datore di lavoro copia della propria certificazione verde COVID-19. I lavoratori che consegnano la predetta certificazione, per tutta la durata della relativa validità, sono esonerati dai controlli da parte dei rispettivi datori di lavoro”. Questo comma (replicato pedissequamente anche per l’ambito pubblico) è totalmente fuori luogo e privo di fondamento giuridico e fattuale in ogni sua singola parola. Leggiamolo assieme. Si parte dicendo “al fine di semplificare e razionalizzare le verifiche”. Ora -tralasciando il fatto che ultimamente parrebbe quasi che la finalità di “semplificare” sia utilizzata dal legislatore come lascia passare per fare approvare ogni schifezza normativa- mi chiedo e chiedo a chi legge: ma è vero che questo comma semplifica e razionalizza qualcosa?
Sicuramente non semplifica. Se prima, per entrare in ufficio era sufficiente passare il proprio pass al vaglio della app VerificaC19 (durata, un secondo), ora il lavoratore potrà scegliere se sottoporsi al vaglio della app, oppure se fare una copia del certificato e lasciarla al datore. Questo complica la vita al datore il quale, se prima non trattava alcun dato, ora potrebbe avere un archivio di dati sensibili dei lavoratori che non ha storicamente mai avuto.
È difatti ormai granitica la tendenza del legislatore e della dottrina a far si che il datore non veda, ad esempio, le valutazioni del medico del lavoro, il quale invia solo certificato di idoneità. Il datore non ha mai nemmeno conosciuto lo stato vaccinale, abbiamo complicato la vita per anni ai datori, proprio per evitare che potessero trattare dati sensibili e poi spunta il legislatore, senza badare alla storia del diritto del lavoro, e promulga un emendamento che consente al titolare di trattare i certificati. Questo, oltre ad essere un trattamento di dati sensibili, complica di molto la vita al datore il quale dovrà predisporre misure di sicurezza idonee, nominare i soggetti che tratteranno il dato e fare ogni più opportuna valutazione relativa a questi trattamenti.
Le difficoltà dei controlli in entrata
Non solo, un’altra complicazione riguarda chi è addetto alla verifica in entrata. Già, perché non tutti chiederanno al datore di trattenere una copia del green pass, quindi il soggetto all’entrata, si troverà a dover capire chi ha effettivamente diritto a non esibire il pass e chi invece deve farlo. Questo genera ampie aree di incertezza aumentando il rischio che qualcuno entri senza dimostrare di averne titolo.
Il ruolo del datore di lavoro
Non solo, quanto alla presunta razionalizzazione, si evidenzia che questa norma è tutto tranne che razionale. Il green pass, è nato come strumento volto ad abbassare il rischio contagi. Quando è stato introdotto si è deciso di propendere per un controllo quotidiano proprio per far si che ogni variazione della certificazione emergesse tempestivamente. Mi spiego meglio. La scadenza del mio pass è a gennaio. Se domani mi dovessi contagiare covid, il mio pass risulterebbe rosso. In caso di controllo quotidiano questa circostanza emergerebbe. In caso di semplice consegna del pass al datore (con esenzione dal controllo quotidiano) questa circostanza non emergerebbe ed io potrei entrare tranquillamente in ufficio e contagiare tutti.
Sul punto si evidenzia poi che, oltre al danno, c’è la beffa. Il datore infatti è comunque responsabile per la sicurezza sul luogo di lavoro. Non solo, proprio il DL 52, come anche le FAQ ministeriali evidenziano che il datore se non controlla il rispetto della normativa sul green pass è soggetto a sanzioni. Quindi, si trova nella paradossale situazione di dover comunque controllare, seppur a campione, i soggetti che hanno consegnato il certificato. Dove sta la razionalità in tutto ciò? Ve lo dico io: non c’è alcuna ratio. Non semplifica, non razionalizza. Non fa altro che inciampare su se stesso il legislatore che ha scritto questa norma.
Proseguendo nell’analisi del testo leggiamo che “i lavoratori possono richiedere di consegnare al proprio datore di lavoro copia della propria certificazione verde”. Ora, in primo luogo la domanda che in molti si sono posti è: posto che il datore può chiedere, il lavoratore può rifiutarsi? La norma non parla di obbligo quindi verrebbe da dire che il datore in effetti abbia un certo margine. È così? Non si sa. La verità è che probabilmente a breve pubblicheranno delle nuove FAQ (ormai considerate vere e proprie fonti del diritto) in cui si dirà di interpretare la norma in modo difforme dal dettato letterale.
Legge Green pass in azienda e trattamento dei dati
Sia chiaro, non si tratta di una mera querelle in quanto dalla soluzione di questo passaggio possiamo anche capire quale sia la base giuridica che giustifica il trattamento. Un obbligo di legge? Beh, se non è obbligatorio, forse no. Il consenso? Escluderei questa soluzione in quanto, come ormai evidente a tutti, il consenso è viziato in caso di squilibrio. In tal senso è condivisibile quanto espresso dal Garante Stanzione “né, del resto, la prevista facoltà di conservazione del green pass può ritenersi legittima sulla base di un presunto consenso implicito del lavoratore che la consegni, ritenendo il diritto sottesovi pienamente disponibile. Dal punto di vista della protezione dei dati personali (e, dunque, ai fini della legittimità del relativo trattamento), il consenso in ambito lavorativo non può, infatti, ritenersi un idoneo presupposto di liceità, in ragione dell’asimmetria che caratterizza il rapporto lavorativo stesso”
Eppure la norma sembrerebbe prevedere un meccanismo molto simile al consenso in quanto il lavoratore chiede di fare qualcosa al datore. Sul punto ricordiamo che le richieste dell’interessato ex art 6 GDPR non possono fondare il trattamento dovendo il fondamento essere ricercato nell’art 9. Ebbene, la soluzione in tal senso sembrerebbe essere la seguente: il lavoratore ha la possibilità di esercitare un diritto, al quale consegue un obbligo del datore. Un obbligo dunque derivante da legge, una legge che non parla di obbligo.