La lotta all’evasione fiscale passerà anche da una maggiore trasparenza dei flussi informativi e da una più efficace collaborazione tra big tech del web e autorità fiscali. Sono questi due degli obiettivi che il legislatore europeo intende perseguire con la DAC7, cioè la recente direttiva (UE) 2021/514, grazie alla quale i Paesi membri potranno intercettare parte del gettito sfuggito al loro radar impositivo in quanto collegato ai redditi apolidi di chi fa business tramite piattaforme digitali.
Una misura adottata in tempi da record se si considera che l’iter legislativo è stato completato in soli 8 mesi dalla pubblicazione della proposta (2020/0148(CNS) – 15/07/2020) il che, tra altro, offre una idea chiara della coesione degli Stati membri sulla tematica.
Per raggiungere i predetti obiettivi la DAC 7 introduce a partire dal primo gennaio 2023 l’obbligo per i gestori delle piattaforme digitali di comunicare alle amministrazioni fiscali dei Paesi dell’Unione europea alcuni dati relativi alle operazioni effettuate sui loro portali anche in materia di locazione di immobili, cessione di beni e prestazione di servizi, noleggio mezzi di trasporto. Non secondaria attenzione va posta ai profili sanzionatori atteso che i comportamenti contrari alla DAC 7 potranno essere puniti persino con lo stop dell’attività del gestore.
Transazioni digitali e perdita di gettito
Negli ultimi anni, anche per effetto dell’emergenza legata alla diffusione del Covid-19, le principali imprese digitali multinazionali hanno registrato una crescita esponenziale delle transazioni tra utenti fruitori dei servizi offerti tramite le loro piattaforme digitali. La rapidità con cui si è evoluta l’economia digitale e, soprattutto, la dimensione transfrontaliera dei servizi digitali erogati da imprese multinazionali del web stabilite in giurisdizioni, che spesso non garantiscono un adeguato scambio di informazioni ai fini fiscali, hanno dato luogo al proliferare di fenomeni di frode, evasione e elusione fiscali con conseguenti perdite di gettito fiscale da parte di molti Stati membri dell’Unione europea.
Questa vera e propria emorragia di risorse verso paesi esterni ha fatto emergere, in seno alla comunità internazionale, la necessità di elaborare un piano ampio e articolato di misure finalizzate all’implementazione dello scambio di informazioni e al rafforzamento della cooperazione amministrativa tra Stati membri nel settore fiscale.
DAC, la soluzione della UE
In tale contesto si collocano parte delle misure adottate dal Consiglio dell’Unione europea nell’ambito di una strategia avviata con l’emanazione della direttiva sulla cooperazione amministrativa in ambito fiscale dell’Unione Europea 2011/16/EU (nota come DAC) da integrarsi di volta in volta con nuove direttive e regolamenti in modo tale da rendere sempre più trasparenti le operazioni transfrontaliere e lo scambio di informazioni.
Con la Comunicazione COM(2020) 314 final del 15 luglio 2020, facendo seguito alle indicazioni del Consiglio del 29 maggio 2020, la Commissione considerando che “la pandemia di COVID-19 rende ancora più urgente la necessità di proteggere le finanze pubbliche e di limitare le conseguenze socioeconomiche della crisi” (Comunicazione COM(2020 314 final, par. 1), aveva proposto un ambizioso intervento composto di diverse iniziative miranti a contrastare le violazioni fiscali facilitate dalla digitalizzazione dell’economia, a rendere più efficiente il recupero delle imposte non pagate nonchè a contrastare le frodi in materia Iva. La prima attuazione di tale progetto si è sostanziata nella Direttiva UE 2018/822 del Consiglio del 25 maggio 2018 (DAC 6) recepita in Italia dal D.Lgs. 30 luglio 2020, n. 100.
La misura più recente: la DAC 7
Da ultimo, il 25 marzo 2021 è stata pubblicata, nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, la DAC 7 che mira a integrare la DAC modificandone alcune disposizioni esistenti in materia di scambio di informazioni e di cooperazione amministrativa, ed estendendone l’ambito di applicazione alle informazioni comunicate dai gestori delle piattaforme digitali.
Muovendo da tali premesse ed entrando più in dettaglio, con il recente intervento normativo è stata prevista l’integrazione: delle disposizioni (articolo 5, DAC 1) sullo scambio di informazioni su richiesta, con riferimento alla richiesta connotata da “prevedibile pertinenza” (“foreseeable relevance”) e a quelle collettive (“Group request”), nonché delle disposizioni (articoli 8 e 8a, DAC 1), sullo lo scambio automatico di informazioni su richiesta, con riferimento all’introduzione di una nuova categoria di redditi soggetti a comunicazione automatica (cioè i canoni) e un più esaustivo set informativo.
Ai sensi della DAC 7 si considerano prevedibilmente pertinenti le informazioni richieste se, al momento della richiesta, “l’autorità richiedente ritiene che, conformemente alla sua legislazione nazionale, vi sia una ragionevole possibilità che le informazioni richieste siano pertinenti per le questioni fiscali di uno o più contribuenti, identificati nominativamente o in altro modo, e siano giustificate ai fini dell’indagine”. La normativa pone in capo allo Stato richiedente l’onere di dimostrare nella propria istanza, “la prevedibile pertinenza delle informazioni richieste”.
Le disposizioni sulle richieste collettive
Venendo alla nuova disposizione dedicata alle richieste collettive, essa prevede che una richiesta di informazioni può anche riguardare un insieme di contribuenti non identificati “individualmente”, in tal modo ampliando l’ambito soggettivo delineato in sede di proposta della Direttiva che prevede che i destinatari fossero quantomeno “descritti solo sulla base di un insieme comune di caratteristiche”. Al riguardo è disposto che l’autorità richiedente debba essere in grado di fornire una descrizione “dettagliata del gruppo” e delle ragioni giuridiche e fattuali a fondamento dell’attribuzione di responsabilità nei confronti del gruppo, o di eventuali terzi soggetti, per specifiche violazioni tributarie.
Passando poi alla norma dedicata all’estensione dello scambio automatico obbligatorio di informazioni, attualmente previsto con riferimento a specifiche tipologie di redditi (redditi da lavoro dipendente, compensi amministratori, prodotti assicurativi, pensioni e redditi immobiliari), viene disposto l’ampliamento dell’ambito oggettivo a “tutte le informazioni riguardanti i residenti” di cui dispongono gli Stati Membri riprendendovi e includendovi anche altre tipologie di redditi quali i canoni (royalty) nonché i ruling preventivi e agli accordi preventivi sui prezzi di trasferimento (“APA”).
Il nuovo obbligo di reporting per i gestori di piattaforme commerciali digitali
Una delle novità di maggiore interesse introdotte dalla DAC 7 riguarda, come anticipato, le nuove disposizioni (artt. 8ac e 12a) relative a specifici obblighi di comunicazione posti in capo ai gestori delle piattaforme commerciali digitali ed al rafforzamento della cooperazione amministrativa tra Amministrazioni fiscali.
A tal fine la Direttiva reca una definizione assai ampia dei gestori individuandoli in tutte quelle entità che svolgono attività commerciali nella EU e “che stipulano un contratto con i venditori per mettere a loro disposizione tutta o parte di una piattaforma” digitale. In tale prospettiva, per entità deve intendersi una persona giuridica o un istituto giuridico quale una società di capitali, una società di persone, un trust o una fondazione. Sono, poi, ricompresi nell’alveo soggettivo anche le entità che non siano state costituite, né abbiano la residenza o una stabile organizzazione ai fini fiscali in UE; per queste entità è stato introdotto un obbligo di registrazione in uno degli Stati dell’unione.
Va osservato che la Direttiva prevede oneri comunicativi affievoliti o esclusi nei casi in cui esistano accordi e adeguate disposizioni che garantiscano lo scambio di informazioni tra una giurisdizione non-UE e uno Stato membro. In tali casi il gestore potrebbe non essere tenuto a registrarsi né all’obbligo di comunicazione in uno Stato membro qualora la giurisdizione straniera, nell’ambito di un sistema di reporting conforme al “Model Rules for Reporting by Platform Operators with respect to Sellers in the Sharing and Gig Economy” elaborato dall’OCSE, a sua volta fosse tenuti in virtù degli accordi ad inviare dette informazioni alle amministrazioni fiscali degli Stati membri.
Il ruolo del venditore
La figura del venditore si sostanzia, invece, nell’utente attivo della piattaforma, sia esso una persona fisica o un’entità, che nel periodo oggetto di comunicazione svolge un’attività rilevante secondo la DAC 7 percependone un corrispettivo. L’obbligo di comunicazione è, tuttavia, escluso al ricorrere di parametri indicativi della rilevanza dell’attività del venditore e della sua qualità. Sicché è considerato non rilevante il venditore al quale la piattaforma abbia facilitato meno di 30 transazioni e per le quali il corrispettivo non abbia superato i 2.000 euro nell’anno considerato. Inoltre, nell’ottica di ridurre oneri eccessivi di compliance per alcune categorie di venditori “professionali” (e.g. catene alberghiere, operatori turistici) sono state previste delle soglie di rilevanza che fanno scattare l’obbligo di comunicazione. Più precisamente, soggiacciono all’obbligo i gestori la cui piattaforma digitale abbia facilitato più di 2.000 transazioni per l’affitto di immobili in relazione a una “Proprietà Inserzionata”. Infine, sono considerati venditori esclusi dall’ambito di applicazione della Direttiva sia le entità statali sia le entità quotate in un mercato regolamentato di valori mobiliari.
Le attività rilevanti
Di contro, per individuare le attività oggetto di comunicazione potrà farsi riferimento al carattere di onerosità delle stesse. La Direttiva prevede, infatti, che siano rilevanti le attività svolte “al fine di percepire un corrispettivo” indipendentemente dal loro mercato di sbocco (europeo o internazionale). Nello specifico, le attività rilevanti sono quelle che attengono alla:
- locazione di beni immobili;
- servizi personali;
- vendita di beni;
- noleggio di qualsiasi mezzo di trasporto.
Va osservato che tra le informazioni oggetto di comunicazione vi sono anche dati “sensibili” quali, a titolo esemplificativo, l’identificativo del conto finanziario su cui il corrispettivo è pagato o accreditato (se noto al gestore) e ogni ulteriore informazione di natura finanziaria in possesso del gestore di piattaforma; ogni Stato membro in cui il venditore oggetto di comunicazione è residente; il corrispettivo totale versato o accreditato nel corso di ogni trimestre del periodo oggetto di comunicazione; eventuali diritti, commissioni o imposte trattenuti o addebitati dalla Piattaforma con obbligo di comunicazione per ogni trimestre del periodo oggetto di comunicazione; in caso di locazione di immobili, se disponibili, i dati catastali e numero dei giorni di locazione di ciascun immobile durante il periodo oggetto di comunicazione.
Non dovrebbero, comunque, porsi criticità o interferenze con la normativa sulla privacy, e in particolare con il GDPR, posto che il legislatore europeo ha espressamente richiesto agli Stati membri di garantire il livello massimo di tutela nel trattamento dei dati nel rispetto delle norme e dei regolamenti europei in materia.
Le conseguenze per chi non si adegua
Altro profilo cui rivolgere particolare attenzione è quello riguardante le violazioni della DAC 7. Difatti, per i gestori delle piattaforme che si sottraggono all’adempimento sono previste sanzioni particolarmente severe che possono portare anche alla sospensione di accesso al mercato.
I controlli delle autorità fiscali delle giurisdizioni dell’UE, e quindi anche quelli dell’Agenzia delle entrate per quanto riguarda l’Italia, saranno facilitati dalla piena efficacia operativa della DAC 7 la cui attuazione nei Paesi membri è prevista al più tardi a partire dal 2024. Piena operatività, peraltro, che consentirà alle autorità competenti di effettuare controlli congiunti grazie anche all’esperienza maturata nell’ambito del programma Fiscalis 2020 istituito dal regolamento (UE) n. 1286/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio.
Per effetto della DAC 7 sarà, in definitiva, richiesto ad alcuni dei principali players della digital economy quali Amazon, Airbnb, Google, eBay, Facebook, Uber, di condividere con le autorità fiscali talune informazioni rilevanti dei venditori che operano nelle loro piattaforme digitali nonché di verificarne l’attendibilità sulla base delle informazioni e i documenti di cui dispongono. Una collaborazione “forzata” che pare trasformare questi colossi del web, da principali indiziati di strutture opache e di manovre di elusione fiscale, in veri e propri “sostenitori” della trasparenza e del fisco.