Scenario

Dal CAD al futuro della e-fattura, la strada da fare

L’intervento di Guido Scorza sul metodo di lavoro e sugli obiettivi del Team per l’Italia Digitale di Diego Piacentini in materia di CAD accende il dibattito: separare il Codice dello Stato Digitale da una Carta della Cittadinanza digitale, partire dalle best practice, l’esempio del processo telematico (che funziona male) e quello degli enti pubblici che stanno digitalizzando

Pubblicato il 06 Feb 2017

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Emergono una serie di critiche e suggerimenti utili dai primi riscontri che arrivano da esperti e addetti ai lavori sulle considerazioni proposte da Guido Scorza sul CAD, molte delle quali concentrate sull’esigenza di un cambio di paradigma: meno codici, più codice è forse il punto centrale del discorso. Che significa, spiega lo stesso esponente del Team per l’Italia Digitale, «fare in modo che nelle leggi — generali e astratte per definizione — vengano scolpiti solo i principi capaci di resistere al tempo e incapaci di imbrigliare innovazione e tecnologie nel passato, tenendo il Paese lontano dal futuro».

Molti dei commenti che abbiamo raccolto si concentrano sul modo in cui operare questa trasformazione: le leggi fissano i principi, in modo flessibile rispetto a un’innovazione tecnologica molto veloce e difficile da prevedere, le regole tecniche assicurano che il principio sia rispettato, utilizzando il miglior strumento possibile per garantire al cittadino il diritto al servizio.

Eugenio Prosperetti fa una serie di esempi, partendo dalla giustizia telematica, per mettere in guardia contro una serie di errori del passato, che portano a creare una sorta di duplicazione fra il procedimento digitale e quello tradizionale, senza che questo riesca effettivamente a tradursi in un vantaggio per il cittadino, anzi a volte ottenendo un appensantimento delle procedure anziché una maggior chiarezza. E propone di separare il percorso del CAD, un codice per addetti ai lavori, da una Carta della Cittadinanza digitale, da scrivere ex novo. Un’altra indicazione di metodo arriva da Giacomo Bandini, che propone di partire dalle best practice, un po’ sul modello smart cities.

Mariella Guercio, nel criticare l’ennesimo rinvio sugli obblighi di digitalizzazione dei documenti da parte delle PA, sottolinea come in realtà di enti pubblici che proseguono virtuosamente sulla strada della digitalizzazione ce ne sono parecchi (Banca d’Italia, INPS). Potremmo aggiungere l’Agenzia delle Entrate: un documento che negli ultimi due anni si sta dematerializzando con un ritmo relativamente degno del terzo millennio è la dichiarazione dei redditi. E’ diventata precompilata nel 2015, è cresciuta nel 2016 (raggiungendo 60 milioni di contribuenti), si arricchisce di nuovi dati nel 2017 (farmaci da banco, spese veterinarie, occhiali).

Gli adempimenti per effettuarla coinvolgono molti soggetti diversi: il Fisco, che ha dovuto predisporre adeguati servizi informatici utilizzabili facilmente dai contribuenti, gli enti previdenziali, banche, assicurazioni e società finanziarie, ospedali, medici, farmacie. Ci sono state proroghe (nel 2016 le farmacie non sono riuscite a trasmettere tutti i dati relativi ai farmaci da banco, che quindi confluiranno per la prima volta nella precompilata quest’anno). Ma la macchina è partita in un tempo relativamente breve: annunciata a metà del 2014, è partita nel 2015, con 20 milioni di 730 precompilati, e ha raddoppiato nel 2016, con 30 milioni di 730 e 10 milioni di modello UNICO.

Lo stesso si può dire, pur fra le criticità che ancora rimangono, della fatturazione elettronica. Tutte le pubbliche amministrazioni, dall’estate del 2016, ricevono e inviano solo fatture elettroniche, e da questo 2017 ci sono incentivi anche per farla partire fra i privati: insufficienti, però, nota Santacroce. In entrambi i casi, dichiarazione dei redditi e fatturazione elettronica, le norme e i provvedimenti attuativi sono stati pensati ad hoc, non inseriti in leggi omnibus, come invece è avvenuto, e sta ancora avvendendo, per il CAD.

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