Nuovi dati

Eurostat 2017, Italia digitale inchiodata ai ritardi

Dai primi dati Eurostat su cui si baserà il DESI 2018 emerge una situazione europea sostanzialmente stazionaria con la conferma dell’arretratezza delle PMI, e un ritardo italiano che rimane intatto nonostante le iniziative lanciate da AgID e Team Digitale

Pubblicato il 27 Dic 2017

Nello Iacono

Esperto processi di innovazione

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Delude anche quest’anno la rilevazione Eurostat sui dati della Digital Economy and Society in Europa, la cui elaborazione porterà nei prossimi mesi al calcolo del DESI (Digital Economy and Society Index). La situazione rimane sostanzialmente stazionaria e i progressi, dove presenti, sono di scarsa entità e non tali da raffigurare uno scenario in cambiamento.

Come nel 2016, rimane positivo anche quest’anno il trend nelle aree in cui erano già stati raggiunti i target europei fissati per il 2015, come

  • Popolazione che usa servizi di eGovernment e trasmette moduli, che nel 2017 sale al 30% (2% in più del 2016);
  • Popolazione che acquista online, che va al 57% nell’Europa a 28 (2% in più del 2016).
  • Popolazione che usa internet regolarmente, che va al 81% (2% in più del 2016);
  • Popolazione che non ha mai usato internet, che va al 13% (consolidando il superamento del target del 15%, fissato per il 2015 e raggiunto l’anno scorso).

Stenta molto invece la crescita su due indicatori per cui l’Europa non riesce ancora a raggiungere il valore target fissato per il 2015:

  • Popolazione che usa servizi di eGovernment continua a crescere, anche se moderatamente, arrivando al 49% (1% in più del 2016) ancora inferiore però al target del 50% fissato per il 2015);
  • PMI che vendono online non registra alcun progresso, fermo al 17%, ancora ben 16% in meno del target fissato per il 2015. Dopo gli ultimi lievi progressi del 2016, il dato di quest’anno evidenzia una forte difficoltà da parte delle PMI europee nel partecipare alla strategia di crescita digitale.

I problemi chiave che avevamo evidenziato nell’analisi dei dati 2016 rimangono invariati e, se possibile, aggravati da un anno sostanzialmente infruttuoso per la politica europea del digitale:

  • I divari tra i Paesi rimangono ancora troppo elevati. Anche nel 2017 non si sono riscontrate azioni di rilievo sulla diffusione delle buone pratiche, né si è riusciti a creare un ambiente favorevole per lo sviluppo di tutti i Paesi, e i risultati lo evidenziano in modo chiaro. La spinta sulle politiche del Digital Single Market va certamente in questa direzione, ma anche quest’anno gli effetti non si vedono. La situazione rimane così divaricata tra Paesi virtuosi e ritardatari che monitorare il valore medio è sempre più un esercizio di stile, con poco significato sostanziale. Gli esempi vengono dagli indicatori chiave: per Popolazione che non ha mai usato Internet la media del 13% si ottiene grazie a Paesi come la Danimarca, che è al 2%, e Paesi con gravi ritardi, come la Bulgaria (al 30%) o la Romania (al 27%); oppure quello sulla popolazione che acquista online, dove il 57% è la media tra l’82% della Danimarca e il 16% della Romania (l’Italia è al 32%);
  • Il ritardo delle PMI sul digitale, come sottolineavo prima, rimane molto elevato. L’indicatore più critico (PMI che vendono online), è rimasto fermo al 17%, molto basso, ed è derivato, infatti, dal 30% dell’Irlanda (stabile rispetto al 2016) e da percentuali del 28% di Paesi come Svezia, Norvegia, Danimarca e dal 7% della Bulgaria o dall’8% di Romania e Italia. Il tema del ritardo delle PMI sul digitale è complesso, ma il basso livello di competenze digitali dei lavoratori, dei manager e degli imprenditori è certamente una delle cause di maggior peso per giustificare questa sostanziale stagnazione.

Anche il lancio della nuovaDigital Skills and Jobs Coalitionnon ha prodotto i risultati attesi, anche per una carenza di coordinamento che rende la strategia di ciascun Paese come sostanzialmente non correlata in un programma europeo di intervento. Basta, a questo proposito, notare come solo alcuni Paesi abbiano definito una coalizione “nazionale” e quindi con coordinamento governativo, e alcuni (come l’Italia) che pure l’avevano costruita (e che avrebbero un gran bisogno di un programma nazionale), ora non ce l’hanno più.

La situazione dell’Italia

È vero che i cambiamenti profondi hanno bisogno di tempo per evidenziare risultati significativi, ma dalla rilevazione di quest’anno ci si aspettavano maggiori progressi. E invece anche nel 2017 non si può parlare di recupero nei confronti degli altri Paesi Europei. In qualche caso il progresso è maggiore della media europea, ma non al punto da far pensare che abbiamo già avviato un cambio di passo.

In particolare, rimane decisamente alta (22%) la percentuale di chi non ha mai usato Internet, anche se la riduzione che si registra (quasi il 3%) è comunque significativa, pur non spostando molto la posizione relativa in un panorama in cui si registrano riduzioni anche superiori (Portogallo, Slovenia, Cipro) e paesi come Francia e Germania hanno percentuali inferiori alla metà di quelle dell’Italia e alcune continuano pure a diminuire.

Non abbiamo ancora i dati italiani 2017 per l’indice sul livello delle competenze digitali, basato su DIGCOMP, che ci vedeva nel 2016 stazionari con solo il 43% di popolazione in possesso di competenze digitali “di base o superiori”. Chi ci aveva superato, come la Polonia, è cresciuta ancora nel 2017 fino al 46% e tra i Paesi che ci seguivano, a parte la mancanza di progressi di Romania e Bulgaria, Cipro fa un balzo al 50%. L’obiettivo è però recuperare sui Paesi simili come dimensione economica, come Spagna (55%), Francia (57%), Germania (68%), con la media europea al 57%, in lieve progresso rispetto al 2016. A parte dei fenomeni estremi che hanno probabilmente cause specifiche nelle modalità di rilevazione (la Repubblica Ceca che aumenta in un anno del 6% la sua percentuale e la Crozia che la vede ridurre del 9%), i dati 2017 sostanzialmente sono uguali o lievemente migliori di quelli 2016. Insomma, nessun cambio di passo.

Lievi progressi (2%) e bassa ancora la percentuale di chi in Italia utilizza Internet regolarmente (69%), dietro a un Portogallo che, dopo aver lanciato un programma nazionale per le competenze digitali, continua a progredire (adesso è al 71%). Dati preoccupanti anche per gli usi di Internet, dove il DESI ci piazzava all’ultimo posto nell’ultima rilevazione e che sembra confermarsi, se valutiamo la stasi sostanziale sugli usi più significativi come l’internet banking (dove l’Italia passa dal 29 al 31% e la Spagna, ad esempio, dal 43% al 46%), la partecipazione ai social network, la lettura di quotidiani online, l’ascolto di musica, la visione di video e pure l’utilizzo dell’e-commerce (dove un buon progresso del 3% porta la percentuale di utilizzo al 44%, senza modificare sostanzialmente il rapporto con gli altri Paesi).

La forbice tra le regioni rimane significativa, e comunque permane la situazione di generale ritardo del 2015. In particolare, rispetto all’uso regolare di Internet, la differenza tra la prima regione (la Liguria, che con un progresso notevole del 6% va al 76%) e la Calabria (la peggiore, con il 57%) ci sono ben 19 punti. Il dinamismo territoriale è molto diversificato: anche la Sicilia ha un incremento del 6%, mentre la Lombardia decresce del 2%.

La delusione forse maggiore è sull’utilizzo dei servizi di e-government, dove evidentemente non si vedono ancora gli effetti delle politiche nazionali, con alcuni programmi strategici che non hanno ancora dispiegato risultati significativi al momento della rilevazione (vedi Spid, linee guida per il design dei siti web) e dove l’adesione delle PA è ancora timida e lenta. Di fatto, la situazione rimane invariata rispetto al 2016, anzi con un regresso rispetto alla media europea. Infatti, la percentuale di chi ha sottoposto moduli compilati all’amministrazione ha un lieve progresso al 13% contro una media europea del 30%, cresciuta più dei valori italiani.

Sull’utilizzo del digitale da parte delle imprese, la posizione delle PMI italiane rimane anche nel 2017 tra le più basse: la percentuale di PMI che vendono online è dell’8% (davanti solo alla Bulgaria), sostanzialmente stazionaria, in una situazione di criticità diffusa e con alcuni Paesi, però, come Spagna e Germania, che sono su percentuali rispettivamente del 20% e del 23%.

Alcune riflessioni conclusive

Si pensava che il 2017 potesse essere nell’ambito del digitale l’anno in cui iniziavano a essere registrati i primi risultati positivi, ma non è stato così. Il miglioramento è abbastanza diffuso su tutto gli indicatori, ma con un andamento troppo lento, non tale da permettere recuperi nei confronti degli altri Paesi europei. Le nuove iniziative (non tutte quelle necessarie) sono ancora in fase di avvio, con un dispiegamento non completato, e quindi impatti poco evidenti.

Sul fronte dell’innovazione della pubblica amministrazione il 2017 ha visto il mancato sviluppo della diffusione di SPID, dove sono ancora 2 milioni le identità rilasciate, e perduranti incertezze sul completamento di ANPR, per cui era stato definito un obiettivo del 100% di comuni subentrati a fine 2016, che invece ha visto il 2017 chiudersi con 35 subentri e per cui viene riproposto l’obiettivo (altamente improbabile) del completamento entro il 2018.

Evento positivo del 2017 è stata certamente la pubblicazione del Piano Triennale per l’IT delle PA, che fornisce un respiro di programmazione chiaro a tutte le iniziative della PA digitale, anche se non interviene a sufficienza sui temi chiave delle competenze e della gestione del cambiamento, fondamentali per porre in essere una reale innovazione. E anche la revisione del CAD è stata importante per sbloccare punti nodali come il domicilio digitale.

Sta di fatto, però, che alle porte di un 2018 che sarà caratterizzato dalle elezioni politiche e che prevede la conclusione dei mandati del Commissario Straordinario per l’attuazione dell’Agenda Digitale e del direttore di AgID, il non poter riscontrare dei risultati significativi è certamente critico, e la stagnazione su molti settori (uno dei più preoccupanti è quello delle PMI) induce a pensare che le politiche avviate a livello governativo debbano essere orientate in modo ancora più mirato per favorire l’innovazione delle imprese, agendo in modo organico sul fronte delle competenze digitali, magari partendo dalla ricostruzione della Coalizione Nazionale per i “Digital Skills and Jobs”.

È sempre più necessaria una strategia che guardi alla crescita digitale valutando come sviluppare rapidamente i “fattori abilitanti” a cui sono legati i progressi e i risultati profondi degli interventi pianificati. Una strategia che si ponga il tema di misurarsi rispetto a indicatori di impatto in linea con il DESI e con gli indicatori valutati a livello europeo. Con un percorso definito che consenta di realizzare concretamente l’auspicato cambio di passo.

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