Il tanto atteso Decreto Liquidità ha proposto, oltre che le attese proroghe fiscali, una soluzione alla mancanza di liquidità delle imprese a seguito della chiusura forzata o dalla modifica della domanda nei giorni di lockdown. Ma ha anche agito – sia pure con provvedimenti di carattere temporaneo – sulle norme del Codice Civile in tema di obblighi di copertura delle perdite (Articolo 6) sui principi di redazione del bilancio (articolo 7) e sul regime dei finanziamenti effettuati dai soci (articolo 8).
Le modifiche intervenute possono essere definite, soprattutto le prime due sopra evidenziate, norme “placebo” perché non conferiscono alcuna sostanza, ma hanno lo scopo di neutralizzare alcune norme che, in presenza di perdite o di prospettive economiche future non rosee, obbligherebbero gli amministratori di una società ad adottare comportamenti prudenti al fine di proteggere il patrimonio aziendale ma, soprattutto, di tutelare gli interessi dei creditori. Vediamo come mai.
Disposizioni temporanee in materia di riduzione del capitale
L’articolo 6 del provvedimento è destinato alle società di capitali , ed è articolato in funzione delle diverse regole esistenti rispettivamente per le società per azioni (artt.2446 e 2447) e per le società a responsabilità limitata (artt.2482-bis e ter). Pur essendo le SpA e le srl destinatarie di discipline distinte, esse hanno un contenuto sostanzialmente sovrapponibile e prevedono che quando il capitale, per effetto delle perdite, sia diminuito di oltre un terzo, gli amministratori devono sottoporre senza indugio all’assemblea una relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale della società. Se la perdita, entro l’esercizio successivo, non si riduce ad un importo inferiore al terzo del capitale sociale, deve essere convocata l’assemblea per l’approvazione del bilancio e per la riduzione del capitale in proporzione delle perdite accertate. Se la perdita riduce il capitale sociale al di sotto del minimo legale (10.000 Euro per le srl e 50.000 per le Spa) l’assemblea dovrà deliberare la riduzione del capitale ed il contemporaneo aumento del medesimo ad una cifra non inferiore al detto minimo.
Nella ipotesi in cui i soci non intendessero ricostituire il capitale sociale, l’assemblea ha la possibilità di operare una trasformazione “omogenea” (per esempio da Spa in Srl, nel caso in cui, per esempio, il capitale, dal 50.000 euro iniziali, si fosse ridotto a 20.000 Euro, insufficiente per una Spa ma sufficiente per una Srl), ovvero una trasformazione “regressiva” in società di persone, per cui non sono operanti le norme cogenti sopra indicate, poste a tutela dei terzi. Qualora l’Assemblea non dovesse adottare alcuno dei provvedimenti sopra indicati, gli Amministratori devono sciogliere la società ponendola in liquidazione (art. 2484 numero 4) ed astenersi comunque dal porre in essere nuove operazioni, per non incappare nella responsabilità verso i soci e verso i terzi che deriva appunto dalla loro condotta omissiva.
Questo in estrema sintesi. Vediamo il rimedio proposto dal Decreto. L’articolo 6 dispone che “dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino alla data del 31 dicembre 2020 per le fattispecie verificatesi nel corso degli esercizi chiusi entro la predetta data non si applicano gli articoli 2446, commi secondo e terzo, 2447. 2482-bis, commi quarto, quinto e sesto, e 2482-ter del codice civile. Per lo stesso periodo non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, primo comma, numero 4) e 2545-duodecies del codice civile.” La relazione illustrativa al Decreto afferma che “la norma è tesa ad evitare che le perdite di capitale, dovute alla crisi da Covid-19 e verificatesi nel corso degli esercizi chiusi al 31 dicembre 2020, pongono gli amministratori di imprese nelle condizioni di immediata messa in liquidazione, con perdita della prospettiva di continuità per imprese anche performanti e con il rischio di esporsi alla responsabilità per gestione conservativa ai sensi dell’art.2486 del codice civile. Si prevede infatti che a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento e fino alla data del 31 dicembre 2020 per le fattispecie verificatesi nel corso degli esercizi chiusi entro la predetta data, non si applichino gli articoli 2446, commi secondo e terzo, 2447. 2482-bis, commi quarto, quinto e sesto, e 2482-ter del codice civile ….”.
La relazione sembra quindi confermare che la disposizione di favore sembra concedere un “salvacondotto” per tutte le conseguenze della presenza di perdite nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2020, indipendentemente dal periodo in cui si sono formate e, conseguentemente, rende inapplicabili le norme relative alla responsabilità degli amministratori.
Disposizioni temporanee sui principi di redazione del bilancio
L’articolo 2423-bis numero 1) del Codice civile prescrive che nella redazione del bilancio .. “la valutazione delle voci deve essere fatta secondo prudenza e nella prospettiva della continuazione dell’attività, nonché tenendo conto della funzione economica dell’elemento dell’attivo o del passivo considerato”. In sostanza tale norma impone agli amministratori la adozione di un criterio di prudenza nella valutazione delle voci di bilancio privilegiando la prospettiva positiva che potrebbe scaturire dalla continuazione dell’attività. Se così non fosse, una società che si fosse indebitata per acquisire un’azienda pagando una importante somma per il suo avviamento o, comunque, avesse sostenuto investimenti con un ciclo di rientro negli anni futuri, dovrebbe essere posta in liquidazione.
Nel bilancio che si chiuderà al 31 dicembre 2020 è possibile che la situazione economico/patrimoniale presenti valori che potrebbero non indurre gli amministratori alla prospettiva di continuità dell’attività che si rileva dalla lettura del numero 1) dell’articolo 2423-bis C.C.. Ecco quindi che interviene l’articolo 7 del Decreto che chiude il quadro delle “moratorie” disposte in tema di bilancio prevedendo che “nella redazione del bilancio dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2020, la valutazione delle voci nella prospettiva della continuazione dell’attività di cui all’articolo 2423-bis, comma primo, numero 1), del codice civile può comunque essere operata se risulta sussistente nell’ultimo bilancio di esercizio chiuso in data anteriore al 23 febbraio 2020…”. La relazione tecnica al Decreto afferma che “… per evitare la difformità di criteri, si prevede che la riclassificazione delle voci venga effettuata con riferimento alla situazioni esistente all’ultimo bilancio di esercizio chiuso in data anteriore al 23 febbraio 2020”.
La norma quindi conferisce legittimità e tutela alla condotta degli amministratori che trovandosi un bilancio di esercizio 2020 con dati e valori che, in condizioni normali di mercato e dell’economia, avrebbero dovuto porre in discussione la opportunità di prosecuzione dell’attività ed indurre di conseguenza una coerente valutazione delle poste di bilancio, a poter applicare gli stessi criteri applicati (verosimilmente di continuità) nella redazione del bilancio dell’esercizio precedente. E’ come dire che il sistema normativo non intende porre sulla testa degli amministratori la responsabilità della necessaria scommessa per la ripresa dell’attività, pur in presenza di dati apparentemente non confortanti.
Disposizioni temporanee in materia di finanziamenti alle società
L’articolo 2467 del Codice Civile prevede che “Il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito.. Ai fini del precedente comma s’intendono finanziamenti dei soci a favore della società quelli, in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento”.
L’articolo 2497-quinquies del Codice civile estende la predetta disposizione anche ai finanziamenti effettuati nell’ambito dei gruppi di società e, in particolare, dei finanziamenti “…effettuati a favore della società da chi esercita attività di direzione e coordinamento nei suoi confronti o da altri soggetti ad essa sottoposti…”. La norma ha l’evidente scopo di tutelare i terzi creditori della società che potrebbero correre il rischio di subire un danno ed essere pretermessi, o, quanto meno, messi allo stesso livello, rispetto ai soci, in caso di concorso nel riparto delle somme a disposizione della società. il legislatore, nell’ottica che il socio che effettua un finanziamento alla società abbia una consapevolezza diversa e privilegiata rispetto al creditore, ha inteso quindi neutralizzare questo suo vantaggio facendo in modo che il creditore sociale, ignaro della effettivo stato di crisi della società, possa subire un maggior danno.
L’articolo 8 del Decreto interviene introducendo un periodo di “sospensione” degli effetti delle citate disposizioni dal 9 aprile 2020, data di entrata in vigore del decreto, al 31 dicembre 2020, fa sì che i finanziamenti effettuati dai soci in questo arco temporale, in quanto finalizzati alla ripresa dell’attività compromessa dall’emergenza sanitaria, possano essere sottratti al regime ordinario di postergazione.
Il problema della sotto-capitalizzazione delle imprese
L’emanazione del Decreto è stata preceduta ed accompagnata da una campagna mediatica tendente ad enfatizzare come la immissione della liquidità sia la misura idonea a fornire alle imprese ciò di cui hanno bisogno. E sin qui non c’è nulla da obiettare, salvo esprimere una forte riserva sul modo con cui gli istituti Bancari – ai quali sono state attribuire responsabilità molto simili a quelle del personale sanitario in prima linea nel periodo di emergenza, pur sapendo che la loro vocazione istituzionale è ben diversa – gestiranno la emergenza. Chi assicurerà la trasparenza e la tempestività del loro operato ?
Ma la immissione di liquidità non è sufficiente a sistemare i bilanci delle società, occorre la capitalizzazione. Sono a dir poco esterrefatto non solo dalla mancanza di presa di coscienza delle categorie di fronte al problema, ma soprattutto dal modo con cui il legislatore lo ha risolto. Visto che in questi giorni siamo diventati – ahimè – tutti medici, quello che ha fatto il legislatore è perfettamente sovrapponibile alla condotta di un medico che, trovandosi di fronte alle analisi del sangue di una moltitudine di pazienti con valori di emoglobina particolarmente bassi, abbia proposto come rimedio quello di eliminare i parametri di normalità dei valori! Però questo solo per l’Italia.
Se il nostro sistema economico fosse un sistema “chiuso” all’Italia, probabilmente questa finzione potrebbe reggere. Ma in un contesto mondiale, come si può pensare che una società possa essere dichiarata “sana” per disposizione di legge e non in base alle sue risultanze di bilancio? Immaginiamo che una società Italiana debba partecipare ad una gara internazionale per aggiudicarsi un appalto e che abbia come concorrenti società di oltralpe che non hanno avuto danni dalla emergenza sanitaria ovvero il cui Stato di appartenenza abbia posto in essere misure finalizzate alla ricostituzione del capitale. Pensiamo davvero che lo schermo dato dal legislatore italiano sia sufficiente ad attribuire alla società domestica i connotati di solidità patrimoniale idonei a fronteggiare la concorrenza di chi presenta una situazione patrimoniale sana intrinsecamente e non per disposizione di legge?
La risposta è molto semplice: non si possono coprire le perdite con i debiti. Questo è un principio che è scritto nel più elementare trattato di ragioneria. La conseguenza di ciò sarebbe pensare ad interventi dello stato in conto capitale. Qualcuno potrebbe obiettare che tali interventi sarebbero stati ben più onerosi e non vi sarebbe stata copertura finanziaria nel bilancio dello Stato. Ma a parte che una analisi di questo tipo non risulta essere estata esperita, pensiamo davvero che la garanzia dello Stato nei confronti del sistema bancario non comporti degli oneri a carico del bilancio dello Stato?
Fronti critici e preoccupazioni
Non è questa la sede per esaminare quali soluzioni avrebbe potuto adottare il legislatore, magari aiutato in ciò dalle associazioni di categoria, che sono apparse molto più preoccupate a capire quando pagare i tributi e i contributi che a dare un contributo alla soluzione di un problema senza precedenti. Ma solo per dimostrare che il problema doveva essere affrontato in maniera diversa, voglio fare una provocazione. Ipotizziamo che lo Stato concedesse un credito d’imposta, da utilizzare in compensazione solo ai fini delle imposte sul reddito, per un arco temporale determinato (per esempio 6 anni). E che il credito d’imposta sia determinato in base ad un multiplo della media delle imposte assolte dalla società nell’ultimo triennio, magari con un spead a titolo di premio, prevedendo la postergazione della copertura delle perdite maturate sino all’anno 2020 rispetto alla compensazione del credito d’imposta. In questo modo le società, sfruttando magari la condivisibile deroga disposta da Decreto all’articolo 2423-bis in tema di principi di redazione del bilancio, avrebbero titolo per iscrivere il bilancio il credito d’imposta e, in questo modo, potrebbero presentare un bilancio sano. Accompagnando questa disposizione ad una limitazione temporanea, totale o parziale, alla distribuzione dei dividendi, si darebbe un contributo alle società meritevoli, si contribuirebbe a far emergere redditi (perché i contribuenti non avrebbero interesse a comprimere gli imponibili) e ci presenteremmo a testa alta in un contesto internazionale che sembra apparentemente solidale ma che probabilmente sta progettando come appropriarsi delle fette di mercato che oggi, grazie al cielo, sono appannaggio indiscusso delle nostre eccellenze.
La mia è solo una ipotesi, buttata lì senza pensarci neppure troppo, ha certamente punti che meriterebbero altre analisi e ritocchi, probabilmente potrebbero anche trovarsi altre soluzioni. Ma è solo un modo per dire che l’analisi della situazione economica propedeutica alla emanazione delle leggi di cui discutiamo è stata condotta avendo obiettivi non corretti e che la soluzione proposta non può che scontarne inesorabilmente le conseguenze. Ancora siamo in tempo per correre ai ripari ma, indipendentemente dai correttivi che saranno adottati, il fattore tempo è determinante: la emergenza sanitaria dimostra che le patologie gravi vanno trattate in terapia intensiva (meglio sarebbe affrontarle prima), e che i posti di terapia intensiva servono all’istante, altrimenti non solo saranno inutili, ma saranno uno spreco. Speriamo che il legislatore e gli organi preposti alla attuazione delle norme riescano a trovare ispirazione dalla esperienza recente – seppure in altro settore – e non ripercorrano – mutatis mutandis – gli errori commessi. Non possiamo permettercelo.