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Decreto Liquidità, novità per le transazioni bancarie: facciamo chiarezza

La formulazione delle nuove disposizioni in tema di sottoscrizione elettronica di contratti e comunicazioni, contenute nel recente Decreto Liquidità introducono una controversa esemplificazione che potrebbe favorire una promiscuità di ambienti digitali e tradizionalmente analogici. Ecco i punti critici

Pubblicato il 14 Apr 2020

Andrea Lisi

Coordinatore Studio Legale Lisi e Presidente ANORC Professioni, direttore della rivista Digeat

Sarah Ungaro

Avvocato, Vicepresidente ANORC Professioni, Studio Legale Lisi

Firma elettronica avanzata: segreti, utilità e scelta. Aiuta aziende nella dematerializzazione, ma senza trascurare i rischi

Con il cosiddetto Decreto Liquidità (Decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23) sono state introdotte delle semplificazioni in ambito bancario in tema di sottoscrizione elettronica di contratti e comunicazioni. In realtà, la formulazione di queste nuove disposizioni derogatorie non è per nulla ineccepibile, determinando l’insorgere di non poche perplessità, almeno per chi abbia voglia di interpretare in punto di diritto (applicato all’informatica).

Cosa dice l’art. 4 del Decreto Liquidità

In particolare, le disposizioni dell’art. 4 del Decreto in commento, ferme restando le previsioni sulle tecniche di conclusione dei contratti mediante strumenti informativi o telematici, riconoscono ope legis:

  • la sussistenza del requisito della forma scritta richiesta dal TUB (Testo Unico Bancario, di cui al D. Lgs. 1° settembre 1993, n. 385)[1] a pena di nullità (cd. forma scritta ad substantiam) per la conclusione dei contratti con i clienti, e
  • l’efficacia probatoria dell’articolo 2702 del Codice civile (“efficacia della scrittura privata”) prevista dall’articolo 20, comma 1-bis, primo periodo, del CAD (Codice dell’amministrazione digitale, di cui al D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82)
  • al “consenso” prestato dal cliente “mediante posta elettronica non certificata o altro strumento idoneo”, a condizione che questi [elementi mediante i quali il consenso è prestato, ndr.]:
  • siano accompagnati da copia di un documento di riconoscimento in corso di validità del contraente;
  • facciano riferimento a un contratto identificabile in modo certo;
  • siano conservati insieme al contratto medesimo con modalità tali da garantirne la sicurezza, l’integrità e l’immodificabilità.

Il requisito della consegna di copia del contratto è soddisfatto mediante la messa a disposizione del cliente di copia del testo del contratto su supporto durevole.

Si tratta di reale semplificazione?

Così recita letteralmente l’art. 4 e lascia – come riferito – piuttosto perplessi, se non sconcertati. La ratio normativa è facilmente intuibile: cercare di rendere più agevole la conclusione delle transazioni bancarie a distanza in un periodo di emergenza sanitaria, anche per favorire l’accesso al credito previsto proprio dal medesimo decreto. In argomento, è intervenuta anche una Circolare di ABI[2], volta appunto a precisare che “la disciplina descritta opera nell’interesse della clientela al dettaglio, così come definita dalle Disposizioni di Trasparenza[3]. Si tratta della categoria che il Legislatore ha ritenuto potenzialmente più esposta alle limitazioni imposte dall’emergenza sanitaria all’accesso ai servizi bancari e finanziari, in quanto non sempre in possesso delle dotazioni e strumentazioni informatiche e telematiche necessarie alla conclusione del contratto a distanza”[4].

In sostanza, dunque, sarà ope legis eccezionalmente ritenuta comunque validamente espressa in forma scritta (ai sensi dell’art. 2702 Codice civile, quindi fino a querela di falso) qualsiasi forma di consenso manifestata in modalità telematica (tramite e-mail semplice, ma anche con un messaggio whatsapp, messenger, skype etc.), a patto che tale manifestazione di consenso sia corredata dalla copia di un documento di riconoscimento valido (inviando, ad esempio, un’immagine dello stesso), il consenso faccia riferimento in modo inequivocabile al contratto in relazione al quale viene prestato e tutti questi elementi relativi alla transazione (compreso il contratto, ovviamente) siano conservati insieme con modalità tali da garantirne la sicurezza, l’integrità e l’immodificabilità. Quindi sembrerebbe farsi genericamente riferimento a una corretta procedura di conservazione.

Cosa stabilisce l’art. 20, comma 1-bis, del CAD

L’art. 20 comma 1-bis del CAD prevede che “il documento informatico soddisfa il requisito della forma scritta e ha l’efficacia prevista dall’articolo 2702 del Codice civile quando vi è apposta una firma digitale, altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata o, comunque, è formato, previa identificazione informatica del suo autore, attraverso un processo avente i requisiti fissati dall’AgID ai sensi dell’articolo 71 con modalità tali da garantire la sicurezza, integrità e immodificabilità del documento e, in maniera manifesta e inequivoca, la sua riconducibilità all’autore[5]. In tutti gli altri casi, l’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, in relazione alle caratteristiche di sicurezza, integrità e immodificabilità”.

Cosa cambierebbe, dunque, rispetto alla disciplina previgente con l’emanazione dell’art. 4 del Decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23?

In estrema sintesi, in virtù del già citato riconoscimento ope legis dell’efficacia probatoria della forma scritta, ai sensi dell’art. 20, comma 1-bis, primo periodo, del CAD, si vorrebbe conferire maggiore certezza giuridica alle transazioni (solo a quelle concluse durante il periodo emergenziale[6]) tra banche o intermediari finanziari e clienti “al dettaglio”, anche a quelle non concluse mediante sottoscrizione apposta con firma digitale, firma elettronica qualificata o avanzata, o comunque effettuate previa identificazione informatica del suo autore, attraverso un processo avente i requisiti fissati da AgID (attesa l’oggettiva difficoltà, in questo periodo, di richiedere necessariamente l’impiego di tali strumenti alla clientela al dettaglio[7]), qualora le stesse rispettino le condizioni già illustrate, evitando che la loro idoneità a soddisfare il requisito della forma scritta e il relativo valore probatorio siano potenzialmente soggetti all’incertezza dell’esito della valutazione di un Giudice, in quanto “liberamente valutabili in giudizio, in relazione alle caratteristiche di sicurezza, integrità e immodificabilità” (come invece sarebbero stati in base al secondo periodo del comma 1-bis dell’art. 20 del CAD), e quindi potenzialmente poter risultare poi affetti da nullità (l’art. 117, commi 1 e 3, del TUB prevede espressamente che “i contratti sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti” e che “nel caso di inosservanza della forma prescritta il contratto è nullo”)[8].

Tuttavia, è bene chiarire che le nuove disposizioni emergenziali in commento non sanciscono espressamente la possibilità di derogare alle norme del Codice dell’Amministrazione digitale, in quanto non stabiliscono in modo esplicito la possibilità di utilizzare una firma elettronica cosiddetta semplice per la conclusione dei contratti bancari (“ferme restando le previsioni sulle tecniche di conclusione dei contratti mediante strumenti informativi o telematici”). Ciò dal punto di vista interpretativo dovrebbe condurci a ritenere ferma la previsione dell’all’art. 21, comma 2-bis, del CAD, in base alla quale gli atti di cui all’articolo 1350, numero 13, del Codice civile (ossia tutti gli atti per cui la legge impone la forma scritta, come appunto i contratti di cui agli art. 117 TUB), redatti su documento informatico o formati attraverso procedimenti informatici “sono sottoscritti, a pena di nullità, con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale ovvero sono formati con le ulteriori modalità di cui all’articolo 20, comma 1-bis, primo periodo, del CAD”.

La distinzione è giuridicamente molto sottile: a ben vedere, infatti, la formulazione letterale delle disposizioni di cui all’art. 4 del Decreto legge 8 aprile 2020, n. 23, tutt’altro che ineccepibile, risulta riferirsi non già alla firma elettronica c.d. semplice, e quindi non stabilisce espressamente che questa possa essere ritenuta idonea alla sottoscrizione di un contratto tra banca e clientela “al dettaglio”, bensì introduce (in modo ambiguo) una disciplina eccezionale in relazione al solo valore probatorio e all’efficacia giuridica riconosciute alle modalità di espressione del consenso prestato dal cliente alla conclusione del contratto (“anche se il cliente esprime il proprio consenso mediante il proprio indirizzo di posta elettronica non certificata o con altro strumento idoneo”), fatto salvo in ogni caso l’obbligo per la banca o l’intermediario finanziario di far sì che tali elementi – attraverso i quali è stato espresso il consenso alla transazione – siano “conservati insieme al contratto medesimo con modalità tali da garantirne la sicurezza, l’integrità e l’immodificabilità”, quindi, attualmente – se vogliamo credere alla digitalizzazione – ai sensi delle Regole tecniche sul documento informatico di cui al DPCM 13 novembre 2014 e delle Regole tecniche sulla conservazione di cui al DPCM 3 dicembre 2013 (attualmente vigenti, in attesa dell’emanazione delle nuove Linee guida, previste dall’art. 71 del CAD).

Tanti dubbi interpretativi all’orizzonte

Per concludere, a nostro avviso, la disciplina proposta nell’art. 4 del Decreto Liquidità non è derogatoria né della disciplina della conclusione dei contratti bancari e né della materia delle firme elettroniche, introducendo – per fortuna solo in una speriamo breve situazione di emergenza – una controversa esemplificazione che favorirà tra documenti, contratti, comunicazioni e archivi bancari una probabile promiscuità di ambienti digitali e tradizionalmente analogici.

Del resto, come sarebbe anche astrattamente possibile garantire a un messaggio contenuto in una semplice e-mail o inoltrato via whatsapp quelle caratteristiche di sicurezza, integrità e immodificabilità richieste da una consolidata normativa perché quel contenuto sia considerabile documento informatico rilevante ex lege? Si ritiene pertanto che l’unica ratio interpretativa possibile sia quella di ritenere applicabile l’art. 4 del Decreto in commento alle sole comunicazioni con la clientela già in essere, operando così in emergenza una semplificazione tale da consentire – attraverso un’interpretazione (si spera) favor debitoris – un’agevolazione nell’accesso al credito. Altrimenti il rischio di frodi contrattuali sarebbe altissimo. Del resto, con i documenti informatici, con la loro corretta formazione, gestione e conservazione non si può essere approssimativi, pur nella consapevolezza che alcune ragionate semplificazioni nella firma elettronica avanzata andrebbero in futuro introdotte nel nostro ordinamento giuridico. Ma non in questo modo.

______________________________________________________________________

  1. In particolare, dagli artt. articoli 117 (“Contratti”), 125-bis (“Contratti e comunicazioni”), 126-quinquies (“Contratto quadro”) e 126-quinquiesdecies (“Servizio di trasferimento”) del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (TUB).
  2. Circolare ABI 9 aprile 2020.
  3. Per “clientela (o clienti) al dettaglio”, si intendono “i consumatori; le persone fisiche che svolgono attività professionale o artigianale; gli enti senza finalità di lucro; le micro-imprese”. Per ulteriori approfondimenti si rinvia al Provvedimento della Banca d’Italia “Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari. Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti”, reperibile al link: https://www.bancaditalia.it/compiti/vigilanza/normativa/archivio-norme/disposizioni/trasparenza_operazioni/disp_trasp_coord_imel.pdf.
  4. La Circolare ABI chiarisce che la norma – in questa particolare situazione di emergenza epidemiologica determinata dal diffondersi del COVID-19 – “è volta ad assicurare la continuità nell’erogazione dei servizi e nell’offerta dei prodotti alla clientela da parte delle banche e degli intermediari finanziari, favorendo la conclusione dei contratti attraverso modalità di scambio del consenso più agevoli rispetto alle formalità attualmente previste dal nostro ordinamento giuridico per la stipulazione dei contratti bancari”.
  5. Si ricorda che le Regole Tecniche per la sottoscrizione elettronica di documenti ai sensi dell’art. 20 del CAD sono state recentemente pubblicate sul sito di AgID, come previsto dall’art. 71 del CAD.
  6. La norma riveste carattere eccezionale e pertanto regola i soli contratti conclusi tra la data di entrata in vigore del Decreto legge 8 aprile 2020, n. 23, cioè il giorno successivo alla sua pubblicazione in Gazzetta, e la cessazione dello stato di emergenza (ad oggi 31 luglio 2020, così come deliberato dal Consiglio dei ministri in data 31 gennaio 2020).
  7. Anche se la cd. firma SPID (introdotta dalle già citate regole tecniche AgID) sarebbe teoricamente stata studiata proprio per garantire in sicurezza forme di semplificazione di questa natura.
  8. Ad essere ancora più precisi, come vedremo nel prosieguo, le forme previste dal TUB dovrebbero ricadere nell’art. 21, comma 2-bis del CAD, secondo il quale “[…] gli atti di cui all’articolo 1350, numero 13), del codice civile redatti su documento informatico o formati attraverso procedimenti informatici sono sottoscritti, a pena di nullità, con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale ovvero sono formati con le ulteriori modalità di cui all’articolo 20, comma 1bis, primo periodo. Questo, secondo molti interpreti, determinerebbe in re ipsa l’esclusione nell’utilizzo della firma elettronica semplice per i contratti bancari.

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