Nell’intento del Governo, il Decreto Rilancio dovrebbe rappresentare un insieme ambizioso di misure economiche. Lasciando la critica politica alle convinzioni personali di ciascuno, riteniamo però ci siano criticità prevalentemente tecniche che è opportuno evidenziare, sperando magari in un aggiustamento in sede di conversione in legge.
Autocertificazione antimafia nel contributo a fondo perduto
L’istanza per il contributo a fondo perduto prevede che il richiedente (legale rappresentante dell’impresa) abbia l’obbligo di autocertificare il rispetto della normativa antimafia dichiarando che gli interessati (amministratori, soci di maggioranza, consorziati, etc.) non ricadano nei divieti di concessione di contributi da parte dello Stato per l’applicazione dell’art. 67 del D.Lgs. 159/2011 (applicazione di misure di prevenzione ai fini dell’Antimafia). È stata inoltre prevista una autonoma sanzione per la mendace autocertificazione (da 2 a 6 anni di reclusione), che si ritiene prevalga su quella ordinaria (Falsa attestazione e dichiarazioni mendaci – articolo 495 del Codice penale – con reclusione da 1 a 6 anni); senza dimenticare poi l’art. 316- ter del Codice penale che prevede reclusione da 6 mesi a 3 anni per l’indebita percezione di erogazioni ai danni dello Stato.
È chiaro come questa costituisca una considerevole responsabilità in capo al legale rappresentante della società che deve autocertificare il rispetto della normativa anche per soggetti terzi (altri consiglieri di amministrazione, soci di maggioranza, soci di società di persone, membri del collegio sindacale, etc., nonché i familiari conviventi di questi…); sarà quindi quantomeno opportuno che il richiedente acquisisca apposite dichiarazioni dagli interessati se non addirittura richiedere alla prefettura competente il rilascio della certificazione antimafia (le cui modalità di richiesta solitamente necessitano di presentarsi personalmente in Prefettura). Ci si domanda però perché scaricare sempre la responsabilità sul cittadino quando l’Agenzia delle Entrate avrebbe titolo ad accreditarsi presso la Banca Dati Nazionale Antimafia e compiere in autonomia (e possibilmente in maniera informatizzata ed automatizzata) la necessaria verifica, senza costringere il legale rappresentante ad autocertificare uno stato di un terzo, per quanto ad egli collegato. Per chi scrive, questo è un esempio di come il cittadino sia tenuto a lavorare per la burocrazia quando dovrebbe essere il “civil servant” a lavorare nell’interesse del cittadino.
Calcolo del reddito del bimestre per il bonus INPS maggio per i professionisti iscritti alla Gestione Separata
Al professionista iscritto alla Gestione Separata “che abbiano subito una comprovata riduzione di almeno il 33 per cento del reddito del secondo bimestre 2020, rispetto al reddito del secondo bimestre 2019, è riconosciuta una indennità per il mese di maggio 2020 pari a 1000 euro” (art. 84 DL Rilancio). La norma relativa al bonus 1000 euro Inps però prevede criteri specifici per la determinazione del reddito (principio di cassa oltre alle quote di ammortamento); si tratta non solo di un calcolo abbastanza complesso che va fatto sia per il secondo bimestre 2019 che per il medesimo periodo 2020, ma che, secondo la lettura del testo di legge, va applicato anche ai forfettari, che invece normalmente determinano il reddito forfettariamente, e ai semplificati cui spesso si applica il principio di cassa virtuale (annotazione sui libri IVA vale presunzione di incasso/pagamento) costringendo quindi ad un calcolo aggiuntivo del tutto separato da quello utilizzato in sede di dichiarazione annuale.
Apparentemente, tutti questi regimi contabili semplificati di determinazione del reddito non hanno valenza ai fini del bonus, comportando conteggi non banali e la necessità di acquisire ulteriore documentazione dal cliente (es. e/c bancari dei mesi di marzo e aprile 2019 e 2020). Si può “sperare” in un’interpretazione “creativa” dell’Agenzia delle Entrate (non sarebbe la prima volta) che ricomprenda il calcolo del reddito all’interno dei criteri specifici del regime adottato dal contribuente, ma poi dobbiamo comunque essere consapevoli che si corre il rischio che il giudice tributario adito da un professionista danneggiato possa ribaltare tale interpretazione. Per terminare in bellezza, va ricordato che a fronte di un conteggio che deve necessariamente provenire dal commercialista (anche solo per calcolare correttamente le quote di ammortamento), lo stesso commercialista non può presentare l’istanza per il proprio cliente, poiché gli unici intermediari abilitati a farlo sono i patronati.
Ricordo che il commercialista che ha presentato l’istanza per il cliente, se non si è rivolto a sua volta a patronati (a pagamento), l’ha fatto probabilmente utilizzando le credenziali INPS dirette del lavoratore, violando quanto meno le condizioni di rilascio delle credenziali stesse (ma in potenza potendosi configurare anche ulteriori violazioni, ad es. art. 615-ter cp).
Esenzione IVA per dispositivi utilizzati nell’emergenza coronavirus
L’art. 124 prevede che fino al 31 dicembre 2020 siano esenti da IVA le cessioni di alcune strumentazioni e beni utilizzati nell’emergenza. Per evitare un danno per chi produce e tratta questi beni, è altresì previsto che tali cessioni non impattino ai fini della detrazione dell’IVA sugli acquisti (il cosiddetto “pro-rata”). Ciò costituisce un’eccezione alla norma da gestire “manualmente” nella determinazione dell’IVA detraibile. È parere di chi scrive che sarebbe stato possibile ottenere lo stesso risultato introducendo per questi prodotti un’aliquota IVA pari a zero (che già esiste in alcuni paesi europei).
Stesso risultato finanziario ma nessun calcolo aggiuntivo. Si tratterebbe semplicemente di aggiungere un rigo nei quadri VE e VF della dichiarazione IVA del 2021 ed effettuare una piccola riparametrizzazione (aggiunta di un’aliquota 0) ai sistemi contabili e di fatturazione.
L’abolizione del saldo IRAP: un terno al lotto
L’art. 24 prevede che non siano dovuti il saldo IRAP per il 2019 e il primo acconto per il 2020. Perfetto per l’annuncio mediatico “abbiamo abolito il versamento dell’IRAP di giugno”, ma in realtà comporta un’agevolazione di importo assolutamente casuale: le aziende che hanno un valore della produzione in crescita godranno di un vantaggio elevato sul saldo 2019, mentre quelle in calo, che usciranno a credito, non godranno di alcun vantaggio sul saldo ma solo sulla prima rata d’acconto.
A parere di chi scrive non c’è un criterio logico che giustifichi questo comportamento; è letteralmente un bonus erogato a caso. Più corretto a parer nostro sarebbe stato prevedere una temporanea riduzione dell’aliquota IRAP per il 2019 e il 2020. Ciò avrebbe costituito un vantaggio equo per tutti i soggetti. Sebbene probabilmente non dello stesso impatto mediatico.
Niente contributo a fondo perduto per i professionisti iscritti agli ordini
Per quanto riguarda quest’ultimo punto è necessario premettere che chi scrive, essendo iscritto ad un Ordine Professionale, è direttamente toccato dall’argomento. Il contributo a fondo perduto non spetta ai professionisti, ma solo alle imprese: in effetti la norma li comprenderebbe di nuovo, salvo poi, con discutibile tecnica normativa, escluderne sostanzialmente tutte le categorie possibili. Tuttavia esistono studi professionali, associati e non, con dipendenti, affitti, utenze e costi fissi (software, ad esempio) che stanno oggi operando in severa sofferenza finanziaria per diretta conseguenza della crisi patita dalle aziende loro clienti.
Non si vede perché la stessa attività se svolta da una società di servizi o da una società tra professionisti meriti un aiuto proporzionato al calo di fatturato mentre se svolta da un commercialista iscritto all’Ordine (o da un avvocato, ingegnere, etc.) meriti 600 euro. O meglio, si spera meriti i 600 euro. Perché in realtà l’unica cosa scritta nel decreto è che il reddito di ultima istanza è stato rifinanziato, ma non se ne conoscono importi né modalità di erogazione.