Ripercorrere le tappe dell’ingresso del registro elettronico, che da dieci anni nelle scuole italiane ha preso il posto di quello tradizionale cartaceo, è un modo per rileggere la storia del rapporto conflittuale tra mondo dell’educazione e tecnologie.
L’ingresso del registro elettronico ha rappresentato non solo un mutamento di abitudini immobili da tempo, ma ha significato anche una lenta rivoluzione nel modo di gestire la classe, i rapporti con le famiglie, la trasparenza e la visibilità dei processi didattica, di quelli valutativi e non da ultimo richiedeva competenze in campo digitale, che seppure di base, misero in discussione un folto numero di insegnanti
Registro elettronico, gli inizi
Fino all’anno scolastico 2011/12 pochi docenti innovatori e forse esploratori avevano provato ad adottare nelle loro pratiche didattiche quotidiane software e strumenti che sostituivano il registro cartaceo. Il registro online fu introdotto dal decreto-legge n. 95 del 6 Luglio 2012[1] che prevede, all’art. 7 comma 27 “Il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca predispone entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto un Piano per la dematerializzazione delle procedure amministrative in materia di istruzione, università e ricerca e dei rapporti con le comunità dei docenti, del personale, studenti e famiglie.” Al comma 31 lo stesso decreto indica che “A decorrere dall’anno scolastico 2012-2013 le istituzioni scolastiche e i docenti adottano registri online e inviano le comunicazioni agli alunni e alle famiglie in formato elettronico. Ricordo che il registro personale è un atto pubblico (V Sezione Penale della Corte di Cassazione: 12726/2000; 6138/2001; 714/2010). Il docente, nell’atto di compilazione di tale registro, è soggetto alle sanzioni penali previste dall’art. 476 (falso ideologico in atto pubblico) e dall’art. 479 (falso materiale in atto pubblico) del codice di procedura penale”.
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Secondo la normativa la compilazione del registro di classe e personale doveva avvenire contestualmente alle attività in aula, non ammettendo pertanto una compilazione ritardata, per esempio per malfunzionamento del software o altro. Questo all’inizio della diffusione del registro segnò una criticità a suo sfavore, ritenendo oltre il 90% dei docenti oneroso cambiare le proprie prassi di compilazione.
La storia
“Vedevo i miei colleghi che si aggiravano tra i corridori con il tradizionale registro blu sotto il braccio, racconta Lorenza G., docente di italiano in una scuola secondaria di Milano, continuavano ad usarlo e poi, tra mille perplessità inserivano nel registro elettronico quanto annotato in quello cartaceo”. Il registro era stato introdotto come obbligatorio per tutte le scuole italiane dall’anno scolastico 2012 – 2013, con decreto del governo Monti, che tuttavia era riuscito a stanziare meno fondi di quelli necessari e così nel governo successivo la ministra Maria Chiara Carrozza aveva confermato la sospensione dell’obbligo, che quindi, da azione top down come era stata all’inizio, vide il rallentamento ancora nell’anno scolastico 2014 -15.
Nel Piano Nazionale della Scuola Digitale del 2015, l’#azione12, raccomandava come fondamentale l’utilizzo del registro elettronico nelle scuole, invitando tutti i docenti e dirigenti a fare una scelta attentamente ponderata, valutando con molta attenzione tutti gli aspetti legati alla sicurezza e alla validazione giuridica degli atti. La digitalizzazione dei processi amministrativi e gestionali della scuola costituisce un processo strategico per il funzionamento della scuola digitale. Il PNSD individua diverse aree di intervento per le scuole tra cui l’Azione #12 Registro elettronico. [2] Tra le raccomandazioni c’era la necessità di concertare con il fornitore del servizio, in collaborazione con le figure interne della scuola con competenze specifiche, strategie e metodologie atte a salvaguardare la leggitimità di tutte le azioni e attività tipiche del ruolo istituzionale della scuola.
Registro elettronico, gli ostacoli
Questo andava ad innestarsi in un contesto complesso: le emergenze tecnologiche e di processo responsabili delle difficoltà che, quotidianamente, ancora oggi gli operatori della scuola, gli studenti e le famiglie incontrano, circa 10 anni fa avevano un peso ancora maggiore. Un problema molto serio, per esempio, era quella della connettività alla rete internet, molto spesso inadeguata: questo significava tra l’altro che l’accesso contemporaneo di migliaia di sessioni contemporaneamente comportava rallentamenti e nei casi peggiori, la negazione del servizio. A questo si aggiungeva, e rimane ancora un problema in molte scuole di oggi, un setting d’aula ugualmente inadeguato: ogni classe deve mettere a disposizione del docente un dispositivo al fine di consentire l’accesso alla procedura (pc desktop, notebook, tablet, ecc.) e questi devono essere efficienti per almeno 200 giorni all’anno. Per non parlare di aggiornamenti e manutenzione, quest’ultima un serio ostacolo in moltissime scuole primarie e secondarie di primo grado, dove ancora oggi il tecnico non esiste.
Sin dall’inizio un altro problema si è posto alle istituzioni educative: quale registro acquistare? Qual era e quali sono oggi i migliori software? Il mercato delle offerte di servizi in Italia già nel 2012 era piuttosto fiorente e nel frattempo si è ulteriormente arricchito, il che significa che in assenze di indicazioni specifiche da parte ministeriale, i parametri di scelta sono stati molto spesso legati più al costo economico di gestione, che ad aspetti quali la solidità e la fruibilità del servizio.
L’impatto sui docenti
Il registro elettronico ha inoltre messo in luce altre problematiche, che si collegano più direttamente ai docenti. Cominciamo dall’elevata mobilità dei docenti precari che ogni anno o addirittura in corso d’anno cambiano scuola: sin dall’inizio ha reso difficile una formazione efficace e l’acquisizione di una familiarità con quello o quell’altro sistema. In tre anni, dice Alessio B., docente di area tecnologica in una scuola secondaria di primo grado di Torino, ho usato tre registri differenti, non facevo in tempo ad abituarmi ad uno che nella scuola successiva dovevo quasi ricominciare da capo.
Non può che aggiungersi a tutto questo un’atavica resistenza e la scarsa propensione all’aggiornamento del personale docente, aspetto che ha giocato nel tempo un ruolo decisivo nell’uso proficuo del registro e dell’effettiva dematerializzazione nella scuola, così come ci si apettava nel 2012 e si auspicava con il già citato Decreto Degge 95/2012.
Gli aspetti giuridici
Se l’ingresso del registro elettronico, come sin qui si è tentato di mostrare, ha visto fasi alterne, una sorta di corsa ad ostacoli, non sempre vincente, non si possono dimenticare anche altri problemi che la sua introduzione ha comportato sin dai primissimi tempi. Si tratta degli aspetti giuridici dell’atto pubblico, concetto della giurisprudenza collegato fortemente al suo uso: il registro è un atto pubblico (regio decreto 965 del 1924), e quello personale del docente lo è anche per la recente giurisprudenza penale. Ora se la legge che riguarda gli atti pubblici[3] dice che essi sono nulli se privi di firma digitale o qualificata, è ben noto che quelli che si usano nelle scuole non rispettano questo parametro essenziale per gli atti pubblici. Altra questione, non ancora risolta, è la sicurezza di accesso, dei dati e la loro immodificabilità. Si può essere certi che i dati immessi siano inviolabili? La sicurezza appare maggiore, infatti lee regole di sicurezza sembrano essere generalmente rispettate, poiché essa si basa sul protocollo di crittografia SSL, in sovrapposizione al normale protocollo di trasferimento ipertestuale (HTTP), che diventa HTTPS, utilizzato per gestire informazioni sensibili. E l’accesso? In tutti i registri è possibile entrare con credenziali che non sempre sembrano rispettare i parametri minimi di robustezza. Recentemente l’accesso può avvenire con pratica autenticazione con lo SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale), ma anche in questo caso vi sono ancora numerosi problemi da risolvere.
Privacy e Registro elettronico
Per concludere questa riflessione sull’uso oramai quasi decennale del registro elettronico, non va dimenticata la questione della privacy. Attraverso il registro è noto che la scuola fornisce ad un privato i dati dei suoi studenti e dei suoi docenti, con un generico assenso al loro trattamento. Quando un docente introduce in un database voti e note di demerito, per esempio, sta condividendo tali dati e quindi, sta violando le disposizioni comunitarie sulla privacy.