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Diffamazione, norme invecchiate male: perché serve un restyling



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La normativa italiana relativa ai reati legati alle attività della stampa risulta poco allineata ai cambiamenti cui il giornalismo e la comunicazione sono soggetti: ecco una panoramica

Pubblicato il 2 set 2024

Luciano Daffarra

C-Lex Studio Legale



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La normativa relativa alla diffamazione in Italia rischia di risultare obsoleta alla luce dell’evoluzione del panorama dei media, per l’innovazione tecnologica che porta a nuove forme di comunicazione. Vediamo l’adeguamento, da parte dei giudici, a questi cambiamenti nell’ambito del trattamento delle eventuali offese all’onore e alla reputazione.

Libertà di espressione, cosa dice la Costituzione

Il tema della libertà di espressione del pensiero è stato al centro di recenti interventi del Presidente della Repubblica[1], nell’intento di garantire alla stampa e a tutte le altre forme di manifestazione del pensiero quello spazio che la Carta costituzionale italiana ha attribuito loro con l’art. 21[2], disposizione che fa da perno intorno al quale ruotano le altre disposizioni interne sui diritti fondamentali dell’individuo.

Tale norma, oltre a garantire a tutti il diritto al free speech, stabilisce anche i limiti entro i quali gli individui, da una parte, e gli organi di informazione, dall’altra, possono esprimere opinioni, giudizi e critiche, diffondendo contenuti ed immagini, attraverso ogni strumento di comunicazione. In questo contesto, la libertà di manifestazione del pensiero si coniuga e si deve rapportare – come ha osservato la Consulta[3] – con altri valori cardine dell’ordinamento statuale che includono il diritto al decoro, all’onore, alla rispettabilità, alla riservatezza, all’intimità, alla reputazione.

Il rapporto tra gli articoli 21 e 3

Accanto a tali diritti inviolabili, la libertà di pensiero si deve confrontare con il diritto alla pari dignità ed uguaglianza, fra gli esseri umani (Art. 3 della Costituzione), senza che possano essere ammesse discriminazioni di razza, sesso o religione, essendo ben consentito che la legge ordinaria possa stigmatizzare le condotte contrarie a detti principi, così come accade per i casi di istigazione all’odio razziale, già ampiamente confermati nella manifesta infondatezza della questione di costituzionalità avuto riguardo al più volte citato art. 21 Cost. delle norme che la contrastano[4].

Se ripercorriamo l’annosa e articolata ermeneutica giuridica[5] della nostra Costituzione in tema di libertà di espressione, ci sarà possibile giungere a una sintesi del contenuto degli insegnamenti della Corte costituzionale, quali essi sono stati tracciati, oltre che negli arresti della stessa Consulta, anche nella nutrita ed articolata giurisprudenza di legittimità e di merito dei nostri tribunali che si arricchisce e si evolve con il trascorrere del tempo e con il mutare delle norme ordinarie in vigore, attingendo altresì alle indicazioni promananti dalle decisioni della C.E.D.U. e da quelle della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, cui l’Italia appartiene e ai cui dettati è tenuta ad adeguarsi[6].

Libertà di stampa e di manifestazione del pensiero

Prendendo le mosse proprio dalla lettura dell’art. 21 della nostra Costituzione, notiamo che essa ci conduce a identificare una sostanziale differenziazione fra la libertà di “stampa” – intesa nel significato che tale termine ha assunto con il mutare delle forme di comunicazione associate ai giornali – e la libertà di manifestazione del pensiero tout court.

La nostra Costituzione, invero, nell’escludere che la “stampa” possa essere soggetta ad autorizzazioni o censure, contempla la possibilità che – solo dopo la pubblicazione – essa sia suscettibile di essere posta sotto sequestro per “atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili”.

Su questo precetto normativo – il quale va letto in combinato disposto con l’ultimo comma del medesimo art. 21 che vieta le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume[7] – la Consulta ha più volte espresso il proprio giudizio affermando, fra l’altro, (Sent. 122/1970 del 24 giugno 1970)[8] che seppure la libertà di stampa incontri gli stessi limiti della libertà di espressione del pensiero, essa può essere assoggettata a restrizioni solo su una base casistica puntuale, oggetto di un’analisi approfondita volta ad evitare provvedimenti sommari che ad un successivo esame risultino privi di adeguato fondamento giuridico.

Le indicazioni della Legge sulla stampa

In tal senso, le disposizioni dei commi 2 e 3 dell’art. 21 della Carta costituzionale vanno collegate con quelle della L. 47 dell’8 febbraio 1948 la quale nel recare “Disposizioni sulla stampa” promana dallo stesso legislatore che ha introdotto la sopra ricordata norma primaria di riferimento.

Le disposizioni di detta legge ordinaria, nel prescrivere un significativo numero di adempimenti in capo alle imprese giornalistiche (registrazione presso la cancelleria del tribunale, nomina del direttore responsabile, indicazione e identificazione del proprietario), impongono stringenti regole circa: le risposte e le rettifiche al contenuto delle notizie pubblicate (art. 8), l’obbligo di pubblicazione delle sentenze che riguardano i reati commessi a mezzo stampa (es. diffamazione) (art. 9), la responsabilità civile solidale che insiste fra l’autore dell’articolo illecito, l’editore e il proprietario del giornale (art. 11), l’obbligo di riparazione del danno al diffamato, il quale si aggiunge al risarcimento del danno determinato dal giudice (art. 12), l’applicazione di una sanzione per l’attribuzione errata di un fatto determinato al diffamato (art. 13)[9], l’applicazione ai responsabili della testata delle sanzioni di cui all’art. 528 del codice penale per il caso di pubblicazione di contenuti impressionanti o raccapriccianti (art. 15), la punizione per l’omissione delle indicazioni obbligatorie negli stampati (art. 17).

Le critiche: una legge vetusta

Di fronte a un fascio di norme tanto risalenti nel tempo quanto disarmoniche rispetto all’attuale contesto della comunicazione mediatica, da tempo non mancano le critiche mosse a livello politico verso un sistema che, pur non limitandosi a svolgere una funzione di mero veicolo di opinioni, ricoprendo invece una funzione informativa e al contempo formativa, appare inadeguato a regolare un settore ormai eterogeneo e difficilmente sussumibile nel concetto di “stampa” voluto dal legislatore del 1948.

Si è quindi in più occasioni pensato a una rivisitazione delle norme in materia, dovendosi in tal senso osservare che di disegni di legge di modifica della L. 47/1948 si discute da numerosi anni nel nostro paese ma con poco costrutto[10].

Le proposte di variazione

In tempi relativamente recenti, non è approdato ad un testo finale condiviso il DDL presentato dall’onorevole Costa e altri, approvato in prima lettura dalla Camera dei Deputati in data 17 ottobre 2013 sub C. 925-B, poi modificato dal Senato della Repubblica il 29 ottobre 2014 (che lo ha rubricato con il N. S-1119) per il rinvio alla Camera, con cui i proponenti si prefiggevano di modificare, secondo le istanze provenienti da più parti inclusa la stessa Commissione Europea, alcune norme del nostro Codice penale (Artt. 594 e 595) e alcune disposizioni della legge sulla stampa (L. 47/1948) il cui contenuto appariva già allora anacronistico rispetto all’attuale momento sociale e allo stato della tecnologia, in particolare avuto riguardo ai rimedi previsti per il caso di offese all’onore ed alla reputazione delle persone. Tali sanzioni, che oggi consistono in una pena pecuniaria (la multa, cioè la pena alternativa alla reclusione stabilita per i “delitti”), risultano avulse da un efficace e tempestivo contesto di correzione e rettifica dei contenuti illeciti, soprattutto se essi vengono diffusi attraverso ì media (si veda quanto riportato in nota 8).

Molte delle proposte di variazioni alla legge sulla stampa introdotte con l’ormai abbandonato DDL C. 925-B del 2014, erano frutto della constatazione dell’esistenza di uno loro stridente contrasto con l’evoluzione dei media e delle pubblicazioni online, circostanze queste già rilevate dalla giurisprudenza dell’epoca. Ad esempio, avuto riguardo alla responsabilità del direttore di una testata online, in base al dettato dell’art. 57 del Codice penale, si osserva che una testata giornalistica può rientrare nel concetto giuridico di “stampa”, solo se: a) vi sia una riproduzione tipografica; b) il prodotto dell’attività tipografica venga distribuito al pubblico: conseguentemente, poiché le testate giornalistiche online difettano di entrambe tali connotazioni, non sussisterebbe per esse la responsabilità vicaria per omesso controllo prevista a carico del direttore di quelle testate che non siano registrate come tali presso il tribunale competente, determinando di tal guisa un’odiosa discriminazione fra mezzi di comunicazione del tutto assimilabili fra loro.

A ciò va aggiunto che attualmente le testate online non sono tenute all’obbligo della rettifica prevista per la stampa periodica e non periodica ai sensi dell’art. 8 della Legge 47/1948 e, per quanto concerne l’emittenza radiotelevisiva, alla stregua dell’art. 32-quinquies del T.U.S.M.A.R.

Una ulteriore esclusione dagli obblighi propri della “stampa”, così come abbiamo visto essa viene definita dalla giurisprudenza del giudice di legittimità, è riferibile ai c.d. “forum telematici”, i quali non possono essere assimilati ad un prodotto editoriale, ad un giornale on-line o ad una testata giornalistica informatica per “il semplice fatto che i messaggi e gli interventi siano visionabili da chiunque, o almeno da coloro che si siano registrati nel forum[11].

La proposta di legge Balboni

La vasta materia oggetto del DDL Costa è stata ripresa e sviluppata nel recente disegno di legge S-466 recante “Modifiche alla legge 8 febbraio 1948, n. 47, al codice penale, al codice di procedura penale e al decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, in materia di diffamazione, di diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione e di condanna del querelante nonché di segreto professionale, e disposizioni a tutela del soggetto diffamato” a firma dell’on.le Alberto Balboni, presentato il 16 gennaio 2023 al Senato. Questa proposta di legge risulta essere in discussione alla seconda Commissione permanente (Giustizia) in sede referente dal 14 maggio 2024. Sulla scorta dell’esame del dossier presente nel sito web del Senato osserviamo che per tale DDL esiste un fascicolo rilevante di emendamenti, tanto che la tempistica di voto del provvedimento non pare profilarsi a breve termine.

Le linee direttrici del DDL S-466 – senza pregiudizio per le differenti posizioni politiche di coloro i quali sono chiamati a valutarne l’impatto sul nostro ordinamento giuridico –sono orientate in primo luogo a stabilire che anche i quotidiani on-line sono assoggettati alle norme sulla stampa, a condizione che i loro contenuti promanino dalla loro redazione. La normativa estende quindi i medesimi vincoli previsti per la stampa ai telegiornali e ai giornali radio (art. 1, lett. a del DDL). Maggiormente complessa appare la nuova disciplina proposta per le rettifiche e le smentite: la pubblicazione piana e senza commenti degli scritti dei soggetti che lamentano di essere stati lesi nel proprio onore e reputazione – nei tempi e con le modalità precisate dalla norma – ripropone il tema, che viene rilevato in molte sedi, per cui la riproposizione di una diversa visione di un fatto rappresentato dalla stampa attraverso la sua correzione, non fa altro che rinovellare l’effetto dannoso della notizia dapprima pubblicata, senza che vi sia di contro alcuna certezza sia che la smentita o la rettifica vengano conosciute dal loro lettore, né la possibilità di comprenderne i loro effetti lenitivi del danno causato.

Più aderente alla necessità riparatoria della pubblicazione di notizie inesatte o non corroborate da evidenze certe, in un momento storico in cui la diffusione sistematica e spesso organizzata di fake news ha assunto dimensioni planetarie, è l’introduzione nel testo di legge di criteri di valutazione del danno cui il giudice è vincolato (diffusione quantitativa e rilevanza del media utilizzato, gravità dell’offesa e effetto riparatorio della rettifica e della sementita). Va peraltro osservato che tali indicazioni si configurano come riduttive rispetto ai criteri indicati nelle c.d. “Tabelle milanesi” per il calcolo del danno da diffamazione[12].

Perché il carcere non si applica per la diffamazione

Come era accaduto per la precedente proposta di legge Costa, anche il testo a firma dell’on.le Balboni, oltre ad abrogare l’art. 12 della L. 47/1948, sostituisce la sanzione penale della reclusione prevista dall’art. 595 C.P., dichiarata non più applicabile agli autori e ai responsabili dei mezzi di informazione dalla Corte CEDU,[13] con la sola multa variabile dai 5.000 ai 10.000 euro, salvo che l’articolo diffamatorio contenga l’attribuzione di un fatto determinato – con la consapevolezza della sua falsità – nel qual caso la sanzione per il reato viene elevata da 10.000 a 50.000 euro. Tale disposizione va letta unitamente alla nuova proposta di formulazione dell’art. 595 del Codice penale, per la quale la violazione del suo precetto viene modificato dal DDL eliminando la sanzione della reclusione, ora non più applicabile, ora sostituita da una multa variabile fra i 3.000 e i 10.000 euro, sanzione pecuniaria che può essere elevata dal giudice a 15.000 euro in caso di offesa consistente nella falsa attribuzione al diffamato di un fatto determinato.

La rettifica

Un aspetto peculiare della disciplina della proposta di legge ipotizzata per regolare gli atti diffamatori a mezzo stampa è la previsione nel nuovo art. 13 della legge stampa di una scriminante dalla punibilità a beneficio dell’autore dell’offesa del direttore responsabile e degli altri soggetti indicati dall’art. 57-bis del Codice penale[14], per il caso in cui siano state pubblicate o diffuse rettifiche o smentite idonee a riparare l’offesa.

Molto si potrebbe discutere sia sull’idoneità di una rettifica o di una smentita a riparare l’offesa arrecata a uno o più persone, che sulla possibilità che tali atti possano evitare sanzioni ai soggetti che, per legge, assumono la responsabilità di ciò che pubblicano sugli organi di informazione tanto che si lascia al lettore ogni giudizio circa l’opportunità di questo strumento. Più interessante appare, ad avviso di chi scrive, l’introduzione di un paragrafo 5, all’art. 13 della legge stampa, volto a fare sì che con la sentenza di condanna il giudice porti a conoscenza degli atti del giudizio l’Ordine professionale di appartenenza dei soggetti dichiarati colpevoli, per l’applicazione delle relative sanzioni disciplinari.

I compiti di controllo in redazione

Nuova e di particolare interesse è poi la riformulazione dell’art. 57 del C.P., che l’art. 2 del DDL di cui ci stiamo occupando, offre all’esame degli organi legislativi. Tale disposizione contempla l’ipotesi che tutti i soggetti cui fa capo la responsabilità per i contenuti pubblicati dalle testate editoriali soggette alla legge sulla stampa, possano delegare a terzi giornalisti professionisti, idonei a tale scopo, il compito del controllo sui contenuti pubblicati. Questa disposizione, che non sottrae il direttore o il vicedirettore responsabile all’effettiva verifica dell’operato dei delegati, consente– in un’epoca in cui le notizie devono essere diffuse istantaneamente – di attribuire deleghe a terzi professionisti capaci di sollevare, almeno in parte, l’onere di vigilanza che fa capo ai vertici degli organi di stampa.

Rimozione dei contenuti diffamatori online e indicizzati

Inoltre, l’art. 3 del DDL S-466 mira a consentire ai soggetti lesi dagli atti diffamatori e dal trattamento abusivo dei loro dati personali di ottenere la rimozione dai siti web e dagli stessi motori di ricerca dei contenuti diffamatori e dei dati personali abusivamente trattati. Pur essendo questa una prassi regolarmente applicata da parte dei fornitori di servizi on-line, anche per il tramite di ricorsi presentati dai soggetti danneggiati al Garante per la Tutela dei Dati Personali, l’intenzione del legislatore di modificare in tal senso il D.lgs. 70/2003 (Art. 14) troverebbe una fonte normativa diretta, seppure conforme per certi aspetti all’interpretazione offerta dai giudici delle norme vigenti in tema di responsabilità dei fornitori di servizi on-line.

Lo stesso ragionamento testé seguito può essere riferito alla previsione dell’art. 4 del DDL in argomento, norma che prevede di integrare le disposizioni di implementazione della Direttiva sul commercio elettronico[15] attraverso l’inserimento di un art. 17-bis, istitutivo di un’apposita procedura di “Notice and Take Down” cui potrebbero avere accesso le persone che si ritengano motivatamente offese nel proprio onore e reputazione per la pubblicazione di contenuti lesivi da parte della stampa[16].

La tutela delle fonti

Avuto riguardo poi all’art. 5 del DDL S-466, norma che prevede, nel caso in cui ciò sia necessario per accertare un determinato reato, il disvelamento da parte del giornalista della fonte da cui origina la notizia, a modifica del testo vigente dell’art. 200 del codice di procedura penale, tale previsione non sembra possa trovare un consenso da parte degli organi di stampa indipendenti. Tale ipotesi normativa apre infatti certamente un vulnus nell’attuale sistema dell’informazione e dovrà essere approfondito, al pari dell’aggiunta prevista dal DDL in questione di un comma 1-bis all’art. 321 del codice di procedura penale, sul sequestro penale probatorio, per rendere inaccessibili agli utenti, temporaneamente, i dati informatici che possano aggravare le conseguenze di un reato.

Nuova regolamentazione della stampa: gli ostacoli

Ad opinione di chi scrive, le proposte di legge riguardanti una regolamentazione del settore della stampa, incontrano nella gran parte dei casi un ostacolo significativo alla loro approvazione parlamentare nel dettato costituzionale dell’art. 21, il quale, ben logicamente inserito nel contesto storico del nostro Paese, ha smarrito oggi le ragioni per le quali si debba distinguere la “stampa”, intesa come testata giornalistica, da tutte le altre forme di comunicazione che, attraverso i diversi media – primi fra tutti i social network – esprimono opinioni e danno notizie che sono rivolte al grande pubblico e lo raggiungono come libera espressione del pensiero.

Seppure tali strumenti di comunicazione non certifichino la validità delle notizie attraverso la presenza dei requisiti cui è assoggettata la pubblicazione dei giornali in base alla legge vigente, né impongano l’iscrizione ad albi professionali di chi fornisce i contributi, il loro impatto oggi è capace di dirigere l’opinione pubblica e le stesse scelte dei destinatari dei messaggi, rendendo poco comprensibili gli adempimenti posti dalla nostra legge per la registrazione, la gestione, il controllo, lo stesso finanziamento pubblico della stampa quotidiana. Perché debbono esistere due diversi piani sanzionatori a carico di chi viola l’art. 595 del Codice penale e a carico di chi viola l’art. 12 della L. 47/1948, quando la fattispecie è la medesima ma muta solamente la misura delle sanzioni?

Il ricorso alla giurisprudenza

La giurisprudenza penale e civile creatasi in Italia negli anni più recenti applica i dettami delle norme esistenti (in particolare l’art. 595 del C.P. per i casi di diffamazione e gli artt. 2043 e 2049 per i danni causati dalla pubblicazione di articoli di giornali lesivi dei diritti altrui alla privacy o alla reputazione): assai raramente trovano applicazione le norme della legge sulla stampa, che viene spesso pretermessa anche dalle stesse parti dei giudizi civili, atteso che con l’intervenuta depenalizzazione di fatto dell’art. 595 C.P. più volte ricordato, sono scomparsi dai nostri tribunali i processi penali riguardanti direttori e giornalisti.

Inoltre, incidono sulle norme di legge e sulla loro interpretazione le linee giurisprudenziali dei tribunali di merito, quali esse vengono affermandosi e sviluppandosi nel tempo cui il sistema giuridico fa e dovrà fare in futuro costante riferimento[17].

Giornalismo d’inchiesta e diffamazione

In chiusura di questa sommaria analisi del tema della diffamazione in Italia non può essere tralasciato il tema del giornalismo di inchiesta. Per tali attività di informazione, essenziali al fine di fornire al pubblico una visione dei fatti che proponga la raccolta, la selezione di dati, immagini, interviste spesso raccolte con strumenti occulti o di difficile identificazione, può condurre a una narrazione degli eventi che non sempre rappresenta i connotati della verità e della continenza, che nella generalità dei casi devono essere presenti nella notizia per renderla legittima.

Dato atto, in ogni caso, che l’esercizio del diritto di cronaca e di critica non consentono di travalicare la legge per la finalità di raccogliere le informazioni e i dati utili a tale scopo,[18] va soggiunto che è consentito a chi compie l’approfondimento d’inchiesta di analizzare i fatti interpretandoli e ponendoli in correlazione fra loro, in maniera elastica, purché i fatti stessi risultino veri e sia chiara la distinzione fra i fatti reali e la lettura e l’interpretazione degli stessi data dai giornalisti[19].

Note _


[1] Su questo argomento si è espressa con un’analisi comparativa la testata Agenda Digitale e anche la FNSI.

[2] Questo il testo della norma cardine in materia di libertà di pensiero e di libera stampa vigente in Italia: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.

Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria [cfr. art. 111 c.1] nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili.

In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s’intende revocato e privo d’ogni effetto.

La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.

Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni”.

[3] Sentenza della Corte costituzionale n. 38/1973, pubblicata qui.

[4] Sul punto si vedano gli arresti della Suprema Corte di cassazione, Sez. III Penale, sentenza 7 maggio 2008 N. 37581 e Sez. I Penale, sentenza 17 giugno 2009 N. 25184.

[5] Ci riferiamo al significato originario del termine “ermeneutica” quale interpretazione delle norme nel loro contesto storico e sociale.

[6] La Corte di Giustizia dell’Unione Europea nel caso C-18/18 ha statuito con sentenza del 3 ottobre 2019 che le norme vigenti sulla responsabilità degli Internet Service Provider consentono di ottenere la rimozione a livello globale del contenuto di messaggi diffamatori precedentemente dichiarati illeciti. Sulla responsabilità penale per diffamazione a mezzo dei social network, la Corte di cassazione (Sent. 3148/2019, Sez, V Penale) considera necessario valutare nel caso concreto se le espressioni usate dal soggetto accusato costituiscano esercizio del diritto di critica, ovvero se esse debordino da tale contesto configurando una vera e propria aggressione personale nei confronti del soggetto leso nel proprio onore e reputazione.

[7] Sul tema del buon costume, il precetto dell’art. 528 del Codice penale stabilisce che siano vietati “il commercio, la distribuzione, l’esposizione al pubblico, la fabbricazione, l’introduzione nel territorio dello Stato, l’acquisto, la detenzione, l’esportazione o la circolazione di … immagini od altri oggetti osceni di qualsiasi specie”. Oltre alle pene pecuniarie e contravvenzionali comminate dagli Artt. 528 e 529 C.P., le sanzioni previste dal nostro ordinamento sono possono comportare anche la disattivazione degli impianti di diffusione radiotelevisiva. A tale proposito, nei casi meno gravi l’Ag.Com. può ordinare la sospensione dell’efficacia delle concessioni o delle autorizzazioni di radiodiffusione televisiva per un periodo da uno a dieci giorni.

Per i suddetti comportamenti lesivi del buon costume è altresì prevista la sanzione amministrativa di cui all’art. 668 C.P. “Rappresentazioni teatrali o cinematografiche abusive”, norma che è stata depenalizzata con il d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8 al pari di quella degli artt. 528 e 529 del Codice penale.

[8] Si riporta l’inciso della decisione della Corte costituzionale sul punto: “Vale la pena di mettere in rilievo che ciò non significa che al di fuori delle predette ipotesi la libertà di stampa non conosca confini. Per il già richiamato carattere di strumentalità, essa soggiace agli stessi limiti che circoscrivono la libertà di manifestazione del pensiero. Ma si tratta di limiti che vanno ricercati in sede di interpretazione del primo comma dell’articolo 21: il terzo comma, che disciplina la diversa materia della misura cautelare del sequestro, deve essere interpretato nel senso che non tutte le violazioni di siffatti limiti possono legittimare il ricorso a tale misura. Per garantire la diffusione della stampa, che potrebbe essere compromessa o addirittura definitivamente pregiudicata da provvedimenti che, ancorché adottati dall’autorità giudiziaria, si basano su una cognizione sommaria e possono poi risultare ingiustificati in sede di accertamento definitivo, la Costituzione, tenendo conto della importanza del ruolo della stampa in un regime democratico, ha disciplinato il conflitto fra l’interesse al sequestro e l’interesse alla circolazione della stampa: la norma costituzionale di raffronto, mentre consente al legislatore ordinario di dar prevalenza al primo (purché attraverso un’espressa previsione) nel caso di delitti, direttamente stabilisce la prevalenza del secondo in ogni altra ipotesi”.

[9] Questa norma è stata dichiarata incostituzionale con Sent. 150/2021 della Consulta. Qui il testo: https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2021&numero=150

[10] Sul tema della diffamazione a mezzo stampa, oltre all’esclusione dell’applicazione di sanzioni che prevedano la reclusione, vi sono stati autorevoli interventi legislativi non giunti a buon fine. Sul punto si può leggere il seguente brano: https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/diffamazione-reclusione-solo-se-ce-incitamento-allodio-la-sentenza-della-cassazione/

[11] Cfr. Cass. Pen., Sez. III, Sent. 10535/2009 il cui contenuto centrale è riassunto dal seguente inciso della decisione: “I nuovi mezzi di comunicazione del proprio pensiero (newsletter, blog, forum, newsgroup, mailing list, chat, messaggi istantanei, e così via) non possono, tutti in blocco, solo perché tali, essere inclusi nel concetto di stampa ai sensi dell’art. 21, comma 3, Cost., prescindendo dalle caratteristiche specifiche di ciascuno di essi“.

[12] Qui l’edizione del 10 marzo 2021 a cura del Presidente del Tribunale, Cons. Bichi: pag. 83 e seguenti

[13] Si tratta della nota sentenza Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, Sez. II, resa in data 24 sett. 2013, Belpietro c. Italia, Ricorso N. 42612/10, con cui il giudice internazionale ha stabilito che viola l’art. 10 della Carta Europea l’applicazione di una pena detentiva, anche qualora la medesima sia stata sospesa, nei confronti di un giornalista riconosciuto responsabile di diffamazione.

[14] Reati commessi col mezzo della stampa non periodica- Nel caso di stampa non periodica, le disposizioni di cui al precedente articolo si applicano all’editore, se l’autore della pubblicazione è ignoto o non imputabile, ovvero allo stampatore, se l’editore non è indicato o non è imputabile.

[15] Queste norme dovranno essere ulteriormente modificate con l’entrata in vigore del Digital Service Act. Sul punto si può leggere questo articolo.

[16] Si osserva che le procedure c.d. di Notice and Take Down sono attualmente rivolte principalmente alla rimozione e alla disabilitazione dell’accesso dei contenuti illeciti che violano i diritti d’autore o i diritti connessi, così come previsto -ad esempio – dai Regolamenti emanati dall’Ag.Com. in materia, da ultimo quello oggetto della Delibera 189/23/CONS del 31 luglio 2023. Sul tema della responsabilità degli ISP si può leggere ciò.

L’estendere la procedura di rimozione a contenuti la cui illiceità deve essere accertata dal giudice in quanto non oggettivamente provabile come accade con la violazione di un diritto di proprietà intellettuale di cui è portatore il legittimo titolare, implica il rischio di una escalation nei contenziosi e, nel caso della norma proposta, di un sovraccarico di ricorsi di fronte all’organismo di ADR da crearsi presso la stessa Ag.Com. Valgono altresì le osservazioni derivanti dalle decisioni di cui alla precedente nota n. 6.

[17] In tema di diffamazione, sin dall’anno 2012, la Corte di cassazione (Sent. 4545/2012 del 22 marzo 2012, rv. 252484) ha stabilito che il diritto di critica “può essere esercitato anche mediante espressioni lesive della reputazione altrui, purché esse siano strumento di manifestazione di un ragionato dissenso e non si risolvano in una gratuita aggressione distruttiva dell’onore”. È pacifico, peraltro, che il diritto di critica può essere legittimamente attuato “fermo restando che il fatto presupposto e oggetto della critica deve rispondere a verità sia pure non assoluta, ma ragionevolmente putativa per le fonti da cui proviene o per altre circostanze oggettive, così come accade per il diritto di cronaca” (Cass. Civile. Sez. III, Sent. 7847 del 6 aprile 2011).

Avuto riguardo alla violazione dei dati personali della persona, tale delitto concorre con quello di diffamazione, così come è stato statuto dalla Cassazione Penale (Sez. V, Sent. 27675 del 20 giugno 2019), in quanto il reato di diffamazione riguarda “la reputazione, attinente all’aspetto esteriore della tutela dell’individuo e al suo diritto a godere di un certo riconoscimento sociale, mentre il delitto di trattamento illecito di dati personali è posto a tutela della riservatezza che ha riguardo all’aspetto interiore dell’individuo e al suo diritto a preservare la propria sfera personale da ingerenze indebite (…)”.

[18] Cass. Pen. Sez. I, Sent. 6 luglio 2026, N. 27984. (in un caso di rimozione di sbarramenti in zona interdetta al traffico per ordine dell’autorità).

[19] Sul punto, Cass. Civ. Sez. II, Sent. 5 giugno 2024, N. 15755 (lesione all’immagine subita da un imprenditore del settore della ristorazione). Non meno interessante, in tema di informazione giornalistica, è la sentenza del Tribunale di Milano, Sezione I, del 5 settembre 2023, in cui il giudice evidenzia come perché sussista il reato di diffamazione “qualsiasi distorsione, alterazione, travisamento od offuscamento del patrimonio intellettuale, politico, religioso, sociale, ideologico o professionale dell’individuo, valutati in relazione ai comportamenti concretamente esigibili dalla collettività di uno specifico contesto storico”.

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