I tempi sono maturi per fare i modo che la digitalizzazione dei processi aziendali si compia, soprattutto nel panorama delle piccole-medie imprese che costituiscono ancora il tessuto industriale dell’Italia. Ma sebbene l’introduzione obbligatoria della fattura elettronica B2B e il piano Industria 4.0, con i suoi incentivi e agevolazioni, abbia contribuito molto ad avvicinare le figure aziendali interessate a questa vasta tematica, innegabilmente il percorso da effettuare è ancora molto lungo e spesso non privo di intoppi. Una soluzione può venire dalla dematerializzazione dei processi aziendali.
La dematerializzazione dei processi
Il titolo di questo articolo è provocatorio e purtroppo veritiero, perché sovente il processo di progressiva digitalizzazione è rallentato da situazioni collaterali, indipendenti dalla volontà imprenditoriale, che contribuiscono in modo tangibile a disorientare chi è interessato ad investire risorse in questo ambito. La digitalizzazione si avvia a diventare una svolta epocale nel modo di fare impresa: la progressiva sostituzione del documento cartaceo con quello informatico, ma soprattutto la possibilità di utilizzo di strumenti software sempre più potenti e configurabili per snellire l’organizzazione aziendale sostituendo strumenti e supporti dati finora utilizzati, rendono questo approccio procedurale ormai insostituibile al pari dell’energia utilizzata come forza motrice.
L’approccio tuttora più noto, consistente nella dematerializzazione dei documenti, è paradossalmente quello che apporta meno benefici all’organizzazione aziendale: è quello che si limita a sostituire il supporto del documento e che per questa ragione tende a replicare la procedura aziendale esistente, ottenendo come risultato nella migliore delle ipotesi una riduzione del cartaceo circolante, ma che lascia inalterate tutte le criticità organizzative e le conseguenti diseconomie; è quello che banalmente, se non fosse per qualche utility di indicizzazione e ricerca propria di una suite di gestione documentale, nelle realtà piccole potrebbe essere soddisfatto da una ordinata archiviazione dei file in cartelle sui server.
Il metodo che invece deve essere adottato, è quello di dematerializzare il processo e non il documento, per fare in modo che quest’ultimo sia solamente un output opzionale, una rappresentazione grafica on-demand e niente più, del flusso procedurale e non ne sia invece un collo di bottiglia: è importante il dato e non il documento che lo contiene. I dati possono essere oggetto di verifiche automatizzate, possono essere letti automaticamente e determinare esiti di processo in base a regole pianificate, mentre nel momento in cui nel flusso procedurale compare un documento in formato analogico per forza di cose vengono meno gran parte delle possibili opportunità di elaborazione.
Fattura elettronica e NSO, strumenti di dematerializzazione
È evidente che dematerializzare un processo impone un’attenta analisi dell’esistente, soprattutto perché in modo critico occorre mettersi in discussione e individuare le aree che possono essere tradotte da subito in un flusso regolato di operazioni e localizzare quelle in cui intervenire in modo che lo diventino. La corretta reingegnerizzazione di processi deve portare necessariamente a una velocizzazione dell’avanzamento di processo evitando accuratamente ogni duplicazione dello stesso dato, il reinserimento manuale e, rispetto alla situazione precedente, a una riduzione dei task di cui ne è composto; la proattività nel verificare costantemente le performance di processo è inoltre il fattore determinante per adeguare rapidamente la propria organizzazione alle mutate condizioni in cui ci si trova ad operare.
Per quanto abbiamo visto finora, nell’ambito interno all’azienda, la dematerializzazione ha ben pochi vincoli: dove invece necessariamente si deve arrivare a compromessi è quando il processo include attività che mettono in relazione l’azienda con la pubblica amministrazione; in questo contesto gli esempi virtuosi di reale evoluzione delle modalità operative di quest’ultima sono drammaticamente rare. Incredibilmente la soluzione che più avvicina la PA all’argomento oggetto dell’articolo è quella che più è stata osteggiata da aziende e relativi consulenti: la fattura elettronica B2B; unico esempio, insieme al prossimo progetto NSO di imminente attuazione (il primo ottobre 2019 lo strumenta diventa obbligatorio per lo scambio di documenti d’ordine tra fornitori ed enti del Servizio Sanitario Nazionale) di una modalità operativa che privilegia l’acquisizione del dato in tempo reale e che si pone effettivamente come un servizio più che come un adempimento.
Fa specie aver constatato nei mesi precedenti, come la maggior parte di contribuenti e relativi consulenti fiscali, fossero assuefatti alla trasmissione differita di dati amministrativi (e in quanto tale costringeva a una rielaborazione di informazioni già trattate) e non avessero colto il valore di un servizio che è stato percepito come l’ennesimo adempimento e non un potente strumento su cui fare leva per esigere lo snellimento di tutte quelle dichiarazioni che la normativa fiscale ancora richiede.
Sanzioni e complessità normativa
È comunque drammaticamente vero che l’approccio della PA alla digitalizzazione assume spesso una valenza più che altro sanzionatoria, invece di proporre un servizio utile ad entrambe le parti: esempi recenti dimostrano che la via maestra perseguita per la transizione al digitale è quella di tassare o sanzionare comportamenti difformi da quanto richiesto; si aggiunga che la messa in opera di questi strumenti avviene sempre attraverso una stratificazione e sovrapposizione di normative e circolari in corso d’opera che ne rendono più oneroso del dovuto il recepimento a cui, aspetto da non trascurare, si somma una povertà di applicazioni sw messe a disposizione dei contribuenti, quasi sempre in ritardo rispetto al momento di necessità.
È in vigore un Codice Amministrazione Digitale, più volte aggiornato ancora prima che venisse recepito nella versione precedente, dedicato agli enti pubblici, che il più delle volte viene disatteso, è vistosa una mancanza di standard sia operativi (nazionali e paneuropei) che nei livelli di servizio (nonostante questi siano già disponibili): si procede contemporaneamente su più progetti (vedi l’identità digitale divisa tra SPID e CIE per le persone fisiche) senza dare a nessuno l’impulso decisivo, con il risultato che in definitiva non viene implementato niente di effettivamente chiaro, concreto, condiviso e perciò risolutivo.
Conclusione
Manca in sostanza una continuità di operato, dovuta a molteplici fattori tutti imputabili alla pubblica amministrazione, che è deleteria per poter offrire servizi e non adempimenti. Quanto appena detto mi pare essere lo scoglio più grande per il raggiungimento di una digitalizzazione diffusa e funzionale, come ad esempio avviene in altri stati europei che, senza particolari remore hanno innovato e hanno ottenuto risultati migliori in meno tempo