l'analisi

DL Semplificazioni, per uscire dalla crisi: Codice Appalti, ricorsi, iter autorizzativi

Il DL Semplificazioni approvato “salvo intese” dal Governo si pone l’obiettivo di spingere gli investimenti necessari alla ripartenza e alla crescita del Paese: vediamo gli interventi normativi più importanti a questo riguardo

Pubblicato il 13 Lug 2020

Stefano De Marinis

Of Counsel Studio Legale Piselli&Partners

Pierluigi Piselli

Founding Partner Studio Piselli & Partners

appalti

Il DL Semplificazioni, approvato “salvo intese” e in uscita in Gazzetta Ufficiale a giorni, ha soprattutto il fine di rilanciare gli investimenti di cui il Paese è da tempo alla ricerca per tornare a crescere. È quanto risulta evidente a un’analisi dell’articolato.

Crescita divenuta a questo punto necessità assoluta e del tutto improcrastinabile se si vuole evitare il tracollo annunciato dalle ultime proiezioni sul PIL 2020; se sia quanto indicato nel decreto la soluzione definitiva ad un problema che si trascina da tempo lo stesso Governo sembrerebbe escluderlo, ma che si tratti di un tentativo, forse l’ultimo utile, per rimettere in pista una macchina destinata da subito a correre, nell’interesse di tutti, non può essere messo in dubbio.

Conciliare la corsa con la legalità, nozione diversa dalla legittimità, è senz’altro priorità di rilievo che non può subire sacrificio dinanzi alla necessità di assicurare la ripresa, ma che pare comunque potersi assicurare sia con le misure attuali sia con i miglioramenti che l’utilizzo dell’innovation technology può assicurare.

DL Semplificazioni, gli interventi sul tema Codice Appalti

Venendo al merito del provvedimento, l’analisi a caldo del relativo testo, che come si accennava è suscettivo di modifiche e comunque denso di disposizioni volte a risolvere, ancorché spesso in via temporanea, questioni generali ed aspetti di dettaglio, peraltro non secondari sul piano delle relative implicazioni pratiche, non può che muovere da alcune considerazioni generali. In primo luogo rileva la tematica Codice dei Contratti (chiamato anche “Codice Appalti”, di cui al D.lgs. n. 50 del 2016).

Da tempo è aperto il dibattito, spesso solo di bandiera, se sia attribuibile al Codice l’obiettiva stasi degli investimenti; e allora basterebbe tornare all’antecedente formulazione del 2006, con annesso regolamento, insieme a qualche aggiornamento imposto dai testi comunitari nel frattempo sopravvenuti per risolvere il problema.

O se, viceversa, la risposta vada ricercata altrove, o per lo meno principalmente altrove, iniziando dall’esistenza di una reale, e coesa, volontà politica di dar corso a progetti da tempo individuati, dalla disponibilità delle relative risorse e dal superamento della cosiddetta amministrazione difensiva, questione nota anche come problema del “blocco della firma”, che ha origini diverse ma che comunque, per molti, forse per troppi, rappresenta un alibi tanto perfetto quanto da rimuovere al più presto.

Sul tema Codice, il Governo non opera una scelta definitiva, ma agisce su piani diversi: accanto alla modifica a regime di un limitatissimo numero di norme, come l’articolo 80, comma 4, sulle violazioni in materia contributiva e fiscale, che tornano in ballo anche laddove non definitivamente, accertate, o l’articolo 183, comma 15, in tema di Partenariato Pubblico Privato, abilitando i privati a presentare proposte anche per opere già incluse in programmazione, gran parte della bozza di decreto dimostra di voler operare sulla falsariga del precedente provvedimento “sblocca cantieri” del 2019 (legge n.55 di conversione del Decreto n.34), intervenendo per così dire dall’esterno; in specie istituendo una serie di regimi in deroga, anche parziale, ad esempio in tema di contingentamento delle tempistiche di affidamento, sospensione delle attività esecutive, risoluzione dei contratti in corso, riaffidamenti, ecc., a volte riferiti solo ai lavori, destinati ad operare fino al 31 luglio 2021.

Il termine del 31 luglio 2021

Questa, infatti, è la nuova data limite scelta per segnare l’esaurirsi di un regime di eccezionalità destinato a durare un anno, che il Governo intende utilizzare per rimettere in pista la macchina e cercare di farla correre, legando l’operazione alla pandemia; questa costituisce il riferimento unico che, in conformità alle indicazioni comunitarie[1], legittima l’abbreviazione di tutti i termini, specie – ma non solo – per la gestione degli affidamenti, alla quale il decreto a tali fini fa ampio ricorso, oltre alla parziale deroga al regime di piena concorrenza che l’Unione di regola persegue. Al 31 luglio 2021 viene altresì riportato l’esaurirsi degli analoghi interventi derogatori già disposti nel 2019, ad esempio per il ripristino dell’appalto di progettazione ed esecuzione, e, forse, anche l’obiettivo temporale che il Governo oggi ipotizza ai fini dell’adozione di un nuovo codice.

Peraltro, l’opzione adottata alimenta, nell’immediato, un quadro normativo la cui complessiva ricostruzione diviene ancor più difficoltosa, e rispetto al quale solo le modifiche al regime delle responsabilità, specie per danno erariale, e lo sdoganamento dell’istituto del collegio consultivo tecnico con conseguente ampio ricorso ad esso, addirittura come obbligo per lavori sopra soglia comunitaria, sembrano in grado di dar senso ad un’iniziativa senza dubbio ambiziosa, ma a rischio, senza questi due pilastri, di ripercorrere logiche e storie già viste, che non hanno certo prodotto gli auspicati effetti anticiclici. Rispetto al primo pilastro, il Decreto dispone che, fino al 31 luglio 2021, per quanti sono sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti in materia di contabilità pubblica, il relativo regime di responsabilità venga circoscritto al caso di dolo – ma ciò solo per i comportamenti attivi, non anche per le omissioni – dolo da riferirsi all’evento dannoso in chiave penalistica e non civilistica; per quel che riguarda l’abuso d’ufficio il provvedimento intende intervenire sull’articolo 323 del codice penale, dando rilevanza alla violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti con forza di legge, e alla circostanza che anche dalle specifiche regole non residuino margini di discrezionalità per chi ha operato; ciò in luogo dell’attuale assetto, che fa generico riferimento alla violazione di norme di legge o di regolamento.

Quanto al collegio consultivo tecnico, va detto che la soluzione riguarda, al momento, solo i lavori, e sempre fino al 31 luglio 2021; di regola il collegio si compone di 3 membri, 5 in via di eccezione, e diviene obbligatorio costituirlo, con finalità di assistenza per la rapida soluzione delle controversie o delle dispute tecniche di ogni natura suscettibili di insorgere in sede di esecuzione, anche per i contratti in corso. La norma prevede che le determinazioni del collegio hanno la natura di lodo contrattuale, di cui all’articolo 808ter cpc, salvo diversa volontà delle parti; per i lavori sotto soglia il ricorso a tale istituto è facoltativo, così come nel caso, ugualmente previsto ex novo, di costituzione per risolvere questioni tecniche o giuridiche suscettibili di insorgere anche prima e a prescindere della fase esecutiva del contratto. Trattasi di due aspetti sui quali l’intervento del legislatore era stato da tempo auspicato da chi scrive, ancorché in un diverso complessivo contesto che mirava a far sì: da un lato che la limitazione della responsabilità sul piano contabile fosse definita ex lege solo in presenza dell’allegazione del fatto dell’aver, l’interessato, operato in applicazione di specifici indirizzi, linee guida, circolari ecc. rese disponibili da competenti organismi istituzionali, semmai versate in programmi informatici evoluti del tipo “gestionali intelligenti”, salvo il caso di comportamenti dolosi in tal modo più facilmente identificabili, e comunque preventivamente da verificare in sede penale; dall’altro, che l’attività svolta dai collegi consultivi tecnici potesse essere notarizzata, anche qui in via informatica, onde permetterne la successiva verifica. È questa la logica indicata, ad esempio, in un importante studio messo recentemente in campo da Assonime secondo il quale la piena efficacia dei controlli ex post potrebbe essere peraltro rafforzata mediante un ampio utilizzo delle tecnologie blockchain, oggi disponibili, che rendono molto più difficile “imbrogliare le carte”[2].

Posto quindi che anche per il Governo il problema dell’incapacità di dar corso agli investimenti sia da ricercare, per lo meno anche, al di fuori del Codice, rispetto a quest’ultimo va osservato come la stabilità normativa e la conseguente prevedibilità delle decisioni, anche e soprattutto di natura giurisdizionale, che da detta stabilità può derivare, rappresenti un elemento imprescindibile per qualsiasi contesto economico territoriale che miri a favorire la crescita attraverso l’attrazione degli investimenti. In questo senso, quindi, meglio senz’altro procedere migliorando le prestazioni di una macchina che già c’è, piuttosto che ripresentarne ciclicamente una nuova, destinata ogni volta a scontare gli inevitabili processi di familiarizzazione e correzione operativa che ne rallentano l’avvio. Idem dicasi per le scorciatoie temporanee che confondono il quadro d’insieme moltiplicando dubbi ed incertezze.

Contratti “sotto soglia comunitaria” e ulteriori disposizioni

Confidando, in ogni caso, sulle due opzioni in grado di sostenere le scelte operate, e cercando a questo punto di riassumerne il merito prescindendo volutamente dagli aspetti riguardanti l’uso della figura dei commissari, i relativi poteri derogatori ed il numero o l’identificazione dei progetti ad essi potenzialmente riconducibili, il primo ambito cui dedicare attenzione riteniamo esser quello dei contratti “sotto soglia comunitaria”, oggi regolato dagli articoli 36, comma 2, e 157 comma 2, del Codice; l’intervento del Governo è qui finalizzato a ridurre le casistiche oggi contemplate, incarichi tecnici inclusi, sostanzialmente a due: affidamenti diretti fino a 150.000 euro; procedure negoziate con operatori economici invitati dalla stazione appaltante in numero crescente tra tale valore ed il limite di operatività delle Direttive UE applicabili a ciascuna tipologia di contratti. Per gli affidamenti di importo comunitario si procede con gli strumenti ordinari ma potendo sempre utilizzare termini abbreviati, opzione questa accompagnata dalla previsione di un arco temporale massimo per la conclusione della procedura di affidamento, 2,4 o 6 mesi dal suo avvio a seconda della tipologia utilizzata e dell’importo, comunitario o meno, del contratto, termini che, se non rispettati, generano sanzioni nei confronti del responsabile del procedimento, anche sul piano erariale, ovvero dell’operatore economico se sia quest’ultimo la causa del ritardo.

Solo per i lavori, laddove di importo comunitario, è altresì prevista una deroga alle norme su sospensione e risoluzione dei contratti in corso, di regola disciplinate dagli articoli 107 e 108 del Codice, ridefinendo le relative ipotesi, incluso il caso in cui la prosecuzione del rapporto non possa aver luogo con l’originario contraente e debba ricorrersi alla graduatoria di gara per il riaffidamento, ciò che può avvenire alle condizioni offerte e non più, come è oggi, a quelle di aggiudicazione; altra ipotesi riguarda possibilità la nomina di un commissario straordinario con i poteri della legge “sbloccacantieri”.

Procedendo, ancora fino al 31 luglio 2021 per contratti di qualsiasi tipo la consegna d’urgenza è sempre autorizzata; le visite relative allo stato dei luoghi a pena di esclusione sono richiedibili solo laddove strettamente indispensabili; per i contratti infracomunitari la cauzione provvisoria viene, di regola, esclusa, salvo specifica motivazione e, comunque, dimezzata; per la riduzione dei termini non è necessario dar conto delle ragioni dell’urgenza, che si considerano comunque sussistenti.

Completano il pacchetto degli interventi: la previsione del cosiddetto “sal emergenziale”, che a questo punto sembra peraltro perdere molto della sua utilità, visto il generalizzato avvenuto riavvio delle attività esecutive; l’obbligo di attivazione, entro fine anno, degli accordi quadro in essere; la remunerazione delle spese sostenute dagli appaltatori per assicurare l’operatività in sicurezza a seguito, o in occasione, della pandemia, da corrispondersi con il primo pagamento successivo all’aggiornamento del PSC, previsione quest’ultima che andrebbe espressamente estesa per lo meno ai servizi, come peraltro già contemplato in alcune disposizioni speciali riguardanti l’erogazione dei servizi alla persona (articolo 48, comma 1, legge 27). L’emergenza Covid infine, viene ricondotta a causa di forza maggiore ai sensi della disciplina sulle sospensioni di cui all’articolo 107 comma 4 del codice, espressamente per l’intero comparto di lavori forniture e servizi.

Ricorsi giurisdizionali e semplificazione delle autorizzazioni

Al di fuori del Codice dei Contratti, resta da dire dei ricorsi giurisdizionali e delle semplificazioni riguardanti i procedimenti autorizzatori di cui tratta la bozza di decreto, anche se su questi ultimi non sembrano esclusi a breve ulteriori interventi legislativi ad hoc. Relativamente ai ricorsi giurisdizionali, la strada prescelta è quella di generalizzare la disciplina ex lege obiettivo, codificata più di recente nell’articolo 125 del cpa; vi si aggiunge che, in assenza di sospensiva, deve procedersi con la stipula del contratto dando peraltro alle stazioni appaltanti la possibilità di assicurarsi sul piano della responsabilità per danni, nell’ipotesi in cui gli esiti finali del giudizio di merito dovessero riconoscerne il diritto all’operatore pretermesso.

In tema di semplificazione delle procedure autorizzative, fino al 31 dicembre 2021 è possibile adottare una conferenza di servizi semplificata, ai sensi dell’articolo 14-bis della legge 241 del 1990, con tempistiche più brevi rispetto a quanto attualmente prescritto per il rilascio delle determinazioni di competenza da parte di tutte le amministrazioni coinvolte. Sempre nell’ambito della legge 241, viene altresì chiarito che nei casi di silenzio assenso già ivi previsti, la scadenza dei relativi termini fa venir meno il potere postumo di dissentire, fatto salvo quello di annullamento d’ufficio, ove ne ricorrano i presupposti e le condizioni, con conseguente espressa declaratoria di inefficacia dell’atto di dissenso che sia adottato dopo la già avvenuta formazione del silenzio.

Con riguardo alla razionalizzazione delle procedure di valutazione dell’impatto ambientale, il Decreto tra l’altro propone la presentazione, sin dall’avvio del procedimento da parte del proponente, del progetto di fattibilità o definitivo, in luogo degli attuali elaborati progettuali.

Conclusioni

L’ambito degli interventi normativi fin qui considerati, che peraltro non esauriscono di certo i contenuti del decreto, dimostrano l’importanza e la vastità dell’intervento, per la complessiva e soprattutto definitiva valutazione del quale occorrerà attendere ancora, a cominciare dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale che ci si augura possa avvenire al più presto, fino alla identificazione del suo testo definitivo risultante dal processo di conversione. Al riguardo, non può peraltro sfuggire come i tempi di conversione scavalchino il mese di agosto, ciò che porrà al Governo l’ulteriore problema se spingere il Parlamento a concludere i lavori prima della fine di luglio, per anticipare quella stabilità normativa che, unica, consentirà di cominciare ad operare, ovvero utilizzare tutti i 60 giorni previsti per la conversione, rischiando quindi di bruciare anche il mese di settembre, restando disponibile per verificare possibili segnali di inversione di tendenza sul PIL solo nell’ultimo trimestre del 2020.

_

Note

  1. Così Comunicazione della Commissione (2020/C 108 I/01) – Orientamenti della Commissione europea sull’utilizzo del quadro in materia di appalti pubblici nella situazione di emergenza connessa alla crisi della Covid-19.
  2. Rapporto ASSONIME – Interventi di semplificazione e modernizzazione del sistema amministrativo per il rilancio dell’economia, 17 giugno 2020, p.18.

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