notariato e innovazione

Documenti digitali, ancora tanti ostacoli da superare: lo scenario



Indirizzo copiato

Il bilancio della digitalizzazione documentale è positivo, ma nella pratica quotidiana si notano molti fronti critici per cittadini, imprese e uffici: ecco quali sono le priorità da affrontare

Pubblicato il 21 gen 2025

Michele Manente

Notaio, Componente della Commissione informatica del Consiglio nazionale del notariato

Michele Nastri

Notaio, Componente della Commissione informatica del Consiglio nazionale del notariato



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Sovereign cloud technology concept. Laws and regulations with padlock on cloud icons on laptop computer, blue tone. Data security, control and access with strict requirements of local laws on privacy.

La digitalizzazione dei documenti rappresenta una delle trasformazioni più significative nel panorama giuridico e amministrativo contemporaneo, grazie alla sua intrinseca capacità di apportare vantaggi sostanziali in termini di efficienza e accessibilità in praticamente ogni ambito dell’attività umana. Questo ne ha favorito la rapida diffusione, a scapito (forse) di un adeguato periodo di adattamento.

In diversi settori, la rapidità eccessiva del processo di trasformazione digitale, spesso non accompagnata da un adeguato supporto formativo, ha ostacolato la capacità degli operatori di comprendere che una simile transizione non si limita alla mera sostituzione dei documenti cartacei con formati digitali. Al contrario, essa richiede un ripensamento profondo e strategico delle modalità di gestione e conservazione dei documenti stessi.

È fondamentale considerare questo concetto non solo come il mantenimento della sequenza binaria del documento, ma anche come una garanzia della sua validità giuridica nel tempo. In altre parole, sebbene la digitalizzazione offra indubbi benefici, essa comporta anche una serie di criticità che devono essere affrontate con la massima attenzione. Da quasi 15 anni, il notariato italiano (cfr. D.Lgs. 110/2010) si pone come osservatore privilegiato di questa trasformazione, sia in qualità di creatore di documenti digitali, sia come utilizzatore o certificatore dei processi di digitalizzazione altrui.

Il bilancio di questi anni è sostanzialmente positivo; tuttavia, ciò che sorprende è la persistenza di numerose criticità sia tra i cittadini che tra gli operatori. Queste problematiche generano inefficienza e malcontento, non solo tra i professionisti del settore, ma soprattutto tra i cittadini stessi.

Digitalizzazione documentale, lo scenario

Ora, il concetto di “digitalizzazione documentale” abbraccia una serie di processi che, sebbene variegati, possono essere suddivisi in due sottocategorie principali. La prima comprende tutti i processi finalizzati alla creazione di nuovi documenti “nativi” digitali, ossia la produzione di nuovi documenti esclusivamente in formato digitale, con conseguente riduzione o abbandono dell’utilizzo di ogni supporto analogico. Si tratta, in altre parole, di processi che si proiettano nell’immediato presente e nel futuro. La seconda categoria, invece, riguarda i processi dedicati alla digitalizzazione del patrimonio documentale già esistente, trasformando documenti precedentemente generati in formato cartaceo in versioni digitali.

Ciascuna categoria ha le proprie caratteristiche distintive e criticità specifiche, che analizzeremo nel corso del presente contributo, ma ciò che più sorprende è che le criticità finiscono poi – come vedremo – per sovrapporsi.

Criticità osservate nei processi di digitalizzazione nei documenti “nativi” digitali

Vediamo quali sono i principali fronti critici che riguardano i documenti nativi digitali.

Confusione tra originale digitale e copia cartacea

Uno dei principali problemi associati all’uso dei documenti digitali nella vita quotidiana è la difficoltà per i cittadini di distinguere tra un documento digitale originale e una sua “copia cartacea” priva di valore legale. Nonostante la crescente diffusione del formato digitale, l’abitudine alla “carta” continua a persistere, portando molti cittadini a stampare semplicemente i documenti digitali ricevuti via email o scaricati da portali, ritenendoli equivalenti all’originale.

Questa situazione si verifica perché ciò che un normale cittadino percepisce del documento informatico è limitato a ciò che egli visualizza sullo schermo del computer, e che poi considera “sostanzialmente identico” ciò che viene stampato. Tuttavia, questa percezione è fuorviante: la stampa comporta la perdita di tutte quelle informazioni digitali associate al documento, che sono fondamentali per la sua valenza legale.

Questo è particolarmente rilevante nel caso di documenti firmati digitalmente, poiché il cittadino comune tende a confondere simboli, coccarde o diciture apposte al documento (come la coccarda della firma PADES) con la vera e propria firma digitale. In realtà, la firma digitale è un concetto diverso e le etichette che vengono comunemente scambiate per “firme” sono in realtà solo elementi decorativi privi di valore giuridico.

Cosicché, di norma, il comune cittadino di fatto ignora che la semplice stampa di un file firmato digitalmente, comportando – di fatto – la perdita di ogni informazione digitale relativa alla firma ad esso apposta, equivale alla produzione di una fotocopia. Con il digitale, insomma, si è portati facilmente a dimenticare il basilare concetto che ciò che distingue un documento legale originale da una copia è la presenza di una firma in originale. Pertanto, così come un documento cartaceo privo di firma originale non avrebbe alcun valore legale, un documento digitale privato della firma digitale ad esso associata avrà al massimo lo stesso valore giuridico di una fotocopia.

Riassumendo potremmo dire che ciò che comunemente si dimentica che ogni documento mantiene autonoma validità solo nel “mondo” in cui è stato creato: il documento cartaceo sarà valido così com’è solo nel mondo analogico, mentre il documento digitale rimane valido solo se mantenuto nel suo formato digitale. Non a caso le conversioni, tra un “mondo” e l’altro, richiedono l’intervento di un pubblico ufficiale che ne garantisca la conformità e ne preservi, con il suo intervento, la validità legale (cfr. art. 57bis L.89/1913 e artt. 22 e segg. D.Lgs. 82/2005)

Durata dei documenti digitali nel tempo

Una seconda problematica spesso riscontrata nella quotidianità è la scarsa consapevolezza circa la durata nel tempo dei documenti digitali. A differenza del documento cartaceo, infatti, la cui validità è unicamente legata al deterioramento del supporto su cui è scritto, un documento firmato digitalmente (pur mantenuto “integro”) ha una validità giuridica limitata, legata alla durata del certificato di firma elettronica ad esso associato. Questo significa che, una volta scaduto il certificato, il documento perde la sua validità legale, ove non siano adottate procedure (anch’esse digitali) atte a mantenerla nel tempo.

Si tratta di strumenti quali la marcatura temporale, la PEC, il protocollo informatico, senza i quali il documento digitale sarebbe inevitabilmente soggetto ad una sorta di “scadenza” (cfr. Studio n. 1-2017/DI approvato dal Consiglio Nazionale del Notariato).

Ebbene, nell’esperienza quotidiana, l’utilizzo di tali strumenti non è ancora frequente, ed anche nei casi in cui ne viene fatto uso (ad esempio in caso di utilizzo del protocollo informatico da parte delle pubbliche amministrazioni) spesso si nota come tali sistemi siano stati implementati con un’ottica meramente “interna” e non con uno sguardo rivolto all’utilizzo esterno.

Un esempio chiarirà il concetto: spesso pervengono da taluni uffici certificazioni firmate digitalmente, la cui firma digitale una volta scaduta potrebbe sì essere “salvata” dalla presenza di un protocollo informatico, se non fosse che tale protocollo spesso viene fornito su di un file separato, senza che vi sia alcun collegamento certo e verificabile tra un documento (il certificato) e l’altro (il protocollo). In realtà, la verifica di questo collegamento esiste, ma è accessibile solo all’interno del sistema informatico della pubblica amministrazione emittente e non è fruibile dall’esterno.

Questa situazione genera inevitabili frustrazioni e incomprensioni tra cittadini e operatori del settore. Infatti, il cittadino si trova a essere rimbalzato tra l’ufficio pubblico, dove tutto sembra corretto e verificabile, e l’operatore esterno, che non ha accesso alle informazioni necessarie per accertare la validità del documento. Di conseguenza, l’operatore è costretto a non poter utilizzare il documento ricevuto e a richiederne, quando possibile, una nuova emissione. Questo continuo rimbalzo porta a perdite di tempo significative e a ripetute lavorazioni della stessa richiesta, facendo sorgere il rimpianto per i vecchi certificati “cartacei”, che risultano in questo contesto più efficienti rispetto alla loro controparte digitale.

Un altro aspetto critico che spesso si osserva con l’uso della documentazione digitale riguarda l’indisponibilità a medio-lungo termine dei documenti una volta emessi. Documenti fondamentali, come alcuni certificati o estratti di nascita e di morte, non dovrebbero avere per legge alcuna scadenza, e questo problema non si limita solo alla durata delle firme digitali o delle marcature temporali ad essi associate.

Molti di tali documenti, infatti, ormai possono essere scaricati esclusivamente da portali specifici gestiti dagli enti erogatori. Tuttavia, capita spesso che, dopo un certo periodo, il collegamento per il download scada, rendendo impossibile ottenere un nuovo esemplare dello stesso documento o effettuare una verifica retroattiva della sua autenticità.

Nella pratica, si tende a minimizzare questo problema richiedendo semplicemente l’emissione di un nuovo certificato analogo. Tuttavia, questo processo non solo comporta un aggravio burocratico, ma può anche non risolvere questioni legate a documenti o contratti perfezionati sulla base del “vecchio” certificato, qualora la verifica della sua originaria autenticità venga messa in discussione.

Documenti digitali incompleti

Altro problema assai ricorrente nell’ambito della documentazione digitale è la formazione di documenti incompleti, ovvero documenti privi di informazioni che, nella loro controparte cartacea, sarebbero state ritenute imprescindibili. Nella versione digitale, tuttavia, queste informazioni vengono talvolta sistematicamente e volontariamente tralasciate.

Quasi mai, infatti, tali omissioni sono il risultato di una semplice dimenticanza; piuttosto, derivano da convinzioni radicate secondo cui il supporto digitale renda superfluo l’inserimento in un documento di determinate informazioni. Un esempio tipico, che spessissimo si riscontra nell’attività quotidiana, è la mancanza di indicazione della data del documento informatico. La data, come è noto, rappresenta un elemento cruciale per la validità giuridica di qualsiasi documento legale, sia esso pubblico o privato. Essa, infatti, non solo indica il momento in cui il documento è stato formato o emesso, ma funge – soprattutto nei documenti amministrativi e nelle certificazioni – anche da riferimento temporale per gli eventi o le situazioni che il certificato attesta. Un documento amministrativo, ad esempio, privo di data sarebbe (ovviamente) irregolare (art. 14 comma 2 DPR 445/2000).

Tuttavia, non è raro imbattersi in documenti informatici privi di data, a causa della errata convinzione che questa possa essere “sostituita” dalla data presente nel file digitale. Questa percezione è fuorviante: la data di un file è un semplice metadato, facilmente modificabile e alterabile da chiunque (esistono anche tutorial online al riguardo) e non può attestare la validità legale del documento stesso.

Analogamente, anche la data associata alla firma digitale non può essere considerata un riferimento temporale certo, poiché essa si basa sull’orario impostato nel dispositivo o computer che genera la firma, il quale potrebbe anch’esso essere sbagliato o essere stato (più o meno volontariamente) alterato. Del resto, se così non fosse, non sarebbe stato necessario istituire sistemi informatici di datazione certa quali la marcatura temporale, la PEC o la protocollazione informatica di cui si è già detto.

Ma vi è di più: è evidente che tutti gli elementi essenziali di un documento avente valore legale, come un contratto, o un certificato o ancora di un documento proveniente dalla pubblica amministrazione, devono essere parte del contenuto giuridico del documento stesso. Non basta, insomma, che un certo elemento sia presente “da qualche parte” nel documento informatico, ma esso deve essere parte del contenuto giuridico di esso. A differenza dei documenti cartacei, infatti, i documenti informatici contengono una moltitudine di informazioni, molte delle quali generate automaticamente dal software utilizzato e spesso “all’insaputa” dell’operatore. Queste informazioni “aggiuntive” possono avere gli scopi più disparati (si pensi alle istruzioni necessarie per una corretta visualizzazione del contenuto o ai parametri di formattazione del testo), ma quel che è certo è che esse non rientrano nel contenuto giuridico del documento stesso.

Analizzando quindi un qualsiasi documento informatico contenente informazioni giuridicamente rilevanti, potremmo suddividere i dati in esso presenti in due sottoinsiemi: il primo contiene tutte le informazioni volontariamente inserite dal creatore del documento, per le quali egli assume quindi responsabilità legale (come le clausole di un contratto, o i dati di una certificazione o gli esiti di una deliberazione), mentre il secondo insieme comprende informazioni accessorie di scarsa rilevanza legale, generalmente create automaticamente dal software per scopi ulteriori (come le impostazioni relative al formato del documento, ai font utilizzati, alle dimensione del testo o all’allineamento dei paragrafi).

Appare quindi chiaro che tutti gli elementi necessari per garantire la validità giuridica di un determinato documento devono necessariamente essere inclusi in quello che abbiamo appena definito come “insieme di informazioni aventi rilevanza legale” del documento stesso la cui caratteristica è quella di essere direttamente riconducibili all’autore del documento. Solo di tali elementi, infatti, egli sarà ritenuto giuridicamente responsabile.

Certamente in alcuni casi l’uso di uno strumento informatico potrebbe consentire di automatizzare o semplificare la formazione del contenuto di un documento o di parte di esso, ma ciò non potrà mai giustificare l’omissione totale di talune informazioni dal contenuto giuridicamente rilevante.

Ritornando all’esempio della data, si potrebbero utilizzare espressioni quali “Data del documento = data della firma digitale” o “Data del documento = data della marcatura temporale”, che, se inserite esplicitamente nel testo legale, renderebbero tali riferimenti comunque riconducibili alla volontà dell’autore.

Al contrario, una totale assenza di qualunque riferimento alla “data” in un documento avente valore legale renderebbe quasi impossibile affermare che l’autore si sia assunto la responsabilità per un elemento esterno non menzionato nel documento stesso.

Il tema “dimenticato” dell’obsolescenza del formato

Un problema invece ad oggi assai poco considerato, soprattutto in materia di documentazione digitale di lungo periodo è quello dell’obsolescenza del formato dei documenti digitalizzati. A causa della rapidità dell’evoluzione tecnologica, esiste il serio rischio che alcuni formati (anche ad oggi molto diffusi) diventino in futuro obsoleti e non più leggibili. Questo porterà (presto o tardi) alla necessità di effettuare riversamenti da un formato all’altro, il che comporterà due problematiche principali:

  • il problema della certezza della corrispondenza del contenuto legale del documento tra il nuovo ed il vecchio formato.
  • il problema della possibile perdita di informazioni giuridicamente rilevanti nel processo di trasformazione.

Si pensi, ad esempio, alle firme digitali. Esse sono dal punto di vista tecnologico indissolubilmente legate al documento a cui esse sono apposte, per cui è facile immaginare il rischio che esse vadano irrimediabilmente perse durante un processo di conversione del documento da un formato all’altro.

In verità si tratta di un problema assai simile a quello con cui già oggi si stanno confrontando i processi di digitalizzazione dei documenti cartacei attualmente esistenti, e di cui parleremo nel prosieguo del presente articolo. Anche in simili casi le firme analogiche apposte ai documenti cartacei sono destinate a “perdersi” nel processo di conversione in digitale.

È cruciale, quindi, iniziare ad interrogarsi su simili problematiche di lungo termine, e nel fare ciò l’esperienza maturata nei processi di conversione degli attuali archivi cartacei sarà indispensabile.

Criticità di processi di digitalizzazione degli archivi cartacei esistenti

Relativamente alla digitalizzazione degli archivi cartacei, si sono osservate le seguenti difficoltà.

Il sistema delle copie ed il rapporto con l’originale analogico

L’introduzione del documento informatico (a partire dal D.P.R. 513/1997) ha portato con sé una proliferazione di norme sulle copie (anche settoriali) che non giova certo alla chiarezza del sistema. Il principio generale della prova della conformità all’originale fino a querela di falso in caso di attestazione del pubblico ufficiale, previsto dal codice civile (artt. 2712 ss.) e dal codice di procedura civile (artt. 743 ss.) è stato integrato prima in ambito di documentazione amministrativa (artt. 18 ss. D.P.R. 445/2000), poi dal codice dell’amministrazione digitale o CAD (D.Lgs. 82/2005 artt. 22 ss.) e infine da numerose norme di settore come, per il processo civile telematico l’art. 196 octies disp. att. c.p.c. e, per la legge notarile, gli artt. 57 bis, 67 e 73.

Le norme di riferimento sono contenute nel CAD, che definiscono le caratteristiche anche tecniche della copia informatica, ed hanno introdotto il concetto di copia per immagine rispetto a quello tradizionale di copia conforme (art. 22).  Questa tipologia di copia deve essere conforme per contenuto e forma al documento originale, laddove per forma si intende non il requisito formale in senso stretto, ma la uniformità di rappresentazione rispetto al documento originario, di cui dovrà riportare le caratteristiche esteriori e non solo il contenuto.

Si tratta di una nozione che si distacca in qualche misura dalla nozione tradizionale di copia, riferita al solo contenuto: ciò si spiega con la necessità di recuperare al fruitore successivo il documento nella sua contestualizzazione originale, e completo di elementi che non ne sono propriamente parte, quali visti, numerazioni, aggiunte successive e riferimenti di catalogazione a vario titolo dell’analogico. In questo senso la copia per immagine ha delle caratteristiche ulteriori rispetto alla copia tout court, che si riverberano sulla conformità e sulla sua certificazione, ampliandone e circoscrivendone meglio l’ambito.

Le norme specifiche di settore si distinguono invece per l’introduzione di regimi semplificati volti ad agevolare l’utilizzo delle copie informatiche, come ad esempio le norme del codice di procedura civile che ampliano il numero dei soggetti abilitati al rilascio delle copie all’interno del processo e semplificano le modalità. Tali regimi non sono però sempre compatibili con l’ordinamento generale e con i principi e le caratteristiche tecnologiche che assicurano la fruizione dei documenti nel tempo.

I documenti unici e gli originali analogici firmati

Qualche considerazione va fatta circa il valore giuridico dei documenti analogici dematerializzati, che risentono, anche su tale piano, delle differenze ontologiche tra documento originale analogico e copia informatica. In altre parole anche una copia attestata conforme dal pubblico ufficiale non può, per alcuni versi, avere lo stesso valore giuridico dell’originale analogico.

I commi 4 e 5 dell’art. 22 del CAD sanciscono infatti che le copie formate ai sensi della normativa del CAD sostituiscono ad ogni effetto di legge gli originali analogici e sono idonee ad assolvere gli obblighi di conservazione previsti dalla legge, fatta eccezione per le categorie di documenti definiti originali unici, per cui con D.P.C.M. può essere stabilito l’obbligo di conservazione dell’originale o la sostituzione solo con copia certificata conforme da Pubblico Ufficiale. Stando alla lettera, la possibilità di distruggere gli originali prevede poche eccezioni, consistenti in una parte dei documenti definiti “originali unici”.

Occorre quindi individuare la categoria degli originali unici. In effetti il CAD all’art. 1, comma 1, lett. v) definisce esclusivamente gli originali non unici, come segue: “v) originali non unici: i documenti per i quali sia possibile risalire al loro contenuto attraverso altre scritture o documenti di cui sia obbligatoria la conservazione, anche se in possesso di terzi”.

Si tratta di una definizione che astrae completamente dalla forma del documento (nell’accezione di copia per immagine e quindi di esatta rappresentazione visiva del documento analogico originale), per ricondurne la valenza giuridica al solo profilo contenutistico: in questo senso qualunque documento i cui dati siano riportati in una forma di registrazione (si pensi al caso di scritture contabili che riportano il contenuto di operazioni), o che vengano prodotti in più originali o di cui esistano copie autentiche (e si tratta solo di esempi), può in ogni caso essere distrutto.  Tuttavia è una definizione che, se utile per l’applicazione della normativa del CAD, non esaurisce tutte le fattispecie astrattamente configurabili come non suscettibili di distruzione.

I documenti originali unici, che sono quelli che non rispondono alle dette caratteristiche, possono anch’essi essere eliminati, con le sole eccezioni dei documenti indicati al D.P.C.M. 21 marzo 2013, che classifica i documenti originali unici per cui permane l’obbligo della conservazione dell’originale (come atti normativi, atti giudiziari, atti notarili, opere d’arte) o l’obbligo della sostituzione dell’originale con copia conforme autenticata da pubblico ufficiale (D.P.C.M., D.M., D.P.R. e alcuni atti dei Ministeri).

Salvo rare eccezioni, e fatta sempre salva la possibilità lasciata a tutte le amministrazioni di non procedere a distruzione, la categoria degli atti per cui sussistono limiti allo scarto e alla distruzione appare quindi ridotta a pochi casi. Inoltre la norma sui documenti unici non affronta il tema dei documenti sottoscritti analogicamente.

Non esiste, per quanto riguarda il profilo della sottoscrizione, una norma che vieti la dematerializzazione e la successiva eliminazione dell’originale analogico. E’ evidente quindi che, salvo non vi ostino altre normative, la distruzione di un originale cartaceo (ad esempio di un contratto), attiene solo ai profili di responsabilità del titolare dell’archivio e di una corretta analisi costi/benefici. Va però considerato che l’eventuale distruzione dell’originale impedirebbe in modo irreparabile il giudizio di verificazione, secondo la giurisprudenza costante della Corte di Cassazione (tra le tante Cass. civ., Sez. I, 26 gennaio 2016, n. 1366).

Con la copia informatica di documento analogico, infatti, si ha il passaggio dal supporto originario ad altro completamente diverso, che determina la perdita di alcune caratteristiche proprie del documento cartaceo, quali i dati biometrici legati alla sottoscrizione e memorizzati nella carta. Conseguentemente la Corte di Cassazione è pressoché costante nel sostenere che è essenziale, per il giudizio di verificazione della sottoscrizione, produrre in giudizio l’originale della scrittura (Cass. civ., Sez. VI, 27 marzo 2014, n. 7267). Concludendo, nel caso di documenti originali analogici sottoscritti con firma autografa, la copia conforme, ancorché notarile o spedita da pubblico ufficiale autorizzato, non sostituisce a tutti gli effetti l’originale, non consentendo, in particolare, la verificazione della sottoscrizione.

Analoga riflessione è doveroso fare in relazione alla possibilità che in relazione alla copia informatica venga contestata la irrilevabilità di altri elementi estrinseci del documento cartaceo, quali la presenza di abrasioni, aggiunte postume o alterazioni di ogni tipo. Anche in questo caso la scelta si pone in termini di analisi costi/benefici da parte del titolare dell’archivio.

La dematerializzazione massiva e la certificazione di processo

La certificazione di processo, come metodo per la dematerializzazione degli archivi cartacei di grandi dimensioni, è regolata dagli artt. 22 comma 1 bis e 23 ter comma 1 bis del CAD, all’esito di un lungo percorso normativo che risale almeno alla legge 15 del 1968 (che prevedeva la dematerializzazione mediante microfilmatura) e che non aveva dato risultati significativi.

Con la modifica al CAD del 2017, accanto alla produzione di copie per raffronto (o mediante collazione) è stata prevista una modalità che prevede non più il controllo da parte del pubblico ufficiale di ogni singolo documento  per la certificazione di conformità, ma la possibilità di un processo certificato che, con una combinazione di tecnologie qualificate e di intervento umano, riesca a garantire la conformità dei singoli documenti negli archivi in misura comparabile a quella degli archivi cartacei.

Viene meno quindi la pretesa di una certificazione “totale” di tutti i documenti cartacei e di una conservazione priva di errori: pretesa che non tiene conto né della naturale imperfezione anche di una procedura informatica, né del fatto che anche gli archivi cartacei sono soggetti a perdite, deterioramenti, incidenti di vario tipo.

Tale procedura è prevista dai commi 1 bis dell’art. 22 del CAD (per il settore privato) e dell’art. 23 ter (per l P.A.) in alternativa alla produzione di singole copie per immagine.

Il riferimento a “tecniche in grado di garantire la corrispondenza della forma e del contenuto dell’originale e della copia”, per la certificazione di processo conduce ineluttabilmente alla necessità di una regolamentazione tecnica secondaria, che riempia di contenuto i principi enunciati dalla legge. Il CAD, con il primo comma dell’art. 71 affida questo compito alle Linee Guida su documento informatico e conservazione, applicabili alla P.A. ed ai privati. Le Linee Guida (Determinazione AGID 407/2020, modificate con Determinazione 371/2021) contengono i parametri e le metodologie per procedere alla certificazione di processo.

Le prescrizioni per la certificazione di processo

Le Linee Guida pongono le condizioni generali perché il processo certificato possa rientrare nelle prescrizioni del CAD, ma non vincolano in modo stringente, lasciando agli attori la responsabilità di scegliere il livello effettivo di garanzia di conformità da raggiungere. L’Allegato 3 alle Linee Guida, prevede una serie analitica di prescrizioni, volte a garantire la consistenza degli archivi da sottoporre a dematerializzazione, in modo che non possano essere effettuate sostituzioni preventive o successive, le tecnologie utilizzate, ed i risultati garantiti in termini di efficienza del processo. Sarà compito e scelta del titolare dell’archivio definire i risultati (in termini di errori accettabili) per considerare concluso positivamente il processo.

In particolare l’Allegato 3 richiede che il processo sia così caratterizzato:

  • da un punto di vista oggettivo il ciclo di dematerializzazione massiva dovrà essere conforme agli standard ISO 9001 e ISO 27001;
  • da un punto di vista soggettivo il ciclo dovrà concludersi con il metodo del raffronto a campione dei documenti, generando una certificazione ovvero un risultato probatorio differente a seconda che il rapporto di verificazione sia firmato da un pubblico ufficiale o da un soggetto privato.

Per giungere a questo risultato sono previste due diverse tipologie di verbalizzazione:

  • Una prima, iniziale, nella quale si procede dinanzi al Pubblico Ufficiale alla scansione dei documenti cartacei utilizzando gli strumenti del processo che sarà stato preventivamente definito, verificandone rispondenza e risultati;
  • Una seconda, finale, nella quale una volta effettuata la dematerializzazione, si procede alla verifica a campione (casuale) con il metodo a raffronto degli originali cartacei con i files risultati dalla dematerializzazione; questa seconda verbalizzazione potrà essere divisa più verbali, in dipendenza della complessità delle operazioni, e della necessità di suddividere in lotti l’archivio da dematerializzare.

L’esito positivo farà considerare certificato l’intero archivio, ed ottenuto il valore probatorio dei documenti dematerializzati. Il più atteso vantaggio della certificazione di processo è certamente la possibilità di procedere allo scarto del cartaceo, e quindi alla sua distruzione. Esistono però tipologie di documenti (archivi pubblici, originali unici, documenti muniti di firme autografe) la cui distruzione è vietata, soggetta ad autorizzazione, o semplicemente inopportuna, come illustrato in questo lavoro. 

I benefici

Tuttavia la dematerializzazione mediante certificazione di processo presenta ulteriori vantaggi quali:

  • la protezione dei documenti cartacei non solo dalla distruzione, ma anche dall’usura, dalla dispersione e dalla irreperibilità per cattiva conservazione o classificazione;
  • la reperibilità e la consultabilità non solo dei documenti, ma anche dei dati negli stessi contenuti;
  • l’elaborazione dei dati raccolti in sede di dematerializzazione;
  • la salvaguardia del valore probatorio indipendentemente dall’esistenza del cartaceo.

La dematerializzazione offre quindi vantaggi che possono giustificarla indipendentemente dalla distruzione del cartaceo che, nei limiti di legge, dovrà essere una scelta finale (auspicabilmente graduale) del titolare dell’archivio, all’esito di un’analisi costi-benefici.

La certificazione di processo può risultare in astratto da una attestazione fornita nell’ambito del processo stesso di certificazione, che darà ai documenti dematerializzati il valore di riproduzione copia fotografica ai sensi dell’art. 2712 c.c. (considerati quindi conformi fino al disconoscimento della controparte).

In caso di intervento del pubblico ufficiale (notaio o altro a ciò autorizzato) la certificazione di processo condurrà alla produzione di un archivio in relazione al quale è stata fatta, con il verbale apposito, una verifica attendibile, rispetto alla quale il giudice sarà già indirizzato, in virtù del percorso normativamente delineato (standard tecnici, verbali etc.). Evidentemente un ruolo non irrilevante sarà giocato, in questo contesto, dalla rigidezza dei parametri inizialmente prescelti dal titolare dell’archivio.

Conseguentemente si può affermare che esiste un evidente diverso grado di attendibilità della copia che rappresenti il risultato di una certificazione di processo con l’intervento del pubblico ufficiale rispetto alla copia per immagine su supporto informatico di documenti originali formati in origine su supporto analogico la cui conformità non venga attestata da notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato (art. 22, terzo comma, CAD) o rispetto alla copia fotografica di una scrittura (art. 2719 c.c.). A ciò conduce soprattutto il testo del CAD (artt. 22 comma 1 bis e 23 ter comma 1 bis) e delle Linee Guida, che delineano una procedura cui non può essere disconosciuta rilevanza normativa in campo probatorio.

Più precisamente, nell’ambito dalla formazione del convincimento del giudice secondo il suo prudente apprezzamento (art. 116 c.p.c.), giocherà un ruolo decisivo la presunzione semplice, prevista dall’art. 2729 c.c., in forza del quale «le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice, il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti», e che trovano fondamento nel rispetto percorso procedurale indicato dal CAD e dalle Linee Guida. In questo senso anche lo Studio del Consiglio Nazionale del Notariato 4-2018 DI.

Gli archivi pubblici e la tutela dei beni culturali

La conservazione dei documenti è una funzione istituzionale delle pubbliche amministrazioni: archivi e documenti dello Stato e degli enti pubblici sono beni culturali, in quanto probatori della loro attività nonché memoria collettiva storica. La dematerializzazione dei documenti analogici costituenti beni culturali, e la loro eventuale distruzione, devono essere effettuate nel rispetto del loro regime di tutela pubblicistica.

In particolare, “gli archivi e i singoli documenti dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico” sono beni culturali ope legis, in quanto rispondono sia al criterio soggettivo (appartenenza allo Stato) che al criterio oggettivo (elencazione di cui all’art. 10, co. 2, lett. b) del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio). I beni archivistici sono peraltro ancora in parte disciplinati dal D.P.R. 30 settembre 1963 n. 1409 (“Norme relative all’ordinamento e al personale degli Archivi di Stato”). A prescindere dal supporto (cartaceo o informatico), si tratta di beni demaniali (in particolare facenti parte del demanio culturale) e come tali assoggettati ad uno specifico regime, da cui derivano specifici obblighi che il produttore del documento deve rispettare in funzione della successiva conservazione.

La conservazione dei documenti facenti parte del demanio culturale è funzionale, soprattutto, alla loro accessibilità o, per usare le parole del legislatore, alla loro consultabilità (gli articoli da 122 a 127 del Codice dei Beni Culturali sono infatti dedicati alla “Consultabilità dei documenti degli archivi e tutela della riservatezza). Tutto ciò richiede che l’attività di conservazione dei documenti facenti parte del demanio culturale sia esercitata da soggetti qualificati per assumere tale compito di tutela archivistica.

Ciò rende necessario che il tema della digitalizzazione sia affrontato nella consapevolezza delle molteplici funzioni e tutele relative ai documenti analogici, che ne vincolano gli esiti finali (ed in particolare la possibilità dello scarto e quindi della distruzione dell’originale analogico).

La presenza di norme (come ad esempio quelle in materia di processo civile telematico) che introducono regimi particolari e consentono di utilizzare in modo massivo i documenti conservati con procedure anche non del tutto conformi al CAD, non risolve tutte le problematiche di tipo giuridico, che devono essere affrontate in modo globale.

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