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Domicilio digitale imprese, tutti i danni della sentenza sul registro INI-Pec

Una sentenza della Cassazione esclude il registro INI-Pec dal novero di quelli utilizzabili per le notificazioni dirette a professionisti imprese. Ecco perché urge fare ordine nel campo del diritto applicato all’informatica per evitare di minare il già delicato equilibrio dell’habitat del cittadino digitale

Pubblicato il 20 Mar 2019

Andrea Lisi

Coordinatore Studio Legale Lisi e Presidente ANORC Professioni, direttore della rivista Digeat

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Con la sentenza n.3709/2019, la Corte di Cassazione ha sancito la nullità di una notificazione eseguita ad un indirizzo telematico estratto dal registro pubblico INI-PEC. Questo elenco è stato di fatto escluso dal novero di quelli utilizzabili per le notificazioni dirette a professionisti imprese, mentre è stata riconosciuta la (esclusiva) validità del ReGIndE (Registro Generale degli Indirizzi Elettronici).

Se è pur vero che il concetto di rintracciabilità ha subito in questi ultimi anni una totale ridefinizione, arrivando ad allargare i suoi confini a scenari mai sperimentati prima d’ora, con l’introduzione e successiva estensione anche ai cittadini del domicilio digitale[1], per quanto concerne l’esecuzione delle notificazioni ai sensi dell’art. 3-bis L. 53/1994, il Registro INI-PEC (Indice Nazionale degli Indirizzi di Posta Elettronica Certificata – previsto dall’art. 6 bis del CAD) rappresentava ad oggi l’elenco di riferimento nazionale per gli indirizzi PEC di professionisti e imprese, al pari del ReGIndE.

INI-PEC e ReGIndE, ribaltata la parità tra i due registri

Ebbene la sentenza ha ribaltato questa situazione di parità, attribuendo a quest’ultimo elenco un valore di fatto superiore a quello dell’INI-PEC.

Il domicilio digitale previsto dal D.L. n. 179 del 2012, art. 16 sexies, conv. con modif. in L. n. 221 del 2012, come modificato dal D.L. n. 90 del 2014, conv., con modif., in L. n. 114 del 2014, corrisponde all’indirizzo PEC che ciascun avvocato ha indicato al Consiglio dell’Ordine di appartenenza e che, per il tramite di quest’ultimo, è inserito nel Registro Generale degli Indirizzi Elettronici (ReGIndE) gestito dal Ministero della giustizia. Solo questo indirizzo è qualificato ai fini processuali ed idoneo a garantire l’effettiva difesa, sicchè la notificazione di un atto giudiziario ad un indirizzo PEC riferibile – a seconda dei casi – alla parte personalmente o al difensore, ma diverso da quello inserito nel ReGIndE, è nulla, restando del tutto irrilevante la circostanza che detto indirizzo risulti dall’Indice Nazionale degli Indirizzi di Posta Elettronica Certificata (INI-PEC)”.

[Corte di Cassazione, estratto della sentenza n.3709/2019]

Una sentenza che genera confusione

Diversi sono stati gli interventi occorsi per far fronte all’evidente confusione derivata dal contenuto della sentenza: tra questi, risulta interessante l’ipotesi avanzata dal collega e amico Maurizio Reale, che ha ritenuto l’errore dei Giudici di Piazza Cavour dovuto ad un’errata sovrapposizione dell’elenco INI-PEC, con quello IPA (indice delle pubbliche amministrazioni).

Ancora, sul punto è intervenuto il Centro Studi Processo Telematico con un successivo comunicato nel quale si ribadisce la netta parità a livello di valenza giuridica tra ReGIndE e INI-PEC, riabilitando l’importanza di quest’ultimo al fine di consentire, in particolare, la notificazione telematica nei confronti delle imprese e avvalorando, ancora una volta, l’ipotesi di un possibile “scambio”, da parte della Cassazione, con il Registro IPA (indice delle pubbliche amministrazioni). Fino ad arrivare al CNF che con il suo Presidente, Andrea Mascherin, chiede direttamente al primo Presidente della Corte di Cassazione, Giovani Mammone, di intervenire sul punto, facendo chiarezza e “porre rimedio all’accaduto”.

Le prime ripercussioni della sentenza

Sta di fatto che, nel mentre queste riflessioni prendevano forma, il Tribunale di Cosenza a quanto pare ha con ordinanza dichiarato non valida la notificazione eseguita ad un indirizzo telematico estratto dal Registro INI PEC, accogliendo l’orientamento espresso dalla Cassazione (e rigettando così l’istanza di esecutorietà di un decreto ingiuntivo per mancata opposizione, essendo stata appunto la notifica del decreto ingiuntivo effettuata all’indirizzo PEC del destinatario estratto da INI-PEC).

Questo tipo di orientamento, in evidente contrasto con i principi contenuti nel Codice dell’amministrazione digitale, rivela delle ripercussioni pericolose e non solo per quanto concerne l’effettiva impossibilità di veicolare le notificazioni in maniera valida, attingendo ad una fonte autorevole prevista per Legge quale l’Elenco INI-PEC. L’equilibrio del delicato habitat del cittadino digitale necessita di essere fondato su principi solidi, che non possono essere minati da interpretazioni errate degli strumenti a sua disposizione, a discapito della sua stessa sicurezza e dell’integrità delle sue relazioni.

La pericolosa presa di posizione della Cassazione, che già rischia purtroppo di costituire un frettoloso orientamento giurisprudenziale, rende evidente quanto sia importante fare ordine nella materia del diritto applicato all’informatica ormai caratterizzato da una polverizzazione di interventi confusi che hanno minato alle radici la sistematicità del Codice dell’amministrazione digitale e reso così difficilmente masticabile la materia anche a chi – pur giurista di rilievo – non la pratichi ogni giorno.

Spero che arrivi presto una nuova e autorevole presa di posizione che blocchi questa interpretazione incomprensibile, e più che altro si acquisisca la giusta consapevolezza necessaria a frenare questa deriva che vede spesso la normazione e la giurisprudenza in materia purtroppo caratterizzate dall’estemporaneità, caratteristica che una materia così delicata non merita.

Si parlerà anche di questo durante il Digeat 2019 il 30 maggio presso il Teatro Eliseo. Un importante appuntamento dove le tematiche della digitalizzazione e della protezione dei dati saranno sviluppate in un vivace dibattito dai maggiori esperti in materia.

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  1. Il domicilio digitale consiste in un indirizzo di PEC (Posta Elettronica Certificata) che ogni cittadino può fornire alla PA, che provvederà a sua volta ad includerlo nel registrato dell’ANPR (Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente) in modo da essere reso disponibile a tutte le PPAA e ai gestori di pubblici servizi che vorranno comunicare con il cittadino. Il domicilio digitale è stato introdotto in primo momento esclusivamente per i titolari di partita IVA e, solo successivamente, è stato esteso anche ai privati cittadini a seguito delle modifiche che hanno interessato l’articolo 3-bis del CAD.

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