Di digitalizzazione in Italia si parla oramai da diversi, troppi anni. Dalle prime norme su firme elettroniche e documenti informatici si è arrivati al Codice dell’Amministrazione Digitale con l’obiettivo di sostituire, con tempistiche precise (almeno quello era l’intento!), in modo affidabile e certo tutti gli archivi cartacei dell’amministrazione pubblica e non solo, perché buona parte del CAD, infatti, si applica anche ai privati. A fronte di ciò, a parte qualche coraggioso pioniere, sia nel mondo pubblico che nel mondo privato, non c’è mai stata una adesione massiva ai nuovi modelli digitali di gestione documentale e organizzazione del lavoro.
L’Italia, infatti, continua a muoversi a macchia di leopardo nel meraviglioso mondo dei bit. Per questo motivo il digitale, a oggi, risulta essere ancora poco diffuso tra imprenditori, professionisti e artigiani, nonostante, nelle varie categorie professionali, ci sia chi ha già deciso di optare per strumenti informatici utili alla gestione della contabilità o del magazzino; mentre – occorre ricordarlo – quasi tutti, quotidianamente, siamo in grado di utilizzare, anche in maniera molto evoluta, strumenti informatici social o applicazioni di informazione e svago.
Quando si tratta, però, di “staticizzare” e, quindi, rendere affidabile e autentica la propria documentazione, il digitale spaventa ancora: forse per la sua eccessiva trasparenza, forse per la vertigine che provoca lo stravolgimento di un modus operandi completamente diverso da quello imposto dal pensiero analogico. Dubbi che ci assalgono non tanto quando lo usiamo per questioni private, spesso in modo anche troppo spensierato, quanto nel momento in cui il suo utilizzo è legato a nostri rapporti giuridicamente vincolanti. Le certezze della carta, a quel punto, si scontrano con le (spesso di natura più psicologica che reale) insidie del documento informatico.
In questo scenario che vede contrapporsi un utilizzo sempre più generalizzato del digitale nella vita privata a un utilizzo spesso lento e macchinoso di tecnologie simili nel “mondo degli affari”, si è inserita l’esperienza della fatturazione elettronica, oggi obbligatoria verso la pubblica amministrazione. Con l’avvento della FatturaPA, infatti, imprese e professionisti/artigiani italiani hanno iniziato ad avvicinarsi alla documentazione informatica e alla necessità di organizzare in digitale il proprio flusso documentale. L’obbligatorietà dell’utilizzo dello strumento informatico ha permesso così di superare molte delle resistenze esistenti, a tutto vantaggio di un sistema che sta funzionando ed inizia a dare i suoi frutti.
La FatturaPa, oltre ad essere uno strumento indispensabile per il controllo della spesa pubblica sta risultando di fatto uno dei pochi strumenti in grado di fare da “rompighiaccio” verso un utilizzo più generalizzato e diffuso del documento informatico in ambito lavorativo. Probabilmente ciò che manca davvero al sistema FatturaPA è, invece, un’attenzione maggiore ed efficace alla riduzione dei tempi di pagamento: la piattaforma di certificazione dei crediti istituita dal MEF non ha avuto il successo sperato e probabilmente servirebbe qualche azione più coraggiosa in tal senso, come – ad esempio – quella proposta dall’On. Mucci e appoggiata da Anorc.
L’esperienza positiva della FatturaPa può, ad ogni modo, essere un punto di partenza al fine di incentivare l’utilizzo della fattura elettronica anche tra privati. Con questo obiettivo il D.Lgs. 127/2015 ha inteso estendere i processi già rodati della FatturaPa anche alla fatturazione tra privati e ne ha incentivato l’utilizzo con la riduzione dei tempi di accertamento e l’esonero da altri oneri fiscali.
In realtà, la digitalizzazione dei processi di fatturazione ha già dei vantaggi intrinseci, tanto da poterne (almeno potenzialmente) incentivare in modo automatico l’utilizzo: si pensi alla possibilità di inserire la fattura elettronica in un più ampio processo di gestione informatizzata dell’ordine comprensivo del ricongiungimento con l’avvenuto pagamento. La fattura elettronica dovrebbe, quindi, essere in grado dunque di “autoincentivarsi” senza necessità di dover offrire regimi premiali opzionali aggiuntivi. Incentivi piuttosto che obblighi: una scelta che sembra contrastare, però, con quanto poi stabilito con il successivo Decreto 193/2016 e le modifiche agli articoli 21 e 21 bis del Decreto 78/2010. Il citato Decreto, infatti, obbliga comunque a comunicare all’Agenzia delle Entrate i dati relativi alle fatture emesse e ricevute, istituendo un ulteriore onere per il contribuente senza incentivare in alcun modo l’utilizzo della fatturazione elettronica. Ad oggi, oltretutto, manca ancora un provvedimento tecnico che chiarisca le modalità con le quali effettuare tale comunicazione obbligatoria (e in realtà c’è ancora incertezza sulle tempistiche – trimestrali o semestrali – con le quali andrà realizzata).
L’attuale situazione vede, quindi, contrapporsi da una parte un approccio governativo morbido e opzionale in merito all’utilizzo della fatturazione elettronica e dall’altra un approccio, invece, forte e obbligatorio per ciò che riguarda la comunicazione dei dati delle fatture: questo senz’altro ostacola oggi la concreta diffusione della fatturazione elettronica tra privati. Introdurre, infatti, nuovi onerosi (e poco chiari) obblighi non aiuta, anzi, rischia di disincentivarne l’utilizzo. Obbligare tutti i privati all’utilizzo della fattura elettronica e alla sua trasmissione tramite SDI, per quanto apparentemente di forte impatto, avrebbe invece restituito maggiore chiarezza (richiedendo l’utilizzo di meccanismi già rodati) e minori oneri per i contribuenti (oltre ai vantaggi intrinseci dell’utilizzo della fattura elettronica) permettendo comunque all’Agenzia delle Entrate di raggiungere gli obiettivi prefissati.
Se la fatturazione elettronica, possibile di fatto dal 2004 in Italia, risulta ancora poco diffusa tra i privati, lo si deve probabilmente sia alle normative troppo stringenti e timide (basti pensare ai 15 giorni precedentemente previsti come termine per portare in conservazione le fatture elettroniche), fortunatamente ormai superate con interventi successivi dell’Agenzia, e sia a difficoltà interpretative dovute alla poca chiarezza di alcuni passaggi normativi (che solo con successive circolari e risoluzioni dell’Ag. Entrate si è riusciti in parte a superare).
Chiarezza normativa e facilità di utilizzo sono, invece, elementi indispensabili per poter pensare alla fatturazione elettronica come strumento per il proprio business. La priorità, oggi, dev’essere quindi quella di fornire ai contribuenti un chiaro quadro normativo e regolamentare che possa garantire loro sicurezza e affidabilità: il primo passo è e deve essere quello di gestire elettronicamente il lato attivo e solo se questa gestione diverrà realmente diffusa, allora si potrà gestire allo stesso modo, e in maniera automatizzata, le informazioni contenute nella documentazione ricevuta dal lato passivo (fatture passive). Servono norme chiare che permettano di utilizzare con serenità strumenti informatici in grado di garantire sia le certezze del diritto sia semplicità e usabilità. Solo così tutto il ciclo contabile: ordine – fatturazione – pagamento – conservazione, potrà davvero essere completamente automatizzato e restituire ai contribuenti i veri benefici della digitalizzazione.
Non bisogna dimenticare inoltre che i documenti fiscalmente rilevanti sono solo una delle tipologie documentali da processare nel ciclo informativo di un’impresa. Informatizzare la documentazione fiscalmente rilevante è certamente un primo importante passo, ma perde il suo valore se non vengono digitalizzati anche tutti gli altri documenti contabili, amministrativi e del lavoro. L’intero processo documentale dell’azienda dovrebbe essere informatizzato e, a tal fine, sarebbe certamente utile individuare incentivi reali per le imprese e i professionisti che si impegnano in questa direzione.
Quello che, invece, dev’essere assolutamente evitato è il caos a cui stiamo assistendo con l’accavallamento dei dettati normativi della 127/2015 (legge sulla fattura elettronica fra privati) e della 193/2016 (decreto fiscale di fine 2016), dove, da un lato si propone in maniera facoltativa, l’adesione a un onere di invio all’Agenzia dei dati delle fatture emesse e ricevute e dall’altro si obbligano i contribuenti ad inviare quegli stessi dati, ma con tempistiche forse differenti e con un tracciato forse identico. Ci sono ancora troppi dubbi che non fanno bene a nessuno, tanto meno al Sistema Paese. Anche se qualcuno ha scritto che “in ogni caos c’è un cosmo, in ogni disordine un ordine segreto” noi non riusciamo a comprenderlo del tutto, ma confidiamo sul fatto che almeno il legislatore lo conosca.
[1] Carl Gustav Jung.