DOMANDA
Nell’ambito del lavoro che svolgo più volte mi sto imbattendo nella domanda seguente: è possibile evitare di conservare documenti fiscali (ad esempio fatture, ddt, note spese) in formato cartaceo a seguito di digitalizzazione degli stessi tramite processo certificato e invio in conservazione digitale?
Il mio dubbio riguarda proprio la digitalizzazione: è necessaria o non necessaria la certificazione di processo secondo l’allegato 3 alle Linee guida Agid? Potrebbe essere sufficiente, considerando tali documenti come documenti non unici, la digitalizzazione e successiva apposizione della firma digitale al documento informatico, formato attraverso acquisizione, e il successivo invio in conservazione, per giustificare la distruzione degli originali analogici?
RISPOSTA
La modalità di conservazione dei documenti fiscali deve avvenire secondo le modalità e nei termini previsti dall’articolo 3 de DMEF del 17/6/2014, che prevede che:
- siano rispettate le norme del codice civile, le disposizioni del codice dell’amministrazione digitale e delle relative regole tecniche e le altre norme tributarie riguardanti la corretta tenuta della contabilità;
- siano consentite le funzioni di ricerca e di estrazione delle informazioni dagli archivi informatici in relazione almeno al cognome, al nome, alla denominazione, al codice fiscale, alla partita IVA, alla data o associazioni logiche di questi ultimi, laddove tali informazioni siano obbligatoriamente previste.
Ulteriori funzioni e chiavi di ricerca ed estrazione potranno essere stabilite in relazione alle diverse tipologie di documento con provvedimento delle competenti Agenzie fiscali. Il processo di conservazione dei documenti informatici termina con l’apposizione di un riferimento temporale opponibile a terzi sul pacchetto di archiviazione. Il processo di conservazione è effettuato entro il termine previsto dall’art. 7, comma 4-ter, del decreto-legge 10 giugno 1994, n. 357, convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 1994, n. 489. (ossia entro tre mesi dalla scadenza del termine di presentazione della dichiarazione dei redditi. N.d.r.).
In sostanza il DMEF detta dei criteri di massima ma rinvia alle disposizioni del codice civile e del codice dell’amministrazione digitale (Decreto legislativo 82/2005) e delle relative regole tecniche (emanate ai sensi dell’articolo 71). La norma che disciplina la acquisizione e conservazione digitale di documenti in origine analogici è l’articolo 22 del C.A.D., intitolato “ Copie informatiche di documenti analogici”, che al comma 2 prevede che:
- Le copie per immagine su supporto informatico di documenti originali formati in origine su supporto analogico hanno la stessa efficacia probatoria degli originali da cui sono estratte, se la loro conformità è attestata da un notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato, secondo le Linee guida e al comma 3 prevede che
- Le copie per immagine su supporto informatico di documenti originali formati in origine su supporto analogico nel rispetto delle Linee guida hanno la stessa efficacia probatoria degli originali da cui sono tratte se la loro conformità all’originale non è espressamente disconosciuta.
Il comma 5 prevede che per alcune tipologie di documenti analogici originali unici, in ragione di esigenze di natura pubblicistica, permane l’obbligo della conservazione dell’originale analogico oppure, in caso di conservazione sostitutiva, la loro conformità all’originale deve essere autenticata da un notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato (vedi DPCM 21/3/2013 che tuttavia non contiene documenti amministrativi privati).
Le “Linee Guida sulla formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici”, paragrafo 2.2, prevedono che per le copie per immagine su supporto informatico di documenti analogici “I requisiti tecnici per la certificazione di processo sono individuati nell’allegato 3 “Certificazione di Processo”, dove al punto “2.2. Efficacia probatoria della certificazione di processo” viene detto che “l’efficacia probatoria di un documento-copia, in tutta la normativa vigente, varia se rimessa all’intervento di un pubblico ufficiale o a quello di un soggetto privato.
Il CAD, infatti, ai commi 2 e 3 dell’art. 22 e comma 3 dell’art. 23-ter distingue il valore probatorio “privilegiato” che fa piena prova fino a querela di falso (ex art. 2700 del c.c.) se la conformità all’originale è assicurata da un notaio o pubblico ufficiale a ciò autorizzato, dal valore probatorio “semplice” che fa piena prova fino a disconoscimento se la conformità all’originale è data da un soggetto privato. Ne consegue che si parla propriamente di certificazione di processo solo qualora l’attestazione di conformità venga rilasciata da notaio o pubblico ufficiale a ciò autorizzato e sottoscritta per mezzo della firma digitale o di altra firma elettronica qualificata (ex artt. 22 comma 2 e 23-ter comma 3 del CAD).
Nel caso di soggetto privato, non si produrrà una certificazione di processo ma unicamente un rapporto di verificazione sottoscritto dallo stesso che fa piena prova fino a disconoscimento”. Il successivo punto 2.3 dello medesimo documento, prevede che “il rapporto di verificazione contiene le seguenti minime informazioni:
- Anagrafica Committente;
- Nominativo e ruolo del verbalizzante (privato, notaio o PU a ciò autorizzato);
- Codice identificativo univoco presente tra i metadati del documento copia (in alternativa al listato dei valori di hash calcolati sulle copie informatiche);
- Identificativo (tipologia e numero) del campione di documenti copia utilizzati per la certificazione iniziale;
- Numero, tipologia e quantità del lotto di documenti analogici sottoposti a scansione;
- Tipologia e quantità del lotto di documenti cui il campione appartiene;
- Requisiti tecnici e/o vincoli di progetto di scansione massiva;
- Finalità della scansione (es.: statistico, storico, probatorio,…);
- Riferimento contratto tra fornitore e committente (in caso di outsourcing);
- Luogo, data e orario inizio e fine della scansione a cui si è assistito;
- Nomi referenti presenti al processo di scansione (opzionale);
- Riferimento documentazione di analisi, di progetto o di sistema utilizzata a supporto del processo di dematerializzazione;
- Nome e versione del sw di elaborazione digitale delle immagini utilizzato;
- Segnalazione di eventuali criticità, anomalie riscontrate;
- Indicazione delle fasi e dei controlli o della procedura ISO 9001 di riferimento, che a titolo esemplificativo possono essere rappresentate da:
- sanificazione, fascicolazione e normalizzazione (despillatura) dei documenti analogici, Settaggio (selezione dei parametri di acquisizione) del sw di image processing; Scansione batch dei documenti,
- Indicizzazione (metadatazione),
- Verifica qualità immagini digitalizzate,
- Segnalazione incongruenze.
Ovvio che alla sicurezza non c’è alcun limite, per cui ben venga ogni procedura che sia idonea a garantire il privato e il pubblico, ma dall’esame della normativa si ricava l’impressione che essa sia di fatto solo un deterrente e che non abbia alcun reale valore, posto che in caso di esibizione dei documenti – per esempio all’Agenzia delle Entrate in sede di verifiche fiscali – non mi risulta l’amministrazione finanziaria sia dotata di strumenti e di professionalità tali da poter accertare la correttezza dei processi. Certamente, la mancanza del processo potrebbe far eccepire (non sempre giustamente, a mio modesto avviso) la irregolarità del processo di conservazione e la inutilizzabilità dei documenti conservati.
Ci troviamo quindi in presenza di un fulgido esempio di ipertrofia normativa suscettibile non solo di produrre più danni che benefici, ma che di fatto ostacola i processi di digitalizzazione piuttosto che promuoverli; sappiamo tutti infatti che qualsiasi documento cartaceo (non unico) è sempre meno sicuro di una sua copia informatica sia pure generata senza il rispetto delle “regole di processo”. C’è infine da segnalare che il comma 1-bis dell’articolo 20 del C.A.D. prevede che “l’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, in relazione alle caratteristiche di sicurezza, integrità e immodificabilità”, il che mi porta a dire che se un documento informatico è firmato digitalmente e marcato temporalmente (individualmente o in quanto incluso in un pacchetto di conservazione) ben difficilmente un Giudice potrà disconoscerne la sua valenza probatoria.
Questa mia conclusione “apre” alla possibilità da Lei espressa come domanda finale, ma ovviamente ci sono da valutare con attenzione tutti i rischi connessi, considerando che nel nostro paese si è puntato tutto sul rispetto della forma e poco sul rispetto della sostanza.
Per porre domande a Salvatore De Benedictis sul tema “Fatturazione Elettronica e Conservazione Digitale” è possibile scrivere a: esperto@agendadigitale.eu
Potranno essere presi in esame solo i quesiti sottoscritti con cognome e nome