L’Agenzia delle Entrate ha preso posizione sulla fattispecie relativa alla fattura elettronica PA rifiutata dall’ente destinatario. L’intervento si pone in contrasto con la condotta di alcuni contribuenti che, facendo leva sul principio di simmetria tra esigibilità e detraibilità dell’IVA, si erano comportati considerando la fattura elettronica rifiutata dall’ente pubblico esattamente come la fattura elettronica scartata dal Sistema di interscambio, ossia come mai emessa.
La domanda di un lettore offre l’occasione per svolgere alcune riflessioni, auspicando un ulteriore intervento che approfondisca le questioni poste e che, eventualmente, possa consentire di regolarizzare le condotte eventualmente assunte medio tempore dai contribuenti in assenza di interpretazioni ufficiali.
DOMANDA
Vorrei se possibile, un chiarimento sul da farsi in merito a una mia fattura elettronica verso la PA: ho emesso, mesi addietro, alcune fatture al GdP di Napoli ma solo ora mi sono accorto che sono state accettate dallo SDI ma rifiutate dalla PA. Telefonicamente mi hanno detto che il campo descrizione mancava di alcune informazioni. Mi hanno detto poi dalla PA che, essendo state rifiutate dalla PA stessa, non era necessario emettere note di credito e che avrei potuto rimandare le fatture corrette con lo stesso numero progressivo. Un commercialista mi detto invece che, essendo state comunque accettate dl SDI (sono infatti presenti sul sito dell’agenzia delle entrate), dovrei emettere nota di credito e inviarle nuovamente, non con lo stesso numero ma seguire il progressivo della mia fatturazione.
Qual è l’azione corretta?
Alberto De Mascellis
RISPOSTA
La questione da lei posta è stata oggetto di esame da parte dell’Agenzia delle Entrate che, col “principio di diritto” n.17 del 30 ottobre 2020, ha affermato che la fattura che supera i controlli del Sistema di Interscambio, anche se rifiutata dall’Ente destinatario, si considera validamente emessa.
Devo confessare che la tesi sposata dall’Agenzia delle Entrate mi lascia perplesso, perché il rifiuto ad opera della PA non è una questione “privata” tra l’emittente e il destinatario, ma fatto che consta dagli esiti del Sistema di interscambio e da cui derivano precise conseguenze: se Lei riemette una fattura rifiutata con lo stesso numero e con la stessa data il Sistema di Interscambio la accetterà, a condizione che il nome del file che contiene la fattura elettronica abbia un nome diverso dal precedente.
Infatti le “Specifiche delle regole tecniche di cui all’Allegato B del DM 55 del 3 aprile 2013 per la trasmissione delle fatture elettroniche tramite Sistema di Interscambio”, versione 1.8.1 del 01/10/2020, a pagina 33 di 57, al paragrafo intitolato “Verifiche di unicità della fattura”, precisano che “La verifica viene eseguita al fine di intercettare ed impedire l’inoltro di una fattura già trasmessa e elaborata; in quest’ottica, qualora i dati contenuti all’interno della fattura e relativi a:
- identificativo cedente/prestatore;
- anno della data fattura ;
- numero fattura;
coincidano con quelli di una fattura precedentemente trasmessa e per la quale non sia stata inviata al soggetto trasmittente una notifica di scarto oppure una notifica di rifiuto da parte del destinatario, il documento viene rifiutato”.
Risulta quindi evidente come le regole tecniche su cui si fonda il Sistema di Interscambio sono state pensate ed attuate in maniera tale che la efficacia giuridica della fattura elettronica PA sia sottoposta alla condizione del suo non rifiuto, esattamente come avviene per lo scarto, circostanze che rendono il documento logicamente inesistente; prova ne é, a contrariis, che una nuova e successiva fattura elettronica, con identici estremi di quella rifiutata (identificativo cedente/prestatore, anno e data), verrebbe accettata dal sistema. Per un semplice sillogismo, si ricava che la fattura elettronica che ha ricevuto una notifica di rifiuto da parte della PA è considerata dal SdI come mai emessa.
Segnalo anche che, a parte i disguidi di carattere amministrativo, la questione ha normalmente – salvo quanto appresso detto – scarsa rilevanza pratica, posto che il cedente ha diritto di considerare l’operazione effettuata all’atto del pagamento, a norma dell’articolo 6, quinto comma, del DPR 633/1972, il quale prevede che per le cessioni di beni e per le prestazioni di servizi “… fatte allo Stato, agli organi dello Stato ancorché dotati di personalità giuridica, agli enti pubblici territoriali e ai consorzi tra essi costituiti ai sensi dell’articolo 25 della legge 8 giugno 1990, n. 142, alle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, agli istituti universitari, alle unità sanitarie locali, agli enti ospedalieri, agli enti pubblici di ricovero e cura aventi prevalente carattere scientifico, agli enti pubblici di assistenza e beneficenza e a quelli di previdenza, l’imposta diviene esigibile all’atto del pagamento dei relativi corrispettivi, salva la facoltà di applicare le disposizioni del primo periodo (ossia considerare l’IVA esigibile in base ai criteri ordinari, n.d.r.)”.
Ai fini delle imposte sul reddito, salvo casi particolari – che costituiscono comunque deroghe rispetto ai principi generali – la rilevanza delle operazioni in ambito reddito di lavoro autonomo si ha al momento dell’incasso del corrispettivo, mentre in ambito reddito di impresa si ha al momento della consegna o spedizione per i beni mobili e per competenza per le prestazioni di servizi, per cui la fattura PA emessa senza opzione per la esigibilità immediata non genera di per sé alcun presupposto ai fini IVA o delle imposte sui redditi.
Nella ipotesi in cui il cedente invece rinunziasse alla facoltà di considerare l’IVA immediatamente esigibile, se accedessimo alla tesi della Agenzia delle Entrate ci troveremmo di fronte ad una evidente disapplicazione del principio enunciato dall’articolo 19, comma 1, secondo periodo, DPR 633/1972, secondo cui “Il diritto alla detrazione dell’imposta relativa ai beni e servizi acquistati o importati sorge nel momento in cui l’imposta diviene esigibile”, che trova la sua fonte primaria nell’articolo 167 della direttiva 2006/112/CE, istitutiva del “sistema comune dell’IVA” Europea, secondo cui “Il diritto a detrazione sorge quando l’imposta detraibile diventa esigibile”.
Per completezza d’argomento aggiungo che recenti disposizioni legislative hanno regolamentato le ipotesi in cui le PP.AA. possono rifiutare le fatture elettroniche a loro indirizzate.
Ritengo quindi che la questione non possa ritenersi chiusa, anche se potrebbe essere prudente – nelle more – uniformarsi all’orientamento espresso dall’Agenzia delle Entrate quindi, nel suo caso, emettere note di credito come se le fatture (rifiutate) fossero state emesse regolarmente e riemettere le fatture con nuovo progressivo e data attuale.
Per porre domande a Salvatore De Benedictis sul tema “Fatturazione Elettronica e Conservazione Digitale” è possibile scrivere a: esperto@agendadigitale.eu
Potranno essere presi in esame solo i quesiti sottoscritti con cognome e nome o email