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Prestazioni occasionali degli iscritti ad albi professionali, perché fare fattura



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La prestazione relativa alla propria professione nel contesto dell’iscrizione a un albo non può ritenersi occasionale

Pubblicato il 14 mar 2025

Salvatore De Benedictis

dottore commercialista



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DOMANDA
Sono un’ostetrica libera professionista iscritta regolarmente all’ordine delle ostetriche. Vorrei avere delle delucidazioni in merito alla questione delle prestazioni occasionali con ritenuta d’acconto. Ho delle colleghe che nonostante facciano un’attività ospedaliera, una volta ricevuta l’autorizzazione della propria azienda per poter fare attività all’esterno di essa, invece che procedere all’apertura di partita Iva fanno delle prestazioni con la ritenuta d’acconto. Io ero a conoscenza del fatto che, dal 2020, tutti gli iscritti agli ordini non potevano praticare ritenuta d’acconto, in quanto la professione era la stessa dell’ordine di appartenenza e, di conseguenza, non poteva essere definita una prestazione occasionale. Può indicarmi la normativa in merito?

RISPOSTA
In linea di principio la iscrizione ad un albo professionale o elenco determina la presunzione che qualunque prestazione professionale non possa avere i requisiti della occasionalità. La questione della occasionalità dei compensi per attività svolte da professionisti inscritti in Albi o Elenchi è tuttavia controversa. Da un lato l’Agenzia entrate, con la Risoluzione 41\E del 15 luglio 2020, si è espressa nel senso che nel caso il professionista sia iscritto ad un albo professionale, dimostrando questo fatto la sua volontà di svolgere quella pluralità di atti che caratterizza l’abitualità di una professione organizzata, questi dovrà dichiarare redditi di lavoro autonomo abituale per le prestazioni professionali espletate, e soggiacere ai conseguenti obblighi fiscali (quindi avere la partita IVA) e previdenziali. A conclusioni diverse è pervenuta la Corte di Cassazione, che con sentenza 10267 del 19 aprile 2021, Sezione Lavoro, ha sostenuto che “il requisito della abitualità deve essere accertato in punto di fatto”, per cui “ben può la percezione da parte del libero professionista di un reddito annuo di importo inferiore a € 5.000,00 rilevare quale indizio per escludere che, in concreto, l’attività sia stata svolta con carattere di abitualità (fermo restando che l’abitualità di cui si discute dev’essere apprezzata nella sua dimensione di scelta ex ante del libero professionista, coerentemente con la disciplina che è propria delle gestioni dei lavoratori autonomi, e non invece come conseguenza ex post desumibile dall’ammontare di reddito prodotto, dal momento che ciò equivarrebbe a tornare ad ancorare il requisito dell’iscrizione alla Gestione separata alla produzione di un reddito superiore alla soglia di cui all’art. 44, d.l. n. 269/2003, cit.)”. Quindi, mentre se la prestazione – anche una tantum – viene inquadrata nell’ambito della attività professionale (quindi con emissione di fattura) non si corre alcun rischio, in caso contrario si potrebbe incappare nella censura della Agenzia delle Entrate alla quale tuttavia si potrebbero opporre le argomentazioni sopra citate affermate dalla Corte di Cassazione. Ovviamente il dubbio si pone solo in caso di prestazioni isolate o uniche, perché in caso contrario occorre verificare non tanto la entità dei compensi bensì la quantità delle prestazioni effettuate, al fine di verificare il requisito della abitualità.

Per porre domande a Salvatore De Benedictis sul tema “Fatturazione Elettronica e Conservazione Digitale” è possibile scrivere a: esperto@agendadigitale.eu

Potranno essere presi in esame solo i quesiti sottoscritti con cognome e nome

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