Tra gli strumenti previsti dal nuovo Codice appalti c’è anche quello del Fascicolo virtuale dell’operatore economico (Fvoe), gestito dall’ANAC, che assolve il compito di fornire un quadro completo sullo status degli operatori economici. Infatti, per il tramite del fascicolo, le stazioni appaltanti possono verificare l’assenza delle clausole d’esclusione ed il possesso dei requisiti dei singoli concorrenti.
A ben vedere il FVOE era uno strumento noto già sotto la vigenza del vecchio Codice, ma lo troviamo oggi in larga parte modificato (sia nell’interfaccia grafico, sia in alcune specifiche funzionalità, tant’è che anche ANAC distingue tra il vecchio FVOE 1.0 ed il nuovo FVOE 2.0) e con un ruolo decisamente più centrale rispetto al passato.
Il nuovo ruolo del FVOE
Se, infatti, si tiene a mente che la Stazione appaltante non possa procedere con l’aggiudicazione della gara sino a quando non abbia effettuato il controllo circa il possesso dei requisiti, ben si comprende l’importanza del fascicolo virtuale. Nei primi mesi di applicazione, tuttavia, il risultato è stato ben al di sotto delle aspettative. Anzitutto, c’è stato un ritardo nel lancio del sistema: le norme sulla digitalizzazione, infatti, sono entrate in vigore il primo gennaio 2024 ma il sistema del FVOE è stato reso operativo solo dal 23 gennaio.
Il nodo dell’interoperabilità
In disparte il ritardo, il FVOE ha mostrato – sin da subito – moltissimi problemi in tema di interoperabilità con le banche dati digitali previste dal Codice e veri e propri blocchi di sistema che impedivano, addirittura, l’accesso al fascicolo stesso. A questo, poi, si è aggiunto anche qualche ritardo nell’aggiornamento delle Stazioni appaltati.
Tutto ciò ha avuto come conseguenza il forte ritardo nell’aggiudicazione di molte gare sicché il risultato ottenuto stato opposto a quello sperato: anziché consentire una maggiore speditezza, gli strumenti digitali hanno (molto spesso) aggravato il procedimento amministrativo e senza che le Stazioni appaltanti potessero avere altre vie di fuga.
Il correttivo del Governo
Non sorprende, allora, che alla prima occasione utile il Governo abbia scelto di correre ai ripari. Si legge nello schema del correttivo che, nell’ipotesi di malfunzionamento economico del FVOE, delle piattaforme, banche dati o sistemi di interoperabilità, le Stazioni appaltanti potranno comunque procedere con l’aggiudicazione entro 30 giorni, acquisendo una autodichiarazione da parte degli Operatori economici. L’intervento (se confermato) è di sicuro impatto ed apre il fronte a diverse riflessioni.
Anzitutto, e sotto questo profilo va sottolineato il merito del Governo, era necessario trovare una soluzione all’impasse in cui spesso le Stazioni appalti si sono trovate e questo con evidenti benefici sia per gli operatori economici sia – ovviamente – al pubblico interesse, anche nell’ottica del principio del risultato, ispiratore della riforma del nuovo Codice.
La frenata sul fronte della digitalizzazione
A fronte di questo, però, il tema digitalizzazione sembra subire una battuta d’arresto: in caso di malfunzionamento, le Stazioni appaltanti ben potranno bypassare tutti gli schemi digitali e procedere all’aggiudicazione, proprio come avveniva prima della digitalizzazione del ciclo di vita dei contratti pubblici. Quel che, forse, si è sottovalutato è che la “rivoluzione digitale” richiede tempo e preparazione e non è sufficiente imporla per legge.
È evidente, infatti, che un corretto funzionamento di tutti gli strumenti digitali porterà un enorme beneficio ai soggetti coinvolti nei contratti pubblici ed alla collettività, ma è altrettanto evidente che questo passaggio debba avvenire con una gradualità che consenta – da un lato – alle persone coinvolte di apprendere competenze digitali sufficienti ad operare sulle piattaforme e, allo stesso tempo, di costruire sistemi e piattaforme digitali affidabili ed operativi.