Futuro della professione

Fattura B2B, tutti i timori dei commercialisti

L’introduzione della fattura elettronica B2B preoccupa i dottori commercialisti che cominciano a interrogarsi sul loro futuro, ma la resistenza al cambiamento potrà solo causare la “estinzione della razza”. Bisogna partecipare ai tavoli tecnici e riprendere il ruolo di guida per clienti e legislatore

Pubblicato il 07 Nov 2017

Salvatore De Benedictis

dottore commercialista

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Presto la fattura elettronica sarà obbligatoria anche tra privati. La cosa ha sollevato dubbi e timori e sono in tanti ad averci scritto per chiedere chiarimenti. Tra le ultime mail ricevute, quella di un giovane lettore, dottore commercialista, che mi ha chiesto un parere sul futuro della contabilità e più in generale della professione, alla luce della imminente introduzione dell’e-fattura B2B.

“Le voci che si sentono in giro sono tante e confuse”, scrive il giovane lettore “ma di sicuro prende sempre più piede un filone consistente: la contabilità sparirà e i commercialisti … pure … o comunque il lavoro sarà ridotto ai minimi. A quasi 35 anni, dopo una vita spesa a formarmi su contabilità fisco e adempimenti non vorrei ritrovarmi come una balena spiaggiata quindi se effettivamente questo è un futuro attendibile, vorrei muovermi per tempo”.

Una risposta sensata non può prescindere da una constatazione, dalla quale spesso tutti, probabilmente in maniera involontaria, rifuggiamo: il progresso non può essere imposto dal legislatore, né può essere frenato dai presunti interessi di categorie o lobbies. Siamo consapevoli che esiste un enorme divario tra la realtà dell’ITC e la sua applicazione nel mondo del lavoro e delle libere professioni. Questo divario è in parte frutto di una scellerata illusione secondo cui, il modo per mantenere i posti di lavoro fosse mantenere procedure onerose e ridondanti, oltre che inefficienti ed inefficaci piuttosto che cambiare i vecchi processi. Anche gli adempimenti contabili e amministrativi delle aziende risentono di questa tendenza. Tutti i documenti, libri, registri, nascono in formato digitale, vengono trasferiti su carta per poi essere ri-trasferiti, spesso previa scansione, sui computer, con occupazione di spazio esponenzialmente maggiore e creando non pochi problemi di generazione di metadati e, quindi, di catalogazione e ricerca.

Il legislatore ha fatto quanto possibile per agevolare l’avvento della digitalizzazione: il Codice dell’Amministrazione Digitale nell’anno 2005 e annesse regole tecniche, il Decreto Ministeriale del 23 gennaio 2004 il Decreto Ministero Economia e Finanze 17 giugno 2014 per gli obblighi tributari, la posta elettronica certificata, provvedimenti di fronte ai quali la nostra categoria ha dimostrato disinteresse. Sembra che l’unico elemento in grado di catalizzare la nostra attenzione sia la cogenza delle norme (e delle connesse sanzioni). Il modo per far breccia e catturare l’attenzione dei professionisti e delle aziende sulla esigenza di conservazione a norma della pec è fare notare che il gestore dei servizi ha l’obbligo di conservare solo il log dei messaggi pec (quindi, non il messaggio, ma i suoi estremi) per 30 mesi, dopo di che può cancellarli; e che la posta elettronica certificata, non conservata a norma, non ha alcun valore legale.

A mio avviso noi dottori commercialisti abbiamo due responsabilità. La prima è quella di avere permesso che la “cultura dell’adempimento” avesse la meglio sulla “cultura della opportunità”, abiurando alla nostra tradizionale funzione di “laboratorio” di ricerca e sviluppo. Vero è che il legislatore fiscale ha indossato l’abito digitale senza preoccuparsi di realizzare gli opportuni coordinamenti, per esempio nella diffusione della fatturazione elettronica, un’isola in un mare di processi analogici che di digitale hanno solo il mezzo sul quale sono organizzati, senza tuttavia riuscire a sfruttarne le potenzialità.

La seconda è conseguenza della prima: abbiamo manifestato fastidio nei confronti delle innovazioni legislative del mondo digitale, rinviandone non solo l’utilizzo, ma anche lo studio.

E qui sta il cuore della risposta. Il nostro futuro è legato solo alla nostra capacità di trasformare i nuovi adempimenti in opportunità. Basta solo pensare che la fattura elettronica non è una invenzione dei giorni scorsi, ma è presente nella nostra legislazione da più di 14 anni.  È un documento double face, nel senso che può essere digitale per l’emittente ed analogico per colui che lo riceve. Se le aziende avessero sfruttato il sistema di fatturazione elettronica abbinandolo con la posta elettronica, anche non certificata, le imprese e l’economia del suo complesso avrebbero realizzato risparmi incommensurabili e recuperato efficienza. La conservazione digitale dei libri, registri e documenti è anch’essa normativamente presente dall’anno 2004, eppure la quasi totalità delle imprese e dei professionisti non se ne avvale. La firma digitale o elettronica è anch’essa presente nel nostro sistema da parecchi anni ed è utilizzata solo quando è resa obbligatoria dalle procedure amministrative. Insomma, gli strumenti ci sono tutti, manca la capacità di integrali nei processi amministrativi aziendali.

Il nostro sistema economico avrà sempre bisogno di giuristi d’impresa, esperti nell’utilizzo delle procedure informatiche, pronti a cogliere le opportunità offerte dalla tecnologia e dal legislatore per razionalizzare le attività economiche.

La contabilità IVA diventerà inutile, anzi, lo è già perché la emissione della fattura elettronica in formato strutturato rende perfettamente ridondante la tenuta di qualunque libro o registro. La liquidazione dell’IVA è già una semplice operazione aritmetica sul database delle fatture elettroniche, a cui occorrerà semplicemente apportare le modifiche dovute alla indeducibilità dell’IVA, soggettiva o oggettiva.

La contabilità generale dovrà essere l’insieme dei dati, anch’essi strutturati in un database standardizzato, che include le fatture, gli incassi e i pagamenti, i costi e i ricavi non IVA. Con l’utilizzo dei canali telematici di pagamento e la disponibilità dei dati provenienti dal Corporate Banking Interbancario -CBI, (magari senza oneri per le imprese visto che i dati non devono essere “confezionati”, ma estratti come oggi avviene con l’home banking), la contabilità generale diventerà – finalmente – un database, che sarà naturalmente sostitutivo del libro giornale, del libro inventari, del libro cespiti, dei mastrini, insomma, di tutto ciò che è già presente nel database. Dobbiamo purtroppo rilevare che i flussi telematici del CBI non sono strutturati per essere univocamente interpretabili e necessitano di integrazioni che possono essere effettuate solo manualmente; sarebbe sufficiente che i flussi contenessero le partite IVA o i codici fiscali dei soggetti tra quali avviene la transazione e che vi fossero gli estremi delle fatture di cui si procede al pagamento e tutto sarebbe davvero molto più semplice.

Se l’Agenzia delle Entrate mettesse a disposizione dei contribuenti i dati anagrafici delle partite IVA, eviteremmo la stupida proliferazione di archivi anagrafici pieni di errori; la trasmissione dei dati dello spesometro ne è stato un fulgido esempio.

Il database potrebbe essere il nocciolo duro, il cuore, degli applicativi gestionali, che si differenzierebbero non più per la diversa struttura dei loro archivi, ma per le funzionalità aggiuntive e per la loro facilità di utilizzo. In questo modo il cambio di applicativo gestionale o di studio non sarebbe più una tragedia, il mantenimento di un software applicativo dipenderebbe da una scelta tecnica e non dalla onerosità della sua sostituzione.

La contabilità, quindi, non potrà sparire, cambierà la sua forma (anzi, è cambiata da decenni), siamo noi che ci ostiniamo a voler mantenere in vita un sistema contabile anacronistico e inefficiente, oltre che inefficace. La complessità del percorso che conduce dalle scritture contabili al bilancio e alla dichiarazione dei redditi richiede e richiederà sempre di più il nostro intervento qualificato. Se ci rendessimo anche conto che i dati in nostro possesso potrebbero essere una preziosa fonte di informazioni per le imprese che assistiamo, ecco che di necessità faremmo virtù.

Concludo. Le libere professioni non potranno più vivere di rendita, di posizioni acquisite. Pensare che il progresso porterà ad una semplice traslazione in avanti delle attuali posizioni è pura illusione. Dobbiamo riprendere il ruolo di guida per i clienti e per il legislatore, partecipare ai tavoli tecnici in cui si progetta come rendere gli adempimenti coerenti col grado di evoluzione della tecnologia, come semplificare rapporti tra Fisco e contribuenti.

Dobbiamo uscire da questa zona d’ombra, solo così ci sarà un futuro per noi dottori commercialisti: la resistenza al cambiamento potrà solo causare la “estinzione della razza”.

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