La riflessione

Fattura elettronica, il bilancio: tanti benefici, ma la digitalizzazione è frenata

Nonostante si inizino a individuare i vantaggi di fattura e scontrino elettronici a un anno circa dalla loro entrata in vigore, il legislatore sembra frenato sul portare a compimento il processo di digitalizzazione delle attività fiscali. Vediamo la situazione

Pubblicato il 06 Lug 2020

Salvatore De Benedictis

dottore commercialista

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Nel tracciare un bilancio un anno dopo l’avvio della fattura elettronica e dello scontrino elettronico, è emersa la certezza che le novità stanno iniziando a produrre i frutti attesi, in particolare relativamente al recupero dell’evasione tributaria. Tuttavia il legislatore sembra “impacciato” nel compiere quel piccolo passo in avanti necessario al completamento logico e giuridico delle procedure telematiche. In questo contesto assistiamo al progressivo e pericoloso spostamento del baricentro del sistema sanzionatorio tributario verso la criminalizzazione dei reati piuttosto che verso la loro prevenzione, strategia che la storia ha già bollato come fallimentare. Eppure in poche mosse si potrebbero raggiungere risultati veramente apprezzabili. Basta solo cambiare passo. Vediamo come.

Fatturazione elettronica, digitalizzazione solo “a metà”

Come riferito dal Direttore dell’Agenzia delle Entrate nel corso dell’audizione alla VI Commissione Finanze della Camera avvenuta il 24 giugno scorso, sono stati realizzati e messi a disposizione:

  • una procedura web, per predisporre e trasmettere le fatture;
  • una App per tablet e smartphone, rivolta, in particolare, a chi non dispone di una attrezzatura fissa;
  • un software stand alone per predisporre le fatture elettroniche anche in assenza di una stabile connessione a internet;
  • un servizio per conservare le fatture elettronicamente (con valenza sia civilistica che fiscale), disponibile previa accettazione di un accordo di servizio da effettuarsi via web. Tale servizio consente un’importante diminuzione dei costi per le imprese, sfruttando al meglio le possibilità che la fatturazione elettronica offre in materia di digitalizzazione;
  • un servizio per la generazione di un QRCode, un codice da stampare o salvare sul proprio smartphone, che può essere mostrato al proprio fornitore per l’acquisizione automatica dei dati anagrafici da riportare in fattura;
  • un servizio di registrazione dell’indirizzo telematico dove l’operatore intende ricevere dal SdI, di default, tutte le sue fatture passive;
  • un servizio di consultazione e acquisizione di tutte le fatture emesse e ricevute.

Purtroppo la fatturazione elettronica non ha riguardato tutti i soggetti titolari di partita IVA, essendo rimasti fuori dall’obbligo i “forfettari” ed alcune altre categorie (associazioni sportive, agricoltori) i cui adempimenti, in alcuni casi, sono stati posti a carico dei cessionari. Probabilmente questa scelta “monca” è stato il frutto di un compromesso politico posto in essere per fronteggiare il clima di ribellione che ha caratterizzato l’avvento dell’obbligo di fatturazione elettronica. Col tempo molti si sono ricreduti, e molti contribuenti hanno fatto felicemente ricorso – pur non avendone obbligo – alla fatturazione elettronica e ne hanno apprezzato la semplicità e l’efficienza[1], conseguendo benefici inattesi. Dobbiamo anche riconoscere in tutta onestà che ci sono stati (e ci sono ancora) importanti problematiche connesse al diritto alla riservatezza di alcuni dati contenuti nelle fatture, ma io più che dell’Agenzia delle Entrate rivolgerei l’attenzione verso gli intermediari che hanno nei loro sistemi milioni di fatture e che potrebbero non assicurarne il corretto impiego o, comunque, potrebbero non avere la forza e la statura per porre rimedio a furti di dati.

Il Direttore dell’Agenzia delle Entrate, nella recente audizione, ha fatto presente tra l’altro che grazie alla fatturazione elettronica sarebbero stati individuati soggetti ad alto rischio frode privi dei requisiti di esportatore abituale per un importo di falso plafond dichiarato di oltre 1,3 miliardi di euro. Su ciò è necessario un approfondimento, perché l’acquisto senza applicazione dell’IVA da un altro soggetto passivo potrebbe non comportare, in valore assoluto, un danno all’erario (quanto meno nell’ambito della imposizione indiretta), perché a fronte di una minore IVA a debito del cedente, di cui si accerta l’esistenza, sorgerebbe il diritto di credito per l’IVA che il cedente ha titolo per addebitare al cessionario ai sensi dell’ultimo comma dell’articolo 60 del DPR 633/1972, che prevede il diritto di rivalsa “dell’imposta o della maggiore imposta relativa ad avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi soltanto a seguito del pagamento dell’imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi”.

Al riguardo occorre anche prendere atto che l’applicazione dell’IVA è un meccanismo “perverso”, che genera adempimenti per lo più inutili e la cui articolazione si presta agevolmente alla attuazione di frodi. Ricordo infatti che l’imposta sul valore aggiunto, per definizione, incide il consumatore finale, ed è neutra in tutti i passaggi intermedi[2]. L’introduzione progressiva del reverse charge, in deroga ai principi comunitari, è stata richiesta dallo Stato Italiano appunto come rimedio alle frodi. Sembra davvero paradossale che il metodo per neutralizzare le frodi sia la disapplicazione dei principi su cui si regge l’impianto normativo dell’IVA; dobbiamo riconoscere che il genio Italiano ha una particolare attitudine a trovare la soluzione a qualsiasi problema, anche quando il problema – ahimè – è l’assolvimento degli obblighi tributari. Questa è la ragione per cui una bella potatura alle fattispecie e agli adempimenti sortirebbe il duplice effetto benefico di ridurre non solo i rischi di frodi ma anche le formalità e i versamenti IVA soprattutto dei soggetti che non hanno come clienti i consumatori finali.

L’integrazione dei dati dei pagamenti

Oggi si ha l’impressione che le agevolazioni e le innovazioni siano state pensate e realizzate per tutti, tranne per i cittadini e lo Stato, ossia per coloro che dovrebbero trarne vantaggio. Solo per citare un esempio, l’home banking, che ormai è diventato il mezzo ordinario di pagamento e di gestione dei rapporti con gli Istituti di Credito, ha drasticamente ridotto i costi delle operazioni bancarie, ma chi ha ricavato i vantaggi maggiori (per non dire esclusivi) è stato il sistema bancario. L’avvio della fatturazione elettronica ha generato un meccanismo virtuoso che non si esaurisce nei vantaggi indotti alla lotta all’evasione, ma ha realizzato innegabili vantaggi soprattutto in favore delle aziende e dei professionisti. Il cruccio maggiore, come già sopra accennato, è che la procedura di fatturazione elettronica dovrebbe essere completata con la digitalizzazione di tutte le fasi che ne stanno a monte e a valle, dall’ordine elettronico, al documento di trasporto elettronico, al pagamento elettronico, alla contabilizzazione, fasi che ancora di elettronico hanno ben poco, se non i dispositivi utilizzati e il nome.

Prendiamo l’esempio dei pagamenti. Il sistema attuale di elettronico ha solo l’accesso, perché per il resto siamo costretti il più delle volte ad individuare i clienti e i fornitori in maniera analogica e convenzionale, stampando gli estratti conto e contabilizzando le operazioni, o in maniera semi-automatica, estraendo dal sistema bancario dati in formato semi-strutturato ed effettuando ricerche più o meno “intelligenti” sui campi descrittivi. Ciò comporta diseconomie e sprechi di tempo, considerato che si ha a che fare con chiavi non univoche. Tutto sarebbe molto più semplice ed immediato se i movimenti bancari contenessero in campi specifici anche la partita IVA o il codice fiscale dei soggetti tra i quali è realizzata la transazione. Se poi fosse previsto che il tracciato record dei pagamenti “elettronici” contenesse gli estremi della fattura, si avrebbe una informazione importantissima che renderebbe automatica e certa la elaborazione dei movimenti bancari e la loro importazione nella contabilità. Facendo infine confluire queste informazioni nel sistema di interscambio, ritengo che l’erario avrebbe risolto in un solo colpo la maggior parte dei problemi di controllo e di recupero dell’evasione.

È quindi evidente come completando il “sistema fattura elettronica” con i dati dei pagamenti, si realizzerebbero in un colpo solo tanti obiettivi. Il primo sarebbe quello di automatizzare la contabilizzazione degli incassi e dei pagamenti, e questo attuerebbe una economica di tempo e di risorse inimmaginabili, basta pensare a quante risorse umane vengono quotidianamente destinate alla contabilizzazione e alla quadratura delle schede clienti, fornitori, banche. Il secondo, sarebbe quello di fornire all’amministrazione finanziaria importanti elementi utili al contrasto all’evasione e al recupero delle imposte non versate. Le fatture per operazioni inesistenti sono spesso caratterizzate da alcuni elementi comuni: non vengono pagate, oppure sono pagate “in contanti” mediante frazionamento artificioso dei pagamenti al di sotto della soglia ammissibile. Non è complicato individuare – anche per masse omogenee – condotte e comportamenti prodromici dell’evasione. Se i tempi di pagamento delle fatture di un determinato contribuente – rilevabile nel nuovo database del SDI – fosse per esempio di 60 giorni, non sarebbe complicato individuare condotte “atipiche”. Così come se una azienda incassasse e pagasse tutto in tempi congrui e non versasse IVA e contributi, ciò potrebbe essere causa di una anomalia da verificare. Per non parlare di possibilità connesse alla individuazione tempestiva degli elementi prodromici della crisi d’impresa.

Le conseguenze dei pagamenti tracciabili

In buona sostanza, i mezzi d’indagine sarebbero molto più potenti e potrebbero “anticipare” i tempi dei recuperi, che oggi sono ingiustificatamente dilatati e appaiono più il mero (e mesto) esercizio di un dovere piuttosto che la espressione concreta della volontà politica di combattere l’evasione. È come se l’aver ingolfato il sistema tributario con norme che hanno fatto proliferare ipotesi di reato sia un alibi che esonera il legislatore e lo Stato a fare di meglio e di più. Il dato emergente è che si è generata una proliferazione dei procedimenti penali, anche in presenza di fattispecie poco chiare normativamente[3]. E non ci si rende conto che in questo modo non solo si danneggia l’Erario, perché le pene detentive (se e quando comminate) non ristorano le casse dello Stato, ma si impedisce agli investitori, anche stranieri, di vedere il nostro bel paese come luogo di possibili e proficui investimenti.

È chiaro che per realizzare tutto questo le aziende dovrebbero ridurre drasticamente l’uso del contanti. Io sarei per la soppressione della moneta, perché dannosa sotto tutti i profili ed assolutamente anacronistica. Ma un tema così controverso genererebbe un dibattito in cui la parte politica che se ne rendesse promotrice potrebbe subìre un pesante contraccolpo in termini di consensi. Ma ciò non vuol dire che non ci siano altre soluzioni. Per esempio, si potrebbero cambiare i criteri in presenza dei quali un contribuente è considerato “affidabile”[4], abbandonando gli attuali parametri che, per quanto raffinati e specifici, hanno un enorme difetto di origine: non considerano la imprevedibilità e irrazionalità delle scelte dell’imprenditore, che agisce mosso da istinti non sempre riconducibili a categorie logiche, quali tra tutti, per esempio, la esigenza e l’istinto di salvaguardare – anche ponendo in essere scelte antieconomiche – i posti di lavoro, circostanze queste che non integrano fattispecie di evasione.

Lo spostamento della valutazione di affidabilità dei contribuenti verso la propensione alla effettuazione dei pagamenti tracciabili, la integrazione tra essi e il Sistema di Interscambio, una migliore calibratura degli incentivi[5] con la loro estensione a soggetti che dimostrano tempestività e regolarità nei pagamenti dei tributi sarebbe un atto di civiltà, oltre che di buon senso, che porterebbe in maniera naturale ad isolare – e quindi individuare con maggiore semplicità – coloro che non sono né trasparenti né adempienti verso l’Erario. Isolando la platea dei soggetti a rischio, verso cui indirizzare immediatamente i controlli, si eviterebbe di giungere al capo della matassa solo quando le imprese presentano debiti erariali consistenti e datati e attivi patrimoniali spesso inesistenti o, comunque, inadeguati per fronteggiare la esposizione nei confronti dell’Erario.

Con l’occasione sarebbe anche il caso di rimuovere una incomprensibile assurdità normativa[6], contenuta nell’articolo 3 del Decreto Legislativo 127/2015, citato in nota 1, che concede gli “incentivi” della riduzione dei termini per l’accertamento tributario ai soggetti che “… garantiscono, nei modi stabiliti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, la tracciabilità dei pagamenti ricevuti ed effettuati …”. Appare inspiegabile come si possa subordinare una agevolazione al comportamento di un soggetto terzo rispetto al rapporto tra fisco e contribuente. Si immagini che un privato cittadino si rechi presso un esercizio commerciale al minuto e acquisti beni per oltre 500 Euro, e intenda pagare in contanti, non contravvenendo ad alcuna disposizione di legge[7]: come possiamo pretendere che l’imprenditore, per mantenere il diritto all’incentivo fiscale della riduzione dei termini per l’accertamento, possa rinunziare alla vendita ?

Conclusione

Forse questo rappresenta il problema più grosso della nostra nazione: inadimplenti non est adimplendum. Chi predica la correttezza e la onestà deve esserne l’esempio. Sappiamo bene tutti come ci sia un evidente strabismo, anche normativo e sanzionatorio, tra trasparenza, sicurezza e complessità degli adempimenti pretesi dai privati, e quelli che lo Stato dovrebbe attuare come presupposto imprescindibile della sua azione e della sua esistenza. L’avere progressivamente abiurato allo strumento dell’accertamento analitico, espandendo ingiustificatamente e pericolosamente la rilevanza e la frequenza degli accertamenti fondati su presunzioni, spesso neppure semplici, appare oggi una scelta anacronistica e inopportuna. Sarebbe molto più semplice (oltre che giusto) utilizzare le informazioni contenute nei database di cui dispone l’Amministrazione Finanziaria per intercettare l’evasione in maniera tempestiva e puntuale, perseguendo la certezza del diritto che è alla base del ripristino del rapporto di fiducia tra Stato e cittadino.

Il successo quindi di ogni iniziativa dipende anche dalla volontà politica di attuare quel rinnovamento che oggi potrebbe coincidere con le esigenze generate dalla emergenza Covid: al rilancio dell’economia dovrebbe essere accoppiato il rilancio della efficienza, efficacia ed economicità dell’azione dello Stato, in tutte le sue articolazioni ed espressioni. Il legislatore dovrebbe fare la sua parte, promuovendo misure come quelle sopra indicate, e, per esempio, abolendo i libri e le scritture contabili e sostituendoli col “database” contabile, attribuendogli validazione temporale e autenticità con la marca temporale e la firma elettronica. Non sarebbe nulla di rivoluzionario, solo il riconoscimento postumo, avvenuto con qualche lustro di ritardo rispetto al momento in cui se ne è manifestata la esigenza.

La mia categoria professionale potrebbe intestarsi il merito dell’analisi tecnica del progetto, da sottoporre a tutti gli stakeolders, per fare diventare rendere il “database” contabile il nucleo comune a tutti gli applicativi software del mercato. Ciò realizzerebbe una concorrenza più sana, fondata sulla qualità e non sulla eccessiva onerosità della migrazione verso un nuovo software applicativo. Qualcuno potrebbe ritenere che io mi stia dirigendo a gradi passi verso l’isola che non c’è. Ma io rispondo sempre che chi ci ha già rinunciato o mi ride alle spalle forse è ancora più pazzo di me.

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Note

  1. Si ricorda che l’articolo 3 del decreto legislativo 127/2015 prevede che “Il termine di decadenza di cui all’articolo 57, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e il termine di decadenza di cui all’articolo 43, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, sono ridotti di due anni. La riduzione si applica solo per i soggetti passivi di cui all’articolo 1 che garantiscono, nei modi stabiliti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, la tracciabilità dei pagamenti ricevuti ed effettuati relativi ad operazioni di ammontare superiore a euro 500.”
  2. Salvo i casi di indetraibilità, totale o parziale, oggettiva (per limitazione dovuta alla tipologia di beni oggetto di transazione) o soggettiva (per il pro-rata e la rettifica della detrazione)
  3. Il pensiero mi va al credito d’imposta Ricerca e Sviluppo, in cui ad una materia complessa si è unità una legislazione carente, in cui di certo ci sono solo le sanzioni penali.
  4. Ho criticato aspramente il legislatore, cha ha bollato come “inaffidabile” il contribuente che non è allineato con gli Indici Sintetici di Affidabilità- ISA.
  5. Mi riferisco agli incentivi oggi previsti dall’articolo 3 del Decreto legislativo 127/2015
  6. Non mi sembra che la dottrina e le associazioni di categoria abbiano dedicato la dovuta attenzione all’argomento.
  7. Si rammenta che dal primo luglio 2020 la soglia per i pagamenti in contanti è 2.000 Euro e dal primo gennaio 2022 si ridurrà a 1.000 Euro.

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