Novembre 2020 porta una rivoluzione nell’ambito della fattura elettronica, precisamente riguardo alle cause di rifiuto da parte della PA. A partire da venerdì 6 infatti entrerà in vigore la revisione delle regole per rifiutare le fatture, una situazione che punta a offrire maggiori garanzie ai fornitori pubblici per evitare situazioni di rifiuto “ingiustificato” delle fatture. Vediamo quindi le circostanze in presenza delle quali le Pubbliche Amministrazioni possono rifiutare la fattura elettronica, indicando nell’esito telematico il relativo codice.
Il contesto normativo
L’impianto normativo in tema di fatture elettroniche emesse nei confronti delle Pubbliche amministrazioni, introdotto dal Decreto Ministeriale n.55 del 3 aprile 2013, prevedeva la possibilità che una Pubblica Amministrazione potesse “rifiutare” una fattura elettronica senza essere obbligata al rispetto di regole. Abbiamo assistito a rifiuti immotivati, motivati male e talvolta con scopo meramente dilatorio. Considerato che ciò attribuiva alla Pubblica Amministrazione un potere eccessivo e persino arbitrario, con l’articolo 15-bis del D.L. n. 119 del 2018, è stata inserita la lettera g-ter) all’articolo 1, comma 213, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, che ha demandato “…ad un apposito decreto del Ministro dell’economia e delle finanze l’individuazione delle cause che possono consentire il rifiuto delle fatture stesse, nonché le modalità tecniche con le quali comunicare tale rifiuto al cedente/prestatore, anche al fine di evitare rigetti impropri e di armonizzare le modalità di rifiuto con le regole tecniche del processo di fatturazione elettronica tra privati[1]”. Ciò è avvenuto col Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze n.132 del 24 agosto 2020, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della repubblica Italiana n. 262 del 22 ottobre 2020 che ha inserito l’articolo 2-bis al Decreto Ministeriale 55/2013 sopra citato. Le modifiche entreranno in vigore il 6 novembre 2020, 15° giorno successivo alla pubblicazione del Decreto sulla Gazzetta Ufficiale.
Cause di rifiuto articolo 2-bis
La naturale premessa è che la novella legislativa non sembra voler attribuire alle Pubbliche Amministrazioni l’obbligo di rifiutare le fatture elettroniche non conformi ai precetti contenuti nella norma attuativa ma solo la facoltà. È stata infatti mantenuta – salvo quanto verrà appresso considerato – l’impostazione per cui la responsabilità decisionale sulla manifestazione di rifiuto della fattura elettronica spetta all’Ente destinatario, che potrebbe anche accettarla pur avendo la facoltà di rifiutarla in quanto mancante di una informazioni indicate nell’articolo 2-bis. Le cause contemplate nell’articolo 2-bis non hanno tutte lo stesso grado di “gravità”. Vi sono casi in cui il rifiuto è necessario per ragioni obiettive, la cui disattenzione potrebbe generare la commissione reati sanzionati anche con la reclusione. Vi sono altri casi che, riguardando informazioni necessarie per il corretto trattamento delle fatture nei processi informatici delle pubbliche amministrazioni, non genera necessariamente fattispecie sanzionabili, che potrebbero costituire oggetto di rettifica con mezzi integrativi della fattura elettronica.
Fattura elettronica riferita ad una operazione che non è stata posta in essere in favore del soggetto destinatario della trasmissione
Si tratta di una ipotesi in cui c’è poco spazio per la interpretazione. Ci troviamo infatti in presenza di una fattura emessa per operazioni – quanto meno soggettivamente – non esistenti, per cui la Pubblica Amministrazione non potrebbe comportarsi diversamente dal rifiutare la fattura elettronica, o, quanto meno, dal neutralizzarne l’utilizzo, pena l’assoggettamento delle conseguenze previste dal Decreto legislativo 74/2000 qualora anche inavvertitamente dovesse utilizzarla.
Omessa o errata indicazione del Codice identificativo di Gara (CIG) o del Codice unico di Progetto (CUP), da riportare in fattura ai sensi dell’articolo 25, comma 2, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n.89, tranne i casi di esclusione previsti dalla lettera a) del medesimo comma 2
La normativa richiamata è stata attuata inserendo nella fattura elettronica rispettivamente i campi 2.1.2.7 <CodiceCIG> e 2.1.2.6 <CodiceCUP> nel blocco 2.1.2 <DatiOrdineAcquisto> della fattura elettronica. Sui suddetti campi il software del sistema di interscambio non prevedeva né un obbligo di esistenza, né di coerenza, se non la limitazione della lunghezza a 10 caratteri alfanumerici.
Omessa o errata indicazione del codice di repertorio di cui al decreto del Ministro della salute 21 dicembre 2009, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 17 del 22 gennaio 2010, da riportare in fattura ai sensi dell’articolo 9-ter, comma 6, del decreto-legge 19 giugno2015, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125
I “dispositivi medici[2]”, prima della loro commercializzazione sul territorio nazionale, sono soggetti all’obbligo di preventiva iscrizione su un Repertorio, istituito dall’articolo 57, comma 1, della Legge 289/2002. Le fatture elettroniche devono riportare nel campo <CodiceTipo> (sezione 2.2.1.3.1) il valore DMX, con X=1,2,0 a seconda del tipo di dispositivo medico oggetto dell’operazione. Quindi: 1 per “Dispositivo medico o Dispositivo diagnostico in vitro”, 2 per “Sistema o kit Assemblato”, 0 nel caso in cui non si sia in grado di identificare il numero di repertorio, e nel campo <CodiceValore> (sezione 2.2.1.3.2) il numero di registrazione attribuito al dispositivo medico nella Banca Dati repertorio.
Omessa o errata indicazione del codice di Autorizzazione all’immissione in commercio (AIC) e del corrispondente quantitativo da riportare in fattura ai sensi del decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministero della salute, del 20 dicembre 2017, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 302 del 29 dicembre 2017, attuativo del comma 2 dell’articolo 29 del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96, nonché secondo le modalità indicate nella circolare del Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministero della salute, n. 2 del 1° febbraio 2018
A decorrere dal 1° gennaio 2018, nelle fatture elettroniche emesse nei confronti degli enti del Servizio sanitario nazionale per acquisti di prodotti farmaceutici è fatto obbligo di indicare le informazioni relative al Codice di Autorizzazione all’Immissione in Commercio (AIC) e al corrispondente quantitativo. Inoltre a decorrere dalla stessa data, le suddette fatture dovevano essere rese disponibili all’AIFA. Gli enti del Servizio sanitario nazionale non possono effettuare pagamenti di corrispettivi di fatture che non riportino tali informazioni. Come previsto dall’articolo 2 del DMEF del 20/12/2017, le modalità per esporre sulla fattura elettronica i dati richiesti dalla normativa sono i seguenti:
nel blocco «DatiBeniServizi» (sezione 2.2) del tracciato della fattura elettronica, per ogni sezione «DettaglioLinee» (2.2.1) dovranno essere obbligatoriamente riportate le seguenti informazioni:
a) «CodiceTipo» (sezione 2.2.1.3.1): Aicfarmaco;
b) «CodiceValore» (sezione 2.2.1.3.2): codice di AIC, di 9 caratteri numerici, di cui il primo carattere assume i seguenti valori:
0 = farmaco uso umano;
1 = farmaco uso veterinario (con 5 per i vecchi prodotti);
9 = parafarmaco uso umano o veterinario;
8 = omeopatico uso umano o veterinario;
7 = Galenici e altri tipologie di prodotti;
c) «UnitaMisura» (sezione 2.2.1.6): «Confezioni» o «Posologie» sono le unità di misura in cui é espresso il campo «Quantità»: identifica il numero di confezioni oppure il numero di unità posologiche; per i soli gas medicinali, é possibile inserire l’unità prevista nel contratto di fornitura;
d) «Quantità» (sezione 2.2.1.5): numero di confezioni o numero di posologie (unità posologiche) del prodotto farmaceutico identificato con il codice di AIC; per i soli gas medicinali, é possibile inserire il numero di unità previste nel contratto di fornitura.
Omessa o errata indicazione del numero e data della determinazione dirigenziale d’impegno di spesa per le fatture emesse nei confronti delle Regioni e degli enti locali.
Si tratta di dati per cui non esiste uno specifico campo nella fattura elettronica, e che possono essere inseriti utilizzando i campi del blocco 2.1.2 2.1.2 <DatiOrdineAcquisto>, o altrove. La mancanza di un campo specifico, che potrebbe quindi essere suscettibile di essere elaborato automaticamente dalle procedure contabili dell’Ente pubblico, rappresenta un grosso limite che necessiterebbe di una specifica previsione normativa.
Quanso non si può rifiutare la fattura elettronica
Il comma 2 del citato articolo 2-bis dispone che “nei casi in cui gli elementi informativi possono essere corretti mediante le procedure di variazione di cui all’articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633” le Pubbliche Amministrazioni non posso rifiutare la fattura elettronica. Le variazioni dell’imponibile e dell’imposta previste dall’articolo 26 possono essere in aumento, previste al comma 1, e in diminuzione, previste dal comma 2.
Le variazioni in aumento
Il comma 1 dell’articolo 26 prevede la possibilità di rettifica in aumento, esperibile mediante le disposizioni previste dall’articolo 21 per la emissione delle fatture, qualora “… successivamente all’ emissione della fattura o alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24 l’ammontare imponibile di un’operazione o quello della relativa imposta viene ad aumentare per qualsiasi motivo, compresa la rettifica di inesattezze della fatturazione o della registrazione”. Il primo (e forse unico) caso che viene in mente è quello in cui l’emittente abbia commesso un errore di quantificazione dei prezzi o delle quantità relative ai beni ceduti o alle prestazioni effettuate.
Le variazioni in diminuzione
Sono regolate dai commi 2 e 3 dell’articolo 26. Il comma 2 disciplina il caso in cui una “… operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose o a seguito di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato …., ovvero di un piano attestato … o in conseguenza dell’applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente”.
In questo caso il cedente può (non deve) emettere un documento in rettifica, ma se lo fa acquisisce il diritto a portare in detrazione l’IVA corrispondente alla variazione negativa; simmetricamente, il cessionario ha l’obbligo di rilevare un corrispondente debito per IVA. Il comma 3 limita temporalmente la possibilità offerta al comma 2 nel caso in cui la variazione dipenda da un sopravvenuto accordo tra le parti, dalla rettifica di inesattezze ad un anno dalla effettuazione della operazione da rettificare.
Conclusione
L’intento col quale il legislatore ha regolamentato i casi in cui le Pubbliche Amministrazioni possono rifiutare la fattura elettronica è certamente encomiabile, soprattutto per porre un argine a possibili “eccessi di zelo” che potrebbero sfociare in abusi. L’impianto normativo attuale potrebbe essere interpretato come un messaggio di “tolleranza” del legislatore nei confronti delle imprecisioni contenute nelle fatture elettroniche: seguendo questa ipotesi, la Pubblica Amministrazione potrebbe rifiutare la fattura elettronica emessa in maniera non conforme alla legge, ma potrebbe anche accettarla, considerato che le indicazioni omesse o errate potrebbero anche essere comunicate alla Pubblica Amministrazione mediante canali diversi dalla fattura elettronica (per esempio, PEC), che è e resta sempre lo strumento istituzionalmente e tecnicamente idoneo ad accogliere i dati.
Però potrebbe anche esserci un’altra chiave di lettura. L’inserimento dei dati sopra descritti all’interno della fattura elettronica può essere vista la espressione della revisione dei processi amministrativi in chiave informatica, e la richiesta dei dati di cui si tratta potrebbe anche essere lo strumento scelto dal legislatore per attuare la riforma. Una eventuale incompletezza dei dati – al di là di quelli che potrebbero essere gli eventuali aspetti sanzionatori, vanificherebbe l’intento del legislatore, e affiderebbe ad un eventuale “colloquio” da attuare con modalità non standard la eventuale rettifica. Vero è anche che gli automatismi che il legislatore ha progettato sono spesso rimasti lettera morta nella applicazione corrente, soprattutto da parte delle Pubbliche Amministrazioni meno virtuose, però se non si volta pagina il sistema Pubblico perde grosse potenzialità in termini di efficienza, efficacia ed economicità che sono i pilastri su cui dovrebbe fondarsi. In questa prospettiva, le Pubbliche Amministrazioni sarebbero moralmente obbligate da un lato a farsi “testimoni” di cultura informatica, e dall’altro pretendere che i “colloqui” e i passaggi di dati con i privati avvengano sfruttando le potenzialità dei canali telematici e le infrastrutture logiche con cui sono stati concepiti. Ciò avrebbe come conseguenza che le Pubbliche Amministrazioni, magari dopo un periodo di “moratoria”, assumessero l’atteggiamento necessariamente intransigente verso se stessi e verso coloro che hanno rapporti con loro. Ciò a maggior ragione vale in un periodo in cui il contesto generale richiede un impegno particolare per dare quel colpo di reni necessario ad uscire dalle sabbie mobili della emergenza sanitaria che ci sta affliggendo.
Le novelle legislative di cui abbiamo oggi trattato rappresentano certamente un passo in avanti, ma necessitano però di ulteriori integrazioni, prima fra tutte la risposta ad una questione che si è posta più volte: se il CIG o il CUP sono indicati in campi diversi da quelli previsti – per esempio, nella descrizione dei beni – l’Ente può rifiutare la fattura ? ovvero, più in generale, per omessa indicazione si intende la omessa compilazione dei campi specifici o la mancanza assoluta delle informazioni ? Questo dilemma potrebbe essere sciolto da un lato inserendo nel tracciato della fattura elettronica anche i dati relativi alla determina dell’Ente che ha disposto l’impegno di spesa, e dall’altro individuando un periodo transitorio di tolleranza e procedendo alla modifica normativa per cui venga definitivamente chiarito che le informazioni richieste si intendono soddisfatte solo se la fattura elettronica è compilata utilizzando i campi in maniera formalmente corretta.
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Note
- Circolare Agenzia Entrate n.14/E del 17 giugno 2019 ↑
- Qualsiasi strumento, apparecchio, impianto, sostanza o altro prodotto, utilizzato da solo o in combinazione (compreso il software informatico impiegato per il corretto funzionamento) e destinato dal fabbricante ad essere impiegato nell’uomo a scopo di diagnosi, prevenzione, controllo, terapia o attenuazione di una malattia; di diagnosi, controllo, terapia, attenuazione o compensazione di una ferita o di un handicap; di studio, sostituzione o modifica dell’anatomia o di un processo fisiologico; di intervento sul concepimento, il quale prodotto non eserciti l’azione principale, nel o sul corpo umano, cui è destinato, con mezzi farmacologici o immunologici né mediante processo metabolico ma la cui funzione possa essere coadiuvata da tali mezzi. (Fonte: Ministero della salute)Sono esclusi dall’obbligo:a) i dispositivi medico diagnostici in vitro, come definiti dall’art. 1, comma 1, lettera b) del decreto legislativo 8 settembre 2000, n. 332;b) i dispositivi su misura di cui all’art. 1, comma 2, lettera d) del decreto legislativo 24 febbraio 1997, n. 46;
c) i dispositivi su misura di cui all’art. 1, comma 2, lettera d) del decreto legislativo 14 dicembre 1992, n. 507. ↑