Esprimere una valutazione sull’efficacia e l’efficienza degli incentivi legislativi connessi all’avvio della fatturazione elettronica in ambito B2B richiede un’analisi in grado di dare risposta quanto meno a tre domande:
- Ha senso incentivare qualcosa che di per sé porta innegabili vantaggi a chi se ne avvale?
- L’incentivo deve essere etico?
- Quali sono i canali con cui l’incentivo deve essere portato a conoscenza degli interessati per assicurarne la corretta e tempestiva conoscenza?
I tre interrogativi sopra elencati non sono assolutamente causali, ma potrebbero rappresentare una pre-diagnosi delle ragioni del fallimento delle scelte ad oggi operate, sia a livello legislativo che a livello comunicativo.
La risposta ai tre interrogativi richiede alcune brevi premesse.
Ad oggi non esistono incentivi fiscali connessi direttamente alla opzione per fatturazione elettronica B2B. Gli “incentivi” in atto previsti sono connessi alla opzione per la trasmissione dei dati IVA ex art.1, comma 3, Decreto Legislativo 127/2015. Si trattadi:
- esonerida adempimenti “pleonastici”[1];
- accesso ai rimborsi IVA in via prioritaria, entro tre mesi dalla presentazione della dichiarazione annuale, anche in assenza dei requisiti di cui all’articolo 30, secondo comma, lettere a), b), c), d) ed e), DPR 633/1972;
- riduzione di due anni dei termini di decadenza dell’accertamento, posto che sia garantita, altresì, la tracciabilità di tutti i pagamenti effettuati e ricevuti[2].
Vi è poi da chiedersi in che modo il legislatore si sia posto il problema dell’utilizzo della mole di dati che sta ricevendo in ottemperanza agli obblighi introdotti. Nel passato abbiamo assistito al fallimento dei “controlli incrociati” soprattutto per la asincronia normativa esistente tra il momento di registrazione della fattura emessa e quello di quella ricevuta[3]; sin quando la fattura non sarà una medaglia con due facce, una dell’emittente e l’altro del ricevente, ogni controllo sarà quanto meno arduo. Anzi, c’è il rischio di scatenare focolai di irregolarità che tali non sono. Sotto questo profilo il legislatore dovrebbe essere certamente più attento, e comprendere che la genesi di ogni provvedimento legislativo deve essere preceduta da una attenta analisi di congruità e completezza dei dati la cui trasmissione si intende richiedere ai contribuenti.
La prima domanda esige una risposta articolata, che è semplice nella misura in cui si ponesse come caposaldo che la fattura elettronica fosse la tappa intermedia di un processo aziendale informatizzato. Uno studio della School of Management del Politecnico di Milano ha stimato che “il beneficio ottenibile passando da un processo tradizionale basato su carta alla Fatturazione elettronica, per organizzazioni che producono/ricevono un volume di Fatture superiore alle 3.000 Fatture/anno, si assesta tra i 7,5 e gli 11,5 euro a fattura. Questo beneficio deriva in larga parte da risparmi legati alla riduzione dell’impiego di manodopera per (i) attività di stampa e imbustamento; (ii) gestione della relazione con il cliente (tempi dedicati a capire se la Fattura è effettivamente arrivata, se è stata presa in carico, se e quando verrà pagata ecc.) e (iii) gestione della conservazione, che introduce risparmi legati all’eliminazione dei costi di gestione dell’archivio cartaceo”[4].
Per volumi superiori il beneficio è ovviamente superiore, magari in misura meno che direttamente proporzionale; per volumi inferiori però il beneficio è inferiore e, in presenza di volumi modesti (qualche decina di fatture l’anno) può essere addirittura poco apprezzabile o trasformarsi in un handicap.
Quindi alla prima domanda si può rispondere affermando che gli incentivi devono essere pensati e organizzati anche per le imprese di dimensioni medio piccole, in quanto le grandi imprese hanno vantaggi intrinseci, per cui quelli legislativi possono rappresentare solo un appeal aggiuntivo ma non decisivo. Ovviamente ad una condizione: che le aziende abbiano conoscenze ed informazioni adeguate, e su questo argomento spenderò qualche considerazione nella analisi del terzo interrogativo.
L’incentivo deve essere etico? La seconda domanda non è casuale, perché ho l’impressione che la scelta del legislatore di accorciare i termini per l’accertamento per coloro che optano per la Fatturazione Elettronica e la trasmissione dei dati IVA non vada in questa direzione. Ritengo che gli incentivi debbano essere declinati con l’esigenza di equità del sistema. Il contribuente onesto non deve temere i controlli del fisco, quanto piuttosto deve essere tutelato nelle modalità con cui si effettuano i controlli e con cui l’Amministrazione Finanziaria genera le presunzioni, che spesso si traducono in una inversione dell’onere della prova. Mi sarei quindi aspettato che il legislatore si muovesse in un’altra direzione, da un lato alleviando gli obblighi dichiarativi[5]e dall’altro affermando semplicemente che l’accertamento nei confronti dei contribuenti che avessero optato per la “digitalizzazione” dei processi indicati all’articolo 3 del Decreto Legislativo 127/2015 (da estendere anche alla eventuale opzione per la fattura elettronica B2B) dovesse fondarsi solo su prove dirette e certe, non su presunzioni o procedimenti induttivi.
Mi sarei anche aspettato che l’esonero dell’obbligo di registrazione dei cui agli articolo 23 e 25, previsto dall’articolo 4 del Decreto Legislativo 127/2015 “per specifiche categorie di soggetti passivi IVA di minori dimensioni” ovvero per i soggetti non di minori dimensioni che intraprendono attività d’impresa, arte o professione … per il periodo in cui l’attività é iniziata e per i due successivi”, fosse naturalmente applicabile a tutti i soggetti obbligati alle trasmissioni dei dai IVA e dei dati delle liquidazioni periodiche ex artt. 21 e 21-bis del Decreto Legislativo 78/2010. Non si comprende, infatti, la ragione per cui il contribuente debba essere costretto a porre in essere adempimenti che riguardano dati già in possesso della Amministrazione Finanziaria, oggetto di trasmissioni telematiche, la cui soppressione, piuttosto che una “agevolazione”, dovrebbe essere vista come la naturale eliminazione di adempimenti divenuti ridondanti.
La terza domanda viene da me affrontata con un certo disagio, per ragioni connesse alla mia appartenenza alla categoria dei Dottori Commercialisti e, più in generale, a coloro che dovrebbero fare da “propulsore” della digitalizzazione dei processi aziendali e, quindi, dei rapporti con l’Amministrazione Finanziaria.
Da più di un decennio il legislatore ha concesso la possibilità di non stampare più registri e libri, sostituendo la stampa cartacea con la conservazione digitale. La norma storica è il famoso Decreto Ministeriale del 23 gennaio 2004,sostituito dal Decreto del 17 giugno 2014. Affrontare il tema degli “incentivi” sullo specifico argomento è quasi mortificante: conservare digitalmente libri e registri comporta enormi economie in termini diretti (stampa e archiviazione), in termini di tempi di esecuzione dei processi, e anche in termini di oneri tributari[6]. Studi dell’anno 2014 dell’Osservatorio ICT & Professionisti del Politecnico di Milano hanno evidenziato come, nella sostanza, gli studi siano sensibili all’innovazione solo quando è resa obbligatoria dal legislatore. Questa evidenza rappresenta la principale con-causa dell’insuccesso dell’avvento della fattura elettronica nel B2B. Gli studi professionali non hanno colto l’opportunità concessa dal legislatore, si sono dimostrati diffidenti nei confronti della innovazione digitale, e non sono riusciti ad assumere il ruolo di “testimoni” nei confronti dei loro clienti. Ciò ha comportato effetti collaterali molto gravi. Da un lato non ha permesso la nascita di dottrina e di conseguente prassi sulla materia. Dall’altro ha rallentato la interlocuzione col legislatore, che spesso ha assunto contenuti dilatori piuttosto che propositivi.
Cito solo un esempio su tutti: nel mondo digitale, che senso ha continuare a parlare di libri e registri ? ci rendiamo tutti conto che “trasformare” in “registri” – sia in senso analogico che digitale- i dati informatici che popolano i nostri server è una follia ?
Mi aspetterei una fondamentale “novità”: che si mandassero in soffittai libri e i registri, sostituiti da un database con campi e informazioni predefiniti, magari concertati in un tavolo tecnico (penserei, anche per ragioni affettive, il “Forum Nazionale sulla fatturazione elettronica” coordinato dall’Agenzia delle Entrate).
Questa innovazione – che in effetti non sarebbe altro che una tardiva presa d’atto – potrebbe essere il punto di partenza per la individuazione di un database contabile standard e comune a tutti gli applicativi gestionali[7]. Pensate quale ritorno in termini di efficienza e di competitività vi sarebbe se i professionisti e le aziende potessero scegliere il software di cui dotarsi privilegiando le sue caratteristiche funzionali ed non essendo soggetti a migrazioni e conversioni che il più delle volte si trasformano in un bagno di sangue e creano difficoltà tali da scoraggiare anche i più temerari.
Questa mia opinione anticipa e, di fatto, semplifica la risposta alla terza domanda: prima che nella individuazione degli incentivi, il problema risiede nella sensibilizzazione culturale dei “confezionatori” e dei destinatari delle norme e di coloro che le devono applicare: la cultura che deve dirigere e orientare il legislatore e i suoi ispiratori e collaboratori non può essere limitata alle conoscenze giuridico-informatiche, ma deve essere ampliata ai problemi della gestione e dell’organizzazione aziendale, della tenuta delle scritture contabili, del rispetto degli obblighi civilistici e fiscali. Solo avendo un panorama completo e corretto si può provare a immaginare quali siano le leve da muovere e, soprattutto, poterne prevedere gli effetti e valutarne le conseguenze. Più o meno quello che è mancato sino ad oggi.
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