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Autofattura con la fatturazione elettronica: quando e come farla

Molti soggetti IVA consegnano ancora fatture senza valore giuridico, rimandando l’invio di fattura elettronica. Il cessionario è obbligato a controllare che la trasmissione dell’e-fattura sia fatta nei termini di legge: se ciò non avvenisse, deve provvedere all’autofatturazione. Ecco come e quando

Pubblicato il 04 Feb 2019

Salvatore De Benedictis

dottore commercialista

marca-da-bollo-su-fatture

La pratica dell’autofattura acquisisce una nuova importanza in questa fase iniziale dell’obbligo di fattura elettronica. Sappiamo che l’autofattura è un documento di fattura emesso dal committente, invece che dal prestatore del servizio o venditore del bene.

Ed è aumentata la necessità di fare autofatture, dal momento che molti soggetti IVA continuano a mettere fatture “analogiche” (magari anche in pdf, ma non elettroniche a norma di legge) in tutto e per tutto uguali a quelle emesse in passato, rinviando la trasmissione della fattura elettronica a un momento successivo.

Sfruttano infatti i più ampi termini concessi dal legislatore per il primo semestre 2019. Il legislatore ha previsto un periodo transitorio di tolleranza, modificando l’articolo 1, comma 6, del Decreto Legislativo 127/2015, prevedendo da una parte l’inapplicabilità delle sanzioni nella ipotesi in cui la fattura elettronica sia trasmessa al SdI entro il termine di effettuazione della liquidazione periodica dell’imposta sul valore aggiunto, dall’altra l’applicazione delle sanzioni con una riduzione dell’80% a condizione che la fattura elettronica sia emessa entro il termine di effettuazione della liquidazione dell’imposta sul valore aggiunto del periodo successivo.

I termini di legge per la trasmissione

Si pone quindi il problema di individuare quale sia il tempo oltre il quale la trasmissione della fattura elettronica ecceda i termini, sia pure dilatati per concessione del legislatore, preso comunque atto della relatività del “termine di effettuazione della liquidazione periodica” rispetto al soggetto emittente, connesso alla periodicità della sua liquidazione IVA: sedici giorni dalla chiusura del periodo per i contribuenti mensili, un mese e sedici giorni per i contribuenti trimestrali.

Questa incertezza si ripercuote sul cessionario, destinatario degli obblighi “surrogatori” posti a suo carico dalla norma sopra richiamata. Le conseguenze, economiche e procedurali, cui potrebbe essere soggetto il cessionario, sono molteplici. Primo fra tutti l’effettuazione di un pagamento allo scoperto, relativo all’IVA del bene o servizio acquistato, senza essere in possesso di un valido documento fiscale, idoneo a consentire il diritto alla documentazione della spesa e alla detrazione dell’IVA.

La fattura “di cortesia” non ha valore giuridico

Iniziamo col dire che la fattura cartacea “di cortesia” nei rapporti B2B non ha alcun valore giuridico, posto che le fatture devono avere per espressa previsione normativa contenuta nel comma 3 dell’articolo 1 del Decreto Legislativo 127/2015, formato esclusivamente elettronico. L’analisi che si intende effettuare è comprendere quali siano i rischi che corre un imprenditore che, avendo ricevuto una cessione di beni o una prestazione di servizi, effettua il pagamento del corrispettivo, generalmente comprensivo dell’IVA, senza che contestualmente sia stata emessa regolare fattura elettronica.

Il comma 8 dell’articolo 6 del Decreto Legislativo 471/1997 prevede oneri ben precisi a carico del contribuente IVA, soggetto passivo di una operazione effettuata e rilevante ai fini IVA, che non ricevesse la fattura entro quattro mesi dalla data di effettuazione della operazione, o la ricevesse compilata in maniera irregolare, imponendo di:

  • effettuare il pagamento dell’imposta relativa all’operazione mediante versamento diretto;
  • presentare all’Ufficio competente nei suoi confronti, la copia corretta della fattura (c.d. autofattura).

Gli adempimenti di cui sopra devono essere completati nei trenta giorni successivi alla scadenza dei quattro mesi dalla data di effettuazione della operazione. In caso contrario, il cessionario è punito, salva la responsabilità del cedente o del commissionario, con sanzione amministrativa pari al 100% dell’imposta, con un minimo di 250 euro.

Quando è necessaria l’autofattura elettronica

Per fare un esempio, immaginiamo che il 2 gennaio 2019 un soggetto effettui un acquisto per 100, IVA 22, totale dovuto quindi, 122. Se entro il 4 maggio 2019 non dovesse ricevere la fattura, entro il 1 giugno 2019 sarà obbligato ad emettere autofattura elettronica, indicando TD20 come “Tipo Documento”, e ad effettuare il versamento autonomo dell’IVA (quindi 22 euro). In caso di inadempimento è soggetto ad una sanzione di 250 Euro, ai sensi dell’articolo 11, comma 1, decreto Legislativo 472/1997 . La sanzione, una volta ricevuta la notifica dell’atto con la quale viene irrogata, potrà essere definita entro il termine previsto per la proposizione del ricorso, ai sensi dell’articolo 16, comma 3, del Decreto legislativo 472/1997, con il pagamento di un importo pari ad un terzo della sanzione stessa, non inferiore ad un terzo dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo. Il versamento dell’IVA va effettuato col modello F24 indicando il codice tributo 9399, introdotto con la Risoluzione del Ministero delle Finanze n. 69/E del 24 maggio 2000.

L’autofattura va contabilizzata col meccanismo dell’inversione contabile, neutralizzando l’IVA a debito (nel registro vendite) con l’IVA a credito (nel registro IVA acquisti). In sostanza, l’operazione è neutra, ma è evidente come il soggetto che abbia pagato al cedente l’intero corrispettivo, IVA inclusa, si trovi costretto ad un doppio esborso dell’IVA: la prima volta al cedente, la seconda volta all’Erario. Quindi, paga due volte e detrae una volta, salvo il diritto di ripetizione nei confronti del cedente inadempiente.

Ma c’è anche un ulteriore problema. Se il cessionario non ricevesse la fattura entro quattro mesi, potrebbe attivare la procedura di autofatturazione prima che per il cedente sia scaduto il termine per la emissione della fattura col ricorso al termine lungo concesso dalla normativa transitoria, in vigore per il primo semestre 2019. Nel caso sopra esposto, il cessionario potrebbe infatti emettere l’autofattura il 5 maggio e ricevere la fattura entro il 16 maggio, termine ultimo per un contribuente trimestrale per emettere la fattura elettronica.

Suggerimenti per far fronte al problema

Dato per assodato che non è consigliabile pagare IVA ai fornitori senza essere in possesso della fattura elettronica, un suggerimento potrebbe essere quello di non essere troppo tempestivi nel regolarizzare l’operazione, e magari tentare di contattare il fornitore per assicurarsi che adempirà, e, comunque, avere ben chiari quali siano i termini entro cui il soggetto cedente potrebbe emettere la fattura senza incorrere in sanzioni, tenendo anche presente che, come sopra detto, la esimente sanzionatoria potrebbe valere anche per il cessionario.

Sarebbe comunque opportuno che il legislatore avviasse un processo di armonizzazione dei termini e di semplificazione delle procedure, che hanno perso la loro ragionevolezza essendo passati da un contesto analogico ad un contesto digitale. Considerato infatti che l’articolo 21, comma 4, prevede che dal 1° luglio 2019 il cessionario abbia 10 giorni di tempo dalla data di effettuazione della operazione per emettere la fattura elettronica, appare poco opportuno mantenere un termine così ampio (attualmente 4 mesi) prima del quale non è possibile effettuare la regolarizzazione della operazione ai sensi dell’articolo 6 comma 8.

L’altro aspetto che appare eccessivamente penalizzante sotto il profilo procedurale è costringere chi emette l’autofattura a pagare contestualmente l’IVA. Sarebbe molto più semplice consentire che l’IVA confluisca nella liquidazione periodica. L’operazione anomala sarebbe comunque immediatamente individuabile dall’Agenzia delle Entrate in virtù dello specifico “Tipo Documento” TD20 indicato nella fattura elettronica.

Il pagamento dell’imposta di bollo

Sino al 31 dicembre 2018, le modalità di pagamento dell’imposta di bollo sulle fatture elettroniche erano regolate dall’articolo 6 del Decreto MEF del 17 giugno 2014, secondo cui “il pagamento dell’imposta relativa alle fatture, agli atti, ai documenti ed ai registri emessi o utilizzati durante l’anno era effettuato in un’unica soluzione entro 120 giorni dalla chiusura dell’esercizio”. Il decreto 28 dicembre 2018 del Ministero dell’Economia e delle Finanze, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.5 del 7/1/2019, ha modificato il citato articolo 6 prevedendo che

Il pagamento dell’imposta relativa alle fatture elettroniche emesse in ciascun trimestre solare è effettuato entro il giorno 20 del primo mese successivo. A tal fine, l’Agenzia delle entrate rende noto l’ammontare dell’imposta dovuta sulla base dei dati presenti nelle fatture elettroniche inviate attraverso il Sistema di interscambio di cui all’art. 1, commi 211 e 212, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, riportando l’informazione all’interno dell’area riservata del soggetto passivo I.V.A. presente sul sito dell’Agenzia delle entrate.

Il pagamento dell’imposta può essere effettuato mediante il servizio presente nella predetta area riservata, con addebito su conto corrente bancario o postale, oppure utilizzando il modello F24 predisposto dall’Agenzia delle entrate. Le fatture elettroniche per le quali è obbligatorio l’assolvimento dell’imposta di bollo devono riportare specifica annotazione di assolvimento dell’imposta ai sensi del presente decreto”.

Documenti soggetti ed esenti

L’applicazione dell’imposta di bollo è normativamente alternativa rispetto all’Imposta sul Valore Aggiunto per il disposto dell’articolo 6 della Tabella Allegata al DPR 642/1973, che stabilisce la esenzione assoluta di “fatture ed altri document …riguardanti il pagamento di corrispettivi di operazioni assoggettate ad imposta sul valore aggiunto”, per “i suddetti documenti sui quali non risulta evidenziata l’imposta sul valore aggiunto, l’esenzione è applicabile a condizione che gli stessi contengano l’indicazione che trattasi di documenti emessi in relazione al pagamento di corrispettivi di operazioni assoggettate ad imposta sul valore aggiunto”.

Sono quindi esenti da bollo le fatture/autofatture emesse per cessioni di beni con iva assolta all’origine (per esempio, nel settore dell’editoria) o in relazione alle operazioni di reverse charge, anche relativo alle cessioni intracomunitarie.

Sono inoltre esenti dall’imposta di bollo le fatture emesse per operazioni non imponibili relative ad esportazioni di merci (articolo 8, comma 1, lettere a) e b) DPR 633/1972).

Sono invece assoggettate all’imposta di bollo le fatture (o documenti) di importo complessivo superiore a 77,47 euro non assoggettato ad Iva, quali:

  • le fatture fuori campo Iva, per mancanza del requisito oggettivo o soggettivo (artt.2, 3, 4 e 5, DPR 633/72);
  • le fatture non soggette ad IVA ai sensi degli artt. da 7-bis a 7-septies DPR 633/72;
  • le fatture non imponibili per cessioni ad esportatori abituali che emettono la dichiarazione d’intento (art.8, comma 1, lett. c), DPR 633/72);
  • le fatture non imponibili, in quanto operazioni assimilate alle cessioni all’esportazione (art.8-bis, DPR 633/72), quali cessioni di navi, aeromobili, apparati motori o componenti destinati a navi e aeromobili e prestazioni di servizi destinati a questi ultimi;
  • le fatture non imponibili per servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali (art.9 DPR 633/72, ad eccezione delle fatture relative a servizi internazionali che siano diretti esclusivamente al fine di realizzare l’esportazione di merci con esclusione, quindi, dei servizi relativi a beni in transito doganale, ai trasporti di persone, etc. (Risoluzione Ministero delle Finanze 290586/1978), che sono pertanto esenti da bollo;
  • le fatture emesse per operazioni esenti da IVA (art.10 Dpr 633/72) o escluse (art.15 Dpr.633/72);
  • le fatture emesse dai contribuenti in regime dei minimi e forfettario.

L’imposta di bollo si applica anche alle fatture emesse nei confronti dello Stato, ma ai sensi dell’articolo 8 del DPR 642/1972 essa rimane a carico del cedente; quindi, il bollo va esposto in fattura, ma il suo importo non deve concorrere a formare il totale dovuto.

Come rendere effettiva la semplificazione

La modifica ha il pregio di rendere più semplice l’assolvimento dell’imposta, mediante una autoliquidazione che l’Agenzia effettuerà sulla base dei dati transitati nel SDI; ci auspichiamo che alla liquidazione faccia seguito una informazione destinata al contribuente, per email o con un sms, che lo avvisi che nella sua Area Riservata è stato predisposto il modello F24 per il pagamento dell’imposta di bollo.

Tuttavia la semplificazione potrebbe capovolgere il rapporto costi / benefici qualora gli importi dovuti siano minimali. Per quanto la procedura possa essere semplificata, l’attività di pagamento (per il contribuente) e di controllo (per la Amministrazione Finanziaria) comporta un dispendio di tempo che deve essere giustificato da importi che non siano minimali. Considerato che attualmente l’importo minimo da versare è pari a Euro 1,03, potrebbe accadere che si debba pagare un F24 anche per soli 2 Euro. E ciò non appare razionale.

Per evitare ciò, si potrebbe fissare una soglia al di sotto della quale il pagamento venga rinviato al trimestre successivo, con l’emanazione di una norma simile a quella esistente in materia di IVA, per cui quando il debito periodico, da versare all’erario, è inferiore a 25,82 euro, si riporta in aumento per il periodo successivo, magari prevedendo un termine massimo annuale. Ciò porterebbe indubbi vantaggi anche all’Amministrazione finanziaria, che avrebbe certamente un beneficio nel gestire un numero più limitato di controlli.

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