l’analisi

Conservazione delle fatture elettroniche: storia di un obbligo (inventato) diventato business



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Le fatture elettroniche non avrebbero bisogno di essere conservate perché già in possesso di una PA, eppure attorno alla loro conservazione si è creato un enorme business. Perché tra gli addetti ai lavori, la maggior parte non si è posto il problema e altri si sono supinamente adeguati? Esaminiamo le posizioni di coloro che svolgono…

Pubblicato il 7 ago 2023

Salvatore De Benedictis

dottore commercialista



fatturazione elettronica

L’avvio della fattura elettronica ha segnato una svolta nella gestione dei documenti fiscali. Dopo 50 anni dalla sua nascita, finalmente la fattura ha una struttura che è identica per tutti ed interpretabile da qualsiasi applicativo.

L’Agenzia delle Entrate ha progettato un Sistema, definito Sistema di Interscambio, che al suo interno contiene tutte le fatture elettroniche ed i files che rendicontano le trasmissioni telematiche avvenute al suo interno.

I vantaggi per le imprese sono stati rilevanti sotto vari profili:

  • Semplicità ed immediatezza del recapito delle fatture elettroniche al destinatario;
  • Oggettiva interpretazione dei dati in essa contenuti e possibilità di gestione automatizzata da parte degli applicativi;
  • Semplificazione nella tenuta dei libri e registri.

I predetti vantaggi erano stati opportunamente previsti solo da pochi, Agenzia delle Entrate in testa, che si è intestata una campagna lodevole, che ha segnato un cambio di passo che ha coinvolto anche altri ambiti[1].

Il “trauma” iniziale è stato non solo superato brillantemente, ma ha ripagato tutti, anche coloro che non avevano riposto alcuna fiducia nella novità. Però, come accade spesso in Italia, la mentalità burocratica ha sempre la prevalenza, soprattutto quando dalla burocrazia possono derivare vantaggi economici per alcune categorie.

La conservazione dei documenti informatici

Siccome la fattura elettronica è un documento informatico, e la conservazione dei documenti informatici deve avvenire secondo regole tecniche ben precise, pena la invalidità dei documenti, si è creato un enorme business sulla conservazione delle fatture elettroniche, pur trovandoci in presenza di documenti che, in base alle più elementari norme del nostro diritto, non avrebbero bisogno di essere conservati perché già in possesso di una Amministrazione Pubblica. A questa banale considerazione si aggiungono a supporto dell’inesistenza dell’obbligo di conservazione anche le previsioni normative e le regole tecniche predisposte dall’Agenzia delle Entrate.

Se ad oltre quattro anni dall’avvio a regime della fattura elettronica la maggior parte degli addetti non si è posta neppure il problema, dovremmo chiederci la ragione per cui una moltitudine di soggetti si sia supinamente adeguata, sottoponendosi tra l’altro ad oneri organizzativi ed economici considerevoli. Il quadro che emerge è quello di un mercato orientato alla protezione di interessi economici di specifiche imprese, a scapito della efficienza e della economicità dell’intero sistema.

In questo contesto penso sia utile esaminare le posizioni di coloro che svolgono un ruolo di primo piano e che potrebbero contribuire al cambiamento.

Il ruolo del legislatore

Non c’è dubbio come il legislatore[2] sia stato – nella materia qui trattata – lungimirante e preciso. L’Italia, infatti, è stata tra le prima nazioni ad avviare la fatturazione elettronica e questo è stato ed è il nostro fiore all’occhiello in ambito mondiale, non solo per la innovazione ma anche per il pregio progettuale. In ottica semplificativa, il legislatore ha scritto chiaramente che poiché le fatture elettroniche sono memorizzate dall’Agenzia delle Entrate, non c’è alcun bisogno di effettuare la “conservazione”[3]. L’Agenzia delle Entrate ha anche messo in sicurezza il sistema delle fatture elettroniche inserendo tra i campi delle ricevute anche l’HASH di ciascuna fattura. Poiché l’Agenzia delle Entrate detiene e conserva “l’impronta digitale” della fattura elettronica, in qualunque momento è tecnicamente possibile avere la certezza della completezza delle fatture esibite dai contribuenti e della loro conformità all’originale.

Quindi il Legislatore e l’Agenzia delle Entrate, ciascuno secondo i rispettivi ruoli, hanno fatto davvero tanto sia in ottica progettuale che in ottica semplificativa.

La categoria dei contribuenti

La categoria non è uniforme.

I “grandi contribuenti” hanno immediatamente percepito i vantaggi connessi alla introduzione della fattura elettronica, ed hanno completato la integrazione dei loro cicli attivi e passivi con le fatture elettroniche.

Le categorie intermedie si sono affidate al giudizio dei dottori commercialisti che li assistono, e per quanto si vedrà appresso, c’è stato un sostanziale clima di rifiuto misto a tendenze dilatorie. I più piccoli si sono trincerati dietro una difficoltà tecnica che francamente ha avuto del ridicolo, soprattutto in un’era in cui la digitalizzazione è appannaggio anche delle categorie più deboli e meno istruite; ciò ha comportato dei compromessi politici (vedi l’esonero della fatturazione elettronica per i forfettari) che a mio avviso non hanno fatto bene a nessuno, anzi. Adesso si sta cercando di ovviare allargando progressivamente il campo di applicazione ai contribuenti marginali, ma resta sempre una tutela che affonda le sue ragioni più in motivi demagogici che tecnici.

Il ruolo decisivo dell’Agenzia delle Entrate

Il ruolo svolto dall’Agenzia è stato decisivo, sia come supporto al legislatore (la parte regolamentare e tecnica è stata affidata a provvedimenti dell’Agenzia) sia come erogatrice di servizi. Infatti, l’Agenzia non solo ha messo in piedi una piattaforma software e le relative infrastrutture in maniera tecnicamente ineccepibile, ma ha anche offerto servizi che non era compito suo predisporre, ma dei quali ne va dato atto e merito.

L’Agenzia ha infatti, oltre ad aver progettato il Sistema di interscambio, ha anche realizzato software per la emissione della fattura elettronica, per i documenti commerciali, ed ha offerto la conservazione gratuita delle fatture elettroniche, attirandosi la critica delle case produttrici di Software che avevano immaginato di non avere alcun concorrente. Quindi il servizio dell’Agenzia delle Entrate è stato sostanzialmente boicottato[4], e le case produttrici si software hanno incrementato in maniera rilevante i loro ricavi, sperando che l’Agenzia delle Entrate non rendesse la vita troppo semplice ai contribuenti[5].

Le case produttrici di software

Sono certamente i soggetti che ha avuto i maggiori vantaggi.

A fronte di uno sviluppo infrastrutturale certamente rilevante ma comunque limitato, hanno inserito a listino nuovi prodotti per la gestione della c.d. console telematica e della automatizzazione della trasmissione e del prelievo delle fatture elettroniche dal SdI. Alcune case hanno strutturato i listini per i nuovi servizi in proporzione al numero delle fatture elaborate, come se lo sviluppo del software per gli adeguamenti necessari fosse proporzionale al numero dei documenti trattati. In questo modo le case produttrici si sono costituite una rendita che ha fatto crescere i fatturati e gli utili. Insomma, una provvidenza!

L’Agenzia delle Entrate ha anche predisposto un software per la generazione del documento commerciale con una app operante anche su dispositivi mobili, e la funzionalità avrebbe potuto estesa, con modeste modifiche tecniche, a tutti, piccoli e grandi utenti. Invece, come si legge chiaramente nella guida predisposta dall’Agenzia delle Entrate[6], a pagina 7, sotto il capitolo “Quale strumento scegliere? c’è indicato che “per gli operatori che emettevano scontrini mediante un registratore di cassa (per esempio un bar) o ricevute fiscali con una certa ripetitività (per esempio le ricevute compilate con software gestionali), sarà conveniente memorizzare e trasmettere i corrispettivi mediante un registratore telematico”.

Emerge quindi un panorama in cui è evidente come l’Agenzia delle Entrate abbia da un lato progettato e concesso in uso strumenti efficienti ed innovativi, ma dall’altro ne abbia limitato le potenzialità di utilizzo.

I dottori commercialisti

La confusione sorta nel periodo in cui si è iniziato a parlare di obbligo di fatturazione elettronica ha generato da parte dei rappresentanti della categoria posizioni che definire incomprensibili sarebbe un eufemismo. Ricordo anche il “suggerimento” di un avvio scaglionato nel tempo in funzione di limiti dimensionali: proviamo ad immaginare cosa sarebbe successo con una gestione promiscua analogico-digitale delle fatture elettroniche!

La categoria probabilmente ha avuto una reazione che è stata mossa da due cause, che talvolta si sono sommate: da un lato la paura del nuovo, della tecnologia, accompagnata dal convincimento che un Dottore Commercialista non è un informatico, dall’altro il timore che la standardizzazione della fattura avrebbe portato semplificazioni che avrebbero ridotto gli adempimenti formali e, quindi le entrate degli iscritti.

Entrambi gli atteggiamenti sono risultati drammaticamente errati. Il primo perché la categoria ha ripudiato una materia che è diventata appannaggio delle case di Software (non a caso Assosoftware ha accresciuto il livello di collaborazione con ADE), senza considerare che alcuni aspetti tecnico-normativi avrebbero dovuto formare oggetto di attenzione e di dibattito soprattutto con i Dottori Commercialisti. Il secondo perché ha generato una economia “drogata” che ha sfruttato gli adempimenti inutili. Potrei arrivare ad ammettere che chi vende un pacchetto di conservazione di fatture non ha interesse a riconoscere che è un servizio inutile non previsto dalla Legge, ma chi ne fa uso, come noi Dottori Commercialisti, aveva ed ha l’obbligo morale di farlo presente.

Giusto per restare in tema di “complicazioni volontarie” giustificate solo dal profitto (di pochi) continuo a non comprendere la ragione per cui la nostra categoria abbia assunto l’iniziativa con l’Agenzia delle Entrate e con Assosoftware di istituire un tavolo di lavoro per individuare una struttura di database contabile sostitutivo di tutti i libri e registri, oggi tenuti informaticamente ma riprodotti su files pdf non strutturati. La mancanza di uno standard crea disagi che oggi non avrebbero ragione d’esistere: la eterogeneità dei formati con cui vengono prodotti i libri e i registri non ne consente una adeguata e rapida interpretazione informatica; questo è di per sé una complicazione. Una semplificazione in tal senso andrebbe a beneficio anche dell’Agenzia delle Entrate, che in sede di verifica e controllo potrebbe contare su procedure ed accesso ai dati molto più veloci ed efficienti.

Ma esiste una complicazione ancora più rilevante: i professionisti e le aziende sono ostaggio del software di studio o gestionale utilizzato. La migrazione da un software ad un altro è una operazione onerosissima, per non dire impossibile. La effettiva informatizzazione dei libri e registri[7] potrebbe essere una occasione per creare una effettiva concorrenza tra le società produttrici di software, e realizzare il sogno di tutti i professionisti: che il software utilizzato sia una scelta e non una costrizione dovuta alla difficoltà del cambiamento.

Qualcuno potrebbe obiettare: e cosa c’entrano i Dottori Commercialisti in questo?

C’entrano, eccome! innanzitutto la categoria potrebbe pensare di investire su un software comune a tutti, magari acquisendo una software house già esistente[8]. Ci sarebbe un mercato sicuro e redditizio, e anche se si limitasse la redditività per favorire gli investimenti, gli utenti ne avrebbero innegabili vantaggi.

In definitiva, il Dottore Commercialista non deve frenare lo sviluppo tecnologico in ambito contabile e amministrativo, ma deve esserne il promotore, anche nelle sedi istituzionali, abbandonando definitivamente il timore che il “nuovo” faccia perdere lavoro agli iscritti: è vero l’esatto opposto, il lavoro si perde perché il progresso arriva a prescindere dalle nostre resistenza, ma noi perdiamo credibilità.

Conclusioni

Si parla di semplificazione, ma quando l’abbiamo a portata di “norma”, l’economia e gli interessi di parte che ruotano intorno ne neutralizzano – quando non ne ostacolano – gli effetti.

Che il nostro sistema normativo e procedurale sia enormemente appesantito da adempimenti apparentemente inutili è sotto gli occhi di tutti, ma spesso sfuggono le ragioni di ciò. Ecco che quanto sopra esposto fornisce una utile chiave di lettura, e se esiste qualche giustificazione al mantenimento dello status quo per i portatori di interessi economici specifici, altrettanto non può dirsi per coloro che dovrebbero tutelare gli interessi dei loro clienti e, indirettamente, dell’economia nel suo complesso.

Se le imprese sapessero quanti soldi e tempo hanno sprecato per la conservazione delle fatture elettroniche, penso che molti rappresentanti di categoria avrebbero grosse difficoltà nel giustificare la loro inerzia. Vero è che il provvedimento normativo che ho citato prevede anche la emanazione di provvedimenti regolamentari del Direttore dell’Agenzia delle Entrate (che da oltre cinque anni sono ancora nel cassetto, forse …) ma è anche vero che la inesistenza dell’obbligo di conservazione delle fatture elettroniche è sancita per legge, per cui le norme regolamentari non avrebbero inciso sulla decorrenza dell’esonero.

Quanto sopra evidenziato dimostra – purtroppo – come ogni tanto la complicazione sia voluta per produrre business selettivi, per cui parlare di semplificazione significa prendere il problema dal lato sbagliato.

Note


[1] Un esempio su tutti la digitalizzazione dei processi relativi agli scontrini fiscali.

[2] Intendo sia il parlamento che emana le leggi sia le Entità che emanano provvedimenti regolamentari, aventi forza di legge, come l’Agenzia delle Entrate.

[3] Articolo 1, comma 6-bis, primo periodo, decreto legislativo 127/2015: “Gli obblighi di conservazione previsti dall’articolo 3 del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 17 giugno 2014, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 146 del 26 giugno 2014, si intendono soddisfatti per tutte le fatture elettroniche nonché per tutti i documenti informatici trasmessi attraverso il Sistema di Interscambio di cui all’articolo 1, comma 211, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, e memorizzati dall’Agenzia delle entrate”.

[4] Molte società di software hanno immesso sul mercato un pacchetto inscindibile che va dalla creazione/ gestione delle fatture elettroniche alla loro conservazione.

[5] Essere malpensanti è peccato, ma non mi toglie nessuno dalla testa che la previsione iniziale – oggi superata – che per mandare in conservazione le fatture elettroniche emessa in data precedente alla adesione al servizio fosse necessario che i contribuenti le copiassero a manina dentro l’applicativo di ADE mi è sembrato di una violenza inaudita.

[6] https://www.agenziaentrate.gov.it/portale/documents/20143/233439/Guida_ScontrinoElett_Febb21_Completa.pdf/6d527c84-b0df-23c5-0128-c6f23a732d92

[7] La stampa pdf produce solo nominalmente un documento informatico, in quanto i dati non sono strutturati e, quindi, sono difficilmente intellegibili da parte degli applicativi

[8] Gli strumenti giuridici potrebbero essere i più svariati, solo per citare un esempio potremmo pensare all’intervento indiretto della Cassa di Previdenza, che farebbe un investimento certamente remunerativo,

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