In Francia la fatturazione elettronica verrà resa obbligatoria per tutte le transazioni soggette a TVA (l’Iva francese) a partire dall’anno 2023 o al più tardi dal 1 gennaio 2025. Già a partire dal 2020, tutte le società titolari di un contratto pubblico dovranno inviare le loro fatture in formato elettronico ai propri clienti del settore pubblico, dato che alcuni di esse sono già soggette a tale obbligo, in particolare le grandi imprese con oltre 5.000 dipendenti, le medie imprese (da 250 a 5.000 dipendenti) e, dal primo gennaio 2019, le PMI (da 10 a 249 dipendenti). Approfondiamo in che modo l’innovazione sarà affrontata e cosa cambierà nei rapporti commerciali con l’Italia.
Le dichiarazioni precompilate
Analogamente a quanto avvenuto in Italia, nell’introduzione dell’obbligo ha fatto giustamente da apripista la Pubblica Amministrazione, ma a differenza di quanto avvenuto da noi, il processo sarà graduale “secondo modalità e termini che saranno fissati per decreto in funzione delle dimensioni e del settore di attività dell’impresa”; a tale fine è previsto che un rapporto dovrà essere fatto pervenire al Parlamento dal Governo francese in merito alle modalità di messa in opera del processo, subordinato fin da ora all’autorizzazione preventiva del Consiglio dell’Unione Europea. Particolare assolutamente non secondario posto in evidenza, è che fin da ora è prevista l’informatizzazione delle dichiarazioni TVA, che prenderanno la forma di dichiarazioni precompilate in base ai dati trasmessi, che verranno messe a disposizione dei soggetti interessati; la possibilità di verifica dei dati e di controllo incrociato tra cedente/prestatore e cessionario/committente viene ovviamente citata, ma rimane in una posizione più defilata rispetto alla menzione del nuovo servizio; per finire nell’articolo non si accenna minimamente a sanzioni di alcun tipo.
Impossibile non fare confronti con la modalità con cui è stata introdotta la fattura elettronica B2B in Italia, dove sin dall’inizio e prima di tutto è stato posto in evidenza la valenza ispettiva e sanzionatoria del provvedimento, relegando in secondo piano alcune timide semplificazioni nella selva di adempimenti in cui le amministrazioni delle nostre aziende devono cercare di sopravvivere. Da subito, anche se alle origini l’adozione era opzionale, la FE B2B è stata proposta ai titolari di partita IVA come lo strumento di controllo definitivo per porre fine o comunque arginare il fenomeno dell’elusione e dell’evasione dei versamenti dell’imposta sul valore aggiunto; la situazione è stata ulteriormente inasprita da una stratificazione di leggi, decreti, circolari dell’AdE fino a pochi giorni dalla prima data di entrata in vigore prevista per il 1 gennaio 2017, che ha avuto il prevedibilissimo effetto di fare desistere dall’intenzione anche i più interessati e volenterosi. A tutto questo si è aggiunto nel tempo (anche in periodi molto recenti) una proliferazione di casistiche individuate come sanzionabili anche quando in concreto non portavano a nessun danno erariale come conseguenza, oppure a diatribe infinite sulle regole di attribuzione della data documento, come se non esistesse già un DPR633/72 che opportunamente integrato avrebbe potuto reggere benissimo anche l’utilizzo della nuova tipologia di documento.
La scarsezza e l’inadeguatezza degli strumenti informatici messi a disposizione dei titolari di partita IVA (soprattutto i piccoli) che non ha permesso di renderli autosufficienti sia nell’atto della creazione che della conservazione dei documenti, ha avuto la deprecabile conseguenza di vedere “fiorire” un mercato improvvisato e spesso deleterio di consulenti e servizi, che in un certo senso ha rovinato l’immagine anche degli operatori più seri che hanno investito risorse nella formazione e nello sviluppo di strumenti informatici realmente efficaci. L’autorizzazione del Consiglio dell’Unione europea è stata letteralmente strappata con i denti unicamente evidenziando quanto avrebbe potuto essere utile lo strumento fattura elettronica B2B nella lotta all’evasione, ancora oggi molto raramente sento parlare di fatturazione elettronica in abbinamento al concetto di servizio.
La fattura elettronica europea
Questi aspetti negativi, nulla tolgono al fatto che per una volta abbiamo anticipato un percorso che è innegabilmente sempre più obbligato, se si vogliono creare le basi per una razionalizzazione e semplificazione della parte burocratica connessa alle transazioni commerciali in ambito nazionale, ma a tendere, anche e soprattutto a livello europeo. Ad oggi la dimensione europea di questo documento è supportata dal fatto che dal 18 Aprile 2019 è in vigore per le autorità governative centrali lo standard EN 16931, introdotto dal legislatore europeo con la direttiva 2014/55/UE per la fatturazione elettronica negli appalti pubblici. Si tratta di uno standard che specifica il contenuto essenziale della fattura elettronica per fare in modo che possa essere accettata dalle pubbliche amministrazioni di tutti gli Stati membri dell’UE; l’Italia in questo caso ha fissato la data del 18 Aprile 2020 come termine ultimo per il recepimento di questa direttiva.
L’interoperabilità è garantita dal fatto che a differenza dello schema formato xml in uso all’interno del territorio italiano, quello sopra citato è di fatto uno standard basato su regole di sintassi internazionali già utilizzati quali UBL e CII: a questo punto l’auspicio che tale interoperabilità sia esteso anche nel privato (anche con eventuali integrazioni peraltro già facenti parte delle sintassi UBL e CII) è condizione essenziale per creare effettivamente una rete di scambio dati globale che massimizzi i benefici della digitalizzazione. Non rimane che confidare nel fatto che progressivamente, gli stati membri UE facciano propria questa grande opportunità e adottino da subito lo standard di interoperabilità anche al loro interno, a partire dalla Francia ovviamente.