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Fattura elettronica b2b, la semplificazione che serve alle Pmi verso l’obbligo 2019

Si levano le prime voci di allarme e dissenso verso l’obbligo del primo gennaio 2019 sulla fattura elettronica b2b. Forse è mancato un dibattito pubblico aperto. In linea di massima la soluzione verso cui alcuni soggetti stanno spingendo è uno schema di fatturazione elettronica semplificato per le pmi

Pubblicato il 15 Mar 2018

Stefano Failla

commercialista

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La CNA, Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa, ha emesso un comunicato stampa il 9 marzo dal titolo “Fatturazione Elettronica. Pesanti rischi per le piccole imprese. Ne va rinviata l’introduzione” in cui si legge che, dai lavori di una Commissione nazionale di 19 esperti costituita per studiare i problemi che derivano dalla introduzione della fatturazione elettronica, è emerso che:

l’entrata in vigore della fatturazione elettronica obbligatoria per tutte le imprese … rischia di arrecare un grave danno al sistema produttivo, in particolare alle imprese di minore dimensione. Per questo ne è indispensabile un rinvio.

La proposta di CNA, di cui si legge nel comunicato, è innanzitutto quella di introdurre un avvio graduale della fatturazione elettronica per consentire un’adeguata sperimentazione. Poi viene chiesto di ridurre al minino le informazioni obbligatorie, oltre che di trasmettere le fatture anche agli intermediari e di fornire un servizio gratuito di archiviazione elettronica valido anche ai fini civilistici. Qualche giorno prima il sito Agenda Digitale ha pubblicato un articolo dal titolo “Fatturazione elettronica B2b, come farla funzionare: le idee delle filiere” che affronta il tema della fatturazione elettronica dal punto di vista delle numerose aziende, appartenenti appunto a delle “filiere” quali l’elettronica al consumo, il materiale elettronico, il largo consumo o il farmaceutico , che già oggi adottano modelli di fatturazione elettronica con dati strutturati (EDI o EDI xml) che ovviamente non transitano dallo SDI. L’autorevole sito afferma che il nuovo obbligo non deve “sovvertire drammaticamente” quanto già oggi funziona in modo efficiente e suggerisce sia l’introduzione di un concetto di “core invoice” che contenga solo l’insieme minimo di informazioni fiscalmente rilevanti, sia un completo cambio di paradigma in cui lo SDI non funga più da “postino” per la trasmissione delle fatture ai clienti ma si limiti ad assegnare un codice univoco di protocollazione nazionale a tutte le fatture elettroniche emesse in ambito B2b.

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Un dibattito pubblico aperto

Quelle riportate sono due delle voci di allarme e di dissenso, critico ma costruttivo, che fortunatamente stanno emergendo, in un panorama generale di commentatori ed esperti che forse si limitano più a fornire spiegazioni e interpretazioni sull’applicazione tecnica della normativa che non a metterne in discussione l’impianto complessivo. Viene da domandarsi cosa sia accaduto durante il percorso di introduzione della fatturazione elettronica avviato anni fa, in linea con le impostazioni e la normativa europea, per giungere all’impianto normativo attuale.

A fronte di un modello, quello europeo, di graduale introduzione della fattura elettronica basato su scelte volontarie degli operatori economici, il nostro paese, che non è sicuramente ai primi posti in Europa per diffusione di internet e cultura digitale, ed in cui ci sono milioni di micro imprese non strutturate, ha deciso di introdurre in un solo colpo i seguenti elementi:

  • obbligatorietà della fatturazione elettronica per tutti dal 2019;
  • imposizione di un formato elettronico strutturato unico in xml;
  • adozione del modello di clearance per il controllo dei dati IVA;
  • imposizione del transito delle fatture da un “postino” centrale.

Ognuno di questi elementi meriterebbe un commento a sé, ma il punto è un altro: su quali basi si è arrivati a questa decisione legislativa? Non è una domanda retorica e non ne conosco la risposta. Da semplice osservatore degli accadimenti, può darsi che mi sia sfuggito qualche passaggio fondamentale della questione. Ma mi domando se e quali categorie industriali, professionali o comunque rappresentative di competenze in campo amministrativo, informatico e gestionale sono state coinvolte e ascoltate dal Governo prima di definire gli schemi generali ed il percorso normativo da impostare. Se c’è stato un dibattito pubblico aperto, che con tutta evidenza mi sono perso, come è possibile che nessuno abbia fatto presente che per risolvere il problema dei controlli IVA in tempo reale o quasi (questo è di fatto il modello di clearance) si sta imponendo una soluzione che, nella migliore delle ipotesi, sarà molto onerosa per tutto il sistema?

Un’ipotesi concreta di soluzione alternativa

Tra le proposte di CNA e di Agenda Digitale mi hanno colpito due richieste in particolare: la prima, che accomuna entrambe le proposte, è quella di riduzione al minimo dei dati fattura richiesti da SDI; mentre la seconda prevede che lo Stato si limiti a protocollare le fatture senza spedirle al destinatario. Entrambe le richieste sono corrette e condivisibili ma se non inquadrate in un contesto di progetto più generale, che sia win-win per lo stato e per le aziende, rischiano di ridursi ad una mera lamentela per i troppi adempimenti. Mentre invece queste richieste sono a mio avviso fondate su solide logiche se solo aggiungiamo un terzo “tassello” al nuovo scenario.

Questo terzo elemento che, assieme ai concetti di “core invoice” e di protocollazione, potrebbe dare luogo ad uno schema di fatturazione elettronica molto più semplice da adottare e con identici risultati; è un semplice software che, se ne avessi la possibilità, proporrei al nostro Governo di realizzare.

Ma andiamo con ordine, per non banalizzare la soluzione che comunque deve essere contestualizzata in un minimo ragionamento. E per farlo occorre innanzitutto avere ben presente che i destinatari delle misure relative alla fatturazione elettronica sono molto diversi tra loro. Non possiamo fare un elenco di tutte i diversi “cluster” di destinatari delle norme, ma può essere sufficiente pensare per un attimo a come può emettere una fattura un lavoratore autonomo (medico, avvocato, web designer, ecc.) una micro impresa (commerciante, artigiano, piccola industria) o un’azienda di medie e grandi dimensioni (produzione, servizi o commercio).

Come fanno tutti questi soggetti a fatturare oggi? Probabilmente i metodi di fatturazione utilizzati spaziano dalla fattura scritta a mano ai sistemi più complessi ed automatizzati che si possa immaginare. Abbiamo due estremi della popolazione che, a mio avviso, hanno uguali diritti di tutela: chi si trova dal lato più basso della scala tecnologica deve essere aiutato a migliorare, mentre chi invece ha già raggiunto livello di efficienza molto alti (come ad esempio chi usa sistemi di EDI) deve subire il minore impatto possibile dalle nuove regole.

A parità di diritto di tutela, sono gli operatori più piccoli, più numerosi e tecnologicamente più deboli quelli a cui indirizzare per primi l’attenzione. E la situazione generale non è, a mio avviso, così negativa come si pensa.

Focus sui sistemi di fatturazione esistenti

Ipotizziamo, senza essere troppo lontani dal vero, che il caso dell’emissione manuale di fatture cartacee sia trascurabile ed estremamente marginale. Ed anche che la fatturazione con ordinari strumenti di office automation (word o excel, per intenderci) possa essere abbandonata con uno sforzo (anche economico) minino da parte di chi ancora usa questi sistemi.

Tolti questi casi estremi al di sotto di un livello tecnologico minimo, possiamo affermare che tutti i contribuenti utilizzano per fatturare un software che memorizza i dati in un database, locale o in cloud.

È qui che lo Stato dovrebbe intervenire per la raccolta dati di suo interesse.

Facendo un investimento unico a livello nazionale, servirebbe realizzare un software open source da installare su ciascun sistema di fatturazione e con cui fare la mappatura dei soli dati minimi di fattura previsti dalla normativa.

È esattamente quello che stanno facendo le software house, collegando via ODBC, JDBC, Web Service o altro sistema i dati delle tabelle di fatturazione ad un programma di creazione del file xml che vuole la pubblica amministrazione. Quest’onere dovrebbe essere assolto tramite un tool gratuito messo a disposizione dallo Stato. Al contribuente farebbe capo l’onere di installazione e configurazione del tool, sostenendo il costo, eventualmente incentivato, di un piccolo intervento tecnico informatico.

Questo tool di trasformazione dei dati fattura in un unico formato standard xml deve avere poi una funzione di collegamento e trasmissione delle informazioni al sistema centrale. Ma si tratterebbe di trasferire i soli dati obbligatori di legge (“core invoice” fiscale) in quanto allo Stato non serve altro.

Senza scendere in dettagli tecnici, l’autenticità della fattura sarebbe garantita dal tool stesso, le cui chiavi di autenticazione devono essere registrate in abbinamento al contribuente. Mentre l’integrità dei dati potrebbe ben essere assicurata dal sigillo dell’Agenzia delle Entrate applicato al tracciato xml trasmesso.

Il processo si dovrebbe concludere, come avviene in altri paesi, soprattutto dell’America Latina, dove è in vigore da anni il modello di clearance, con l’attribuzione da parte del sistema centrale statale di un protocollo univoco al documento emesso, che ne attesta l’esistenza e ne garantisce l’univocità.

L’attribuzione del protocollo unico alla fattura esclude la necessità che lo Stato si preoccupi di consegnare la fattura al cliente. Il documento (o meglio i dati xml del documento fattura) creato dal contribuente e identificato con il protocollo di validità fiscale verrà inviato al cliente direttamente dal fornitore (senza utilizzo del “postino” statale).

Sul fronte della fatturazione passiva, il cliente riceverà le fatture direttamente dal suo fornitore con qualsiasi mezzo. Si tratta ovviamente di fatture elettroniche certificate, ma che potranno essere trasmesse via email, ftp, web services, EDI oppure … persino stampate su carta.

Il supporto di visualizzazione delle fatture non ha alcuna importanza, purché vi sia corrispondenza con i dati prodotti all’origine e certificati con il protocollo unico. Nel momento in cui il cliente contabilizza ai fini IVA la fattura ricevuta, il software open source che avrà a sua volta installato rileverà una fattura passiva e trasmetterà i dati xml ed il protocollo unico al sistema centrale statale, che procederà ad effettuare i controlli di “clearance”.

La fase di on-boarding e il change management

Sempre prendendo esempio da altre nazioni (o anche semplicemente prendendo esempio da come lavoriamo tutti i giorni in qualsiasi progetto aziendale) non si può non prevedere un piano di roll-out delle nuove procedure di fatturazione che sia da supporto e monitoraggio alla gestione del cambiamento.

Nello scenario ipotizzato come soluzione alternativa, il piano di roll-out potrebbe essere molto semplice: ogni azienda che ha installato il software open source gratuito per la creazione dei file xml e la trasmissione dati, dovrà effettuare dei test assistiti prima di essere ammessa alla piena operatività in ambiente di produzione.

Procedendo in questo modo sarebbe anche agevole prevedere un periodo di funzionamento “misto” della fatturazione elettronica, con un numero crescente di imprese abilitate ad ottenere il protocollo unico ed un numero decrescente di imprese che continuerà ad emettere e/o ricevere fatture non ancora in formato xml.

Soluzione di fantasia o proposta realizzabile?

Probabilmente la soluzione descritta è solo una fantasiosa ipotesi di chi, come me, non conosce bene tutte le logiche o i vincoli che stanno alla base delle decisioni del nostro legislatore. Naturalmente non ho alcuna pretesa di autorevolezza per tentare di (ri)definire il modello nazionale di fatturazione elettronica. Ma forse il mio ardire può fornire l’evidenza che metodi e modelli alternativi, rispetto all’attuale schema xml + SDI con approccio tipo “big bang”, possono essere ancora pensati e magari introdotti con alcune modifiche legislative.

I benefici dell’automazione sono evidenti a tutti e siamo decisamente abituati a fare passi avanti sulla spinta degli obblighi normativi. Ma in questo caso il modello tutto italiano adottato per la fatturazione elettronica B2B, in un contesto europeo molto dinamico ed in fase di continuo cambiamento, corre il rischio di essere adottato solo ed esclusivamente in ragione di un ulteriore, gravoso adempimento di legge e non di un concreto passaggio verso la maggiore efficienza amministrativa che il digitale consente.

Se siamo ancora in tempo, invece di pensare in termini di proroghe che non risolvono alla radice il problema, potrebbe essere utile fare qualche riflessione più approfondita sul modello generale. Magari, perché no, proprio partendo dallo schema proposto.

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