La bigamia della fattura elettronica. Potrebbe essere questa la sintesi più vera di un matrimonio, anzi due, che rende giustizia alla reale portata dell’impatto provocato dalla fattura elettronica sul sistema Paese. Quali sono i matrimoni in questione, quelli che “s’hanno da fare” – anzi, sono già fatti? Il primo troppo spesso viene citato come il motivo per cui si è introdotto l’obbligo della fattura elettronica: il recupero di gettito IVA sommerso. Obiettivo corretto da perseguire ma non esaustivo in termini di impatti del provvedimento. Infatti, anche il secondo matrimonio, magari immediatamente meno evidente, ha una sua dignità e una portata probabilmente ancora più pesante a livello di effetti generati: la competitività del sistema Paese e delle sue singole componenti produttive, le imprese. La doppia natura – fiscale e organizzativa – aiuterà il nostro Paese recuperare non solo posizioni nelle classifiche internazionali (NdA: indicatori DESI elaborati dalla UE) ma anche una credibilità agli occhi della comunità internazionale, testimoniando capacità di viaggiare ad alti livelli su progetti ambiziosi di sviluppo e controllo.
La fattura elettronica come volano per lo sviluppo
È proprio sulla componente organizzativa – riprendo a tale proposito un mio vecchio adagio “la fattura elettronica non è un documento fiscale, ma un momento organizzativo” – che voglio concentrare l’attenzione, anche per rendere giustizia a un provvedimento che non è solo ispettivo ma, soprattutto, un volano per lo sviluppo.
Fa certamente più clamore parlare del maggiore gettito di alcune imposte o del blocco di operazioni fraudolente – anche perché più facilmente tangibili e comunicabili – rispetto ai casi, monitorabili con più difficoltà, di aziende che hanno ridotto la durata di alcuni processi trasversali – il ciclo dell’ordine ne è un esempio virtuoso – migliorato la velocità di risposta ai clienti, aumentato la capacità di classificare i fornitori con indicatori di prestazione, migliorato la gestione della tesoreria attraverso riconciliazioni più veloci. In sostanza: le imprese diventano più competitive sui loro mercati di riferimento. La loro somma porta all’intero Paese, armonicamente inserito all’interno di un ecosistema internazionale che, nelle sue espressioni più avanzate, sta investendo su alcuni pilastri ben individuati (NdA: a livello europeo le Agende Digitali nazionali ne sono una prima dimostrazione).
Le persone, un investimento prioritario
La fattura elettronica è un tassello importante di un mosaico più ampio (es.: processi giuridici telematici, NSO – Nodo di Smistamento Ordini per la sanità pubblica, identità digitale…), pensato e in corso di attuazione per dare una scossa al Paese che, ancora, innova prevalentemente grazie alla cogenza di alcuni provvedimenti legislativi. Come dimostrarlo? È sufficiente guardare il posizionamento dell’Italia riguardo al Capitale Umano rilevato dal DESI in ambito europeo. Dal 2014 a oggi la distanza tra l’Italia e la media europea peggiora del 26% con la perdita di una posizione – ventiseiesimi su 28 – nel 2019 rispetto all’anno precedente. Gli strumenti sono importanti e fondamentali per abilitare la digitalizzazione ma non dobbiamo dimenticare che investire sulla crescita delle persone significa creare le basi per creare una cultura digitale, in grado di far comprendere la capacità delle tecnologie di creare valore non solo in termini di efficienza ma anche di sviluppo di conoscenza e di nuovi servizi. Senza i piloti rischiamo di avere parcheggiate tante formula 1 ai box o di farle correre su terreni inadeguati, sfruttando marginalmente il loro potenziale.
La formazione troppo spesso viene confusa con l’addestramento all’uso degli strumenti. Le aule dovrebbero essere più popolate di manager e imprenditori; da loro devono arrivare gli stimoli per innovare processi e prodotti in coerenza con le strategie. Lì si forma la cultura digitale, da lì provengono le spinte per aprire progetti di innovazione. L’operatività aiuta a lavorare soprattutto sull’efficienza ma non si può lavorare all’infinito sull’efficienza. A un certo punto il costo marginale del miglioramento sarà superiore al ricavo marginale che ne deriva.
L’impatto della fattura elettronica
La fattura elettronica B2b, a poco meno di un anno dall’obbligo, quali effetti ha provocato nella gestione amministrativa? Visto che i benefici sul ciclo attivo sono di minor entità, perché i documenti sono nativi del gestionale in uso, vale la pena concentrarsi sulla gestione del ciclo passivo, più problematico perché deve accogliere documenti prodotti da altri soggetti, ciascuno con propri formati e descrizioni. La Ricerca condotta su un campione significativo di aziende di grandi e piccole-medie dimensioni evidenzia che il 53% dichiara che, a seguito della fattura elettronica, il ciclo passivo ne ha beneficiato, soprattutto in termini di velocità nella registrazione delle fatture (33% vs 31%), snellimento nelle attività di riconciliazione con altra documentazione (21% per entrambe le categorie), approvazione dei pagamenti da effettuare (20% vs 14%).
Il 31% delle aziende intervistate non rivela alcun tipo di impatto, mentre il 16% parla di criticità che hanno creato degli appesantimenti. Queste ultime appartengono, prevalentemente, a settori (es.: farmaceutico, largo consumo, materiale elettrico…) che già da anni hanno sviluppato soluzioni per l’invio e la ricezione di documenti elettronici (fatture, ordini, documenti di trasporto), con livelli di dettaglio sulle informazioni più elevati di quanto oggi non sia disponibile con il formato XML PA. La necessità di tenere ‘un doppio binario’ di trasmissione delle fatture non può che generare inefficienza e appesantimento. Ma già le integrazioni previste sul formato XML PA e la futura adozione del formato europeo, più ricco in termini di informazioni gestite, comporteranno la diminuzione del gap esistente.
Ampi margini di miglioramento esistono, invece, nell’area della riconciliazione dei pagamenti, anello finale del ciclo dell’ordine. Il problema non risiede, però, all’interno elle singole realtà aziendali ma nell’ecosistema di appartenenza. La tempestività e l’analiticità delle informazioni provenienti dal sistema bancario può migliorare, elevando ulteriormente la possibilità di accorciare i tempi nella gestione amministrativa dei documenti. Oggi, solamente il 19% delle aziende dispone di un processo molto automatizzato di riconciliazione degli incassi. Per il 45%, invece, è parzialmente automatizzato, mentre per il 21% e il 15% il processo è, rispettivamente, poco automatizzato o ancora del tutto manuale. In generale, il 20% delle imprese impiega più di 3 giorni al mese per riconciliare gli incassi. Un’enormità. Quasi due mesi lavorativi in un anno. Ma non finisce qui. In ambito amministrativo anche il controllo e l’abbinamento dei giustificativi relativi alle note spese è un’area entro cui recuperare efficienza e tempo-uomo. Innanzi tutto, tra le grandi imprese ben il 18% non è interessata ad automatizzare la loro gestione. Solamente il 22% ha già attivato il controllo automatizzato o molto automatizzato, mentre il 35% ha in corso l’implementazione e il 25% dimostra solamente interesse. La situazione nelle PMI è, invece, meno preoccupante: la ridotta dimensione produce un fenomeno mediamente più contenuto delle proporzioni, anche se il 13% di aziende con il processo gestito automaticamente è, comunque, una percentuale bassa.
Le priorità per il futuro
Ancora una volta emerge la necessità di guardare oltre l’evidente e oltre gli adempimenti. La fattura elettronica, sempre più, si propone come l’innesco per un percorso virtuoso di ricerca continua dell’efficienza che, però, non può fermarsi lì. Deve, infatti, proseguire per stimolare l’incremento della conoscenza – attraverso l’analisi di un patrimonio informativo elaborabile costituito dai dati del corpo della fattura – la progettazione di nuovi servizi, la condivisione della conoscenza per migliorare le prestazioni di filiera o di parti della stessa, grazie ad aziende che condividono flussi informativi standardizzati e in grado di migliorare i prodotti, ridurre le difettosità, velocizzare il time-to-market.
Quali potrebbero essere le aree di attenzione da parte del sistema Paese? Quelle su cui dare una priorità di intervento, almeno nell’ambito della supply chain? Quattro temi rappresentano sicuramente una priorità:
- aumento delle competenze digitali per poter pilotare anche dall’interno delle strutture organizzative il cambiamento;
- digitalizzazione più spinta delle supply chain attraverso l’estensione digitale non solo alle fatture ma agli ordini, ai documenti di trasporto ai pagamenti e a più ampie fasce di soggetti economici;
- stimolo alla cashless society, che con sé porta più efficienza, sicurezza, trasparenza con benefici effetti anche sul controllo dell’evasione e, di conseguenza, sulla pressione fiscale;
- valorizzazione, nel rispetto delle normative, dell’utilizzo dei dati per migliorare la qualità e la natura dei servizi, la conoscenza interna e nei rapporti relazionali.