A sei mesi dall’introduzione dell’obbligo della fattura elettronica, è tempo di un bilancio per valutare le semplificazioni apportate da questa innovazione e le criticità ancora da risolvere.
Chiaro però che l’avvio dell’obbligo non va visto come rimedio o come causa di problemi, ma come la naturale evoluzione del sistema di gestione documentale la cui origine “analogica” si poneva in stridente contrasto con la realtà quotidiana. Le fatture per buona parte erano nella quasi totalità predisposte con sistemi informatici, più o meno evoluti, riprodotte su carta, e i cui dati erano successivamente reimmessi nei sistemi contabili informatici, ritornando così al formato digitale originario.
La tensione “sociale” insorta a seguito della introduzione dell’obbligo ha determinato modifiche normative che hanno inciso – non sempre in meglio – sull’architettura del progetto iniziale. Per poter fare un bilancio verranno esaminati alcuni aspetti applicativi che hanno generato semplificazioni ma anche criticità, con una chiave di lettura volta alla esigenza di standardizzazione e di semplificazione.
La normativa
La complessa tecnologia informatica che sta alla base del sistema di gestione e consegna delle fatture elettroniche, e il complicato sistema normativo sottostante, hanno generato criticità applicative che devono essere considerate il necessario prezzo che ogni innovazione porta con sé. Il progetto della fattura elettronica in ambito B2B, avviato con il Decreto legislativo 127/2015, ha avuto una gestazione laboriosa, di cui è stato testimone il Forum per la Fattura Elettronica promosso dall’Agenzia delle Entrate, con la partecipazione del MEF, in cui gli stakeholders sono state chiamati a dare il loro contributo, con risultati apprezzabili[1].
Il progetto iniziale aveva l’obiettivo di creare un grande mosaico formato dalle fatture elettroniche di tutti i contribuenti, in modo da rilevare in tempo reale eventuali discrasie o sintomi di abusi: una medaglia in cui componendo la prima faccia (ciclo attivo, fatture emesse) si sarebbe generata contestualmente l’altra faccia (ciclo passivo, fatture ricevute). Ciò avrebbe avuto come immediata conseguenza per i contribuenti la completa digitalizzazione dei processi di registrazione delle fatture elettroniche e per l’Agenzia delle Entrate la immediata disponibilità un database completo. Purtroppo l’attenzione non è stata rivolta al progetto nella sua unitarietà, e le “parti sociali” hanno concentrato sul legislatore un forte pressing con l’obiettivo di traslare in avanti la decorrenza dell’obbligo, con l’illusione che ciò riuscisse nel complesso ad attenuarne l’impatto.
Qualcuno si è spinto al punto di chiedere un avvio scaglionato in base al volume d’affari, proposte che oggi sembrano assurde se solo si osserva come l’intervento – direi forzato – del legislatore, con l’ampliamento della platea dei contribuenti forfettari e con l’esonero dagli obblighi di fatturazione elettronica, abbia solo generato confusione. Oggi le principali difficoltà applicative sono state superate, restano solo gli strascichi di un disallineamento tra le regole della fattura elettronica e le norme finalizzate alla tutela dei dati personali (privacy). Ma non possiamo nascondere le difficoltà dovute alla difficile convivenza di procedure differenziate in base alla tipologia del documento, digitale o analogico, e dall’innaturale innesto della fatturazione elettronica in processi aziendali che, anche se informatizzati, non erano immediatamente integrati o integrabili[2].
Fattura elettronica, le semplificazioni
La fatturazione elettronica generalizzata avrebbe di fatto reso superflua la tenuta dei registri IVA. Di ciò il legislatore ne ha avuto piena consapevolezza ed ha inserito nell’articolo 1 del Decreto legislativo 127/2015 il comma 3-ter prevedendo che “I soggetti obbligati alla comunicazione dei dati delle fatture emesse e ricevute ai sensi del comma 3 del presente articolo sono esonerati dall’obbligo di annotazione in apposito registro, di cui agli articoli 23 e 25 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.” La predetta modifica risale all’epoca in cui il legislatore riteneva che il progetto di fatturazione elettronica coinvolgesse tutti i soggetti titolari di partita IVA. La recente “evoluzione” normativa non ha eliminato l’esonero, ma ne ha solo ridimensionato la sua portata, subordinandola alla adozione di qualche accorgimento.
Se le fatture fossero esclusivamente elettroniche, l’applicazione dell’esonero dalla tenuta dei registri IVA sarebbe in re ipsa: i registri altro non sarebbero se non l’insieme dei dati contenuti nelle fatture elettroniche, immediatamente comprensibili all’Amministrazione finanziaria in quanto predisposti secondo le sue specifiche tecniche. Ma così non è, e la condizione per mantenere l’applicazione della norma è la adozione di registri IVA sezionali per le fatture analogiche e, più in generale, per le operazioni che, non transitando dal sistema di Interscambio o essendo previste ad altri fini[3], non rientrano nel perimetro dell’articolo 1, comma 3-ter sopra citato. In questo modo si potrebbe quindi limitare la stampa – salvo quanto appresso detto – ai soli registri IVA sezionali relativi a fatture e documenti non elettronici.
Occorre anche tenere presente che il comma 4-quater del D.L. 357/1994, introdotto dalla Legge 148/2017, ha previsto che “la tenuta dei registri di cui agli articoli 23 e 25 (IVA acquisti e vendite) del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, con sistemi elettronici é, in ogni caso, considerata regolare in difetto di trascrizione su supporti cartacei nei termini di legge, se in sede di accesso, ispezione o verifica gli stessi risultano aggiornati sui predetti sistemi elettronici e vengono stampati a seguito della richiesta avanzata dagli organi procedenti ed in loro presenza”. Il D.L. 23 ottobre 2018, n. 119, convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2018, n. 136 ha disposto (con l’art. 17, comma 1-bis) che “A decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto (ossia dal 19 dicembre 2018), la deroga di cui all’articolo 7, comma 4-quater, del decreto-legge 10 giugno 1994, n. 357, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1994, n. 489, si applica anche ai registri di cui all’articolo 24, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (registro dei corrispettivi)”. C’è da chiedersi tuttavia la coerenza di questo esonero – peraltro più che giustificato – col contesto normativo che da anni tende ad indurre i contribuenti alla dematerializzazione di tutti i libri, registri e documenti e la conservazione ai sensi del DMEF 17/6/2014.
Esterometro: chi emette fatture elettroniche è esonerato
Chi emette fatture elettroniche anche per la cessione di beni a soggetti non residenti in Italia, pur non essendovi obbligato, è esonerato dall’obbligo di trasmissione mensile dei dati (esterometro), così come previsto dall’art.1, commma 3-bis, del Decreto Legislativo 127/2015, regolamentato dal provvedimento n. 89757 del 30 aprile 2018 del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, punto 9 (Trasmissione telematica dei dati delle operazioni transfrontaliere). Analoga esenzione vige per le operazioni di esportazione per le quali è stata emessa bolletta doganale.
In questa ipotesi, il sistema di Interscambio non può svolgere le funzioni di postino nei confronti del cessionario, e lo scopo della emissione della fattura elettronica è appunto quello di far confluire i dati al Sistema di Interscambio ed evitare l’adempimento mensile. La fattura dovrà quindi essere recapitata al cliente con le modalità tradizionali (brevi manu, posta). La fattura elettronica emessa ad un soggetto estero deve avere le seguenti caratteristiche:
- codice destinatario: XXXXXXX
- nessuna indicazione del codice fiscale;
- cap: 00000;
- campo CodicePaese: la sigla del paese di residenza del cessionario/committente;
- campo idpartitaIVA: l’identificativo IVA del cliente, oppure per le fatture emesse a soggetti privati, valori numerici convenzionali (per esempio zeri).
L’autofattura nel caso di omissione del cedente/prestatore
Il comma 8 dell’art. 6 del Decreto legislativo 471/1997, prevede che chi “abbia acquistato beni o servizi senza che sia stata emessa fattura nei termini di legge o con emissione di fattura irregolare da parte dell’altro contraente, è punito, salva la responsabilità del cedente o del commissionario, con sanzione amministrativa pari al cento per cento dell’imposta, con un minimo di euro 250, sempre che non provveda a regolarizzare l’operazione
- se non ha ricevuto la fattura, entro quattro mesi dalla data di effettuazione dell’operazione, presentando all’ufficio competente nei suoi confronti, previo pagamento dell’imposta, entro il trentesimo giorno successivo, un documento in duplice esemplare dal quale risultino le indicazioni prescritte dall’articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, relativo alla fatturazione delle operazioni;
- se ha ricevuto una fattura irregolare, presentando all’ufficio indicato nella lettera a), entro il trentesimo giorno successivo a quello della sua registrazione, un documento integrativo in duplice esemplare recante le indicazioni medesime, previo versamento della maggior imposta eventualmente dovuta”.
Come previsto al punto 6.4 del provvedimento 89757 sopra citato, il cessionario/committente deve trasmettere l’autofattura al SdI compilando, nel file fattura elettronica, il campo “TipoDocumento” col codice TD20[4] e le sezioni anagrafiche del cedente/prestatore e del cessionario/committente rispettivamente con i dati del fornitore e i propri dati. La trasmissione dell’autofattura al SdI sostituisce l’obbligo, di cui all’articolo 6, comma 8 lettera a), del decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, di presentazione dell’autofattura in formato analogico all’Ufficio dell’Agenzia delle entrate territorialmente competente.
Reverse charge “interno” ed “esterno”
Nella ipotesi in cui un soggetto passivo italiano riceva una fattura di acquisto intracomunitaria, sarà tenuto alla integrazione ai sensi dell’articolo 46, comma 1, del Decreto Legge 331/1993 (c.d. reverse charge “esterno”) e dovrà effettuare la comunicazione prevista dall’articolo 1, comma 3-bis, del Decreto legislativo 127/2015 e regolamentata al punto 9 del provvedimento 89757 del 30 aprile 2018 (esterometro).
Analogamente, qualora il soggetto passivo italiano riceva una fattura emessa da un soggetto passivo, anch’esso italiano, in regime di reverse charge ai sensi dell’articolo 17 del DPR 633/1972 (contraddistinta dal valore “N6” nel campo 2.2.2.2, “Natura”), dovrà effettuare una “integrazione” della fattura ricevuta con l’aliquota e l’imposta dovuta e dovrà annotarla ai sensi degli articoli 23 e 25 del DPR 633/72. In questa ipotesi, l’Agenzia delle Entrate, con la circolare 13/E del 2 luglio 2018, ha chiarito, che “una modalità alternativa all’integrazione della fattura possa essere la predisposizione di un altro documento, da allegare al file della fattura in questione, contenente sia i dati necessari per l’integrazione sia gli estremi della stessa. Al riguardo, si evidenzia che tale documento – che per consuetudine viene chiamato “autofattura” poiché contiene i dati tipici di una fattura e, in particolare, l’identificativo IVA dell’operatore che effettua l’integrazione sia nel campo del cedente/prestatore che in quello del cessionario/committente – può essere inviato al Sistema di Interscambio e, qualora l’operatore usufruisca del servizio gratuito di conservazione elettronica offerto dall’Agenzia delle entrate, il documento verrà portato automaticamente in conservazione”. Se il contribuente non avesse aderito al servizio di conservazione dell’Agenzia delle Entrate, la disposizione è comunque valida purché la fattura elettronica sia conservata a norma.
Le criticità
Una delle principali regole della economicità dell’attività di impresa è l’esigenza di standardizzazione dei processi. Se il passaggio dall’analogico al digitale ha un costo “utile”, che potrebbe essere visto anche come un investimento, la sopravvivenza dei due metodi è certamente controproducente perché incrementa in maniera “inutile” i costi di gestione dei processi. Tra i costi dobbiamo includere anche i possibili errori ingenerati dalle aree grigie, in cui non vi è certezza se adottare un metodo anziché l’altro.
Questo mi porta a giudicare negativamente la esclusione dall’obbligo di fatturazione elettronica per alcune categorie di contribuenti (per esempio per coloro che aderiscono a regimi di vantaggio). Tuttavia, nelle more di una auspicabile estensione generalizzata dell’obbligo, si potrebbe consentire, a chi volesse digitalizzare l’intero processo delle fatture elettroniche, di emettere un documento (formalmente simile ad una fattura, trasmessa dal committente / cessionario per conto del cedente) da trasmettere al sistema di interscambio a cui allegare copia digitale del documento analogico. Così facendo si realizzerebbero diversi vantaggi. Il primo sarebbe quello di far confluire nel “sezionale” delle fatture elettroniche[5] anche quelle originariamente analogiche (vedi quanto sopra detto in relazione alla stampa dei registri IVA). Il secondo, quello di evitare la conservazione analogica della fattura ricevuta, che sarebbe conservata digitalmente in quanto allegata alla fattura elettronica trasmessa al sistema di interscambio. Questa possibilità richiederebbe solo un adeguamento delle specifiche tecniche emesse dall’Agenzia delle Entrate.
Il problema dei DDT analogici o informatici
Il tracciato della fattura elettronica è utilizzabile anche in caso di fatturazione differita ai sensi dell’articolo 21, comma 4, lettera a) del DPR 633/1972. Considerato che la fattura, ai sensi dell’articolo 21, secondo comma, lettera g), deve riportare la natura, qualità e quantità dei beni ceduti o dei servizi prestati, il tracciato della fattura elettronica ha previsto l’inserimento delle righe di dettaglio dei documenti di trasporto emessi e, nella sezione “DatiDDT”, nel blocco 2.1.8, la possibilità di creare la necessaria correlazione tra il DDT e i singoli articoli oggetto di cessione (campo 2.1.2.1). Ciò è ovviamente possibile quando la fattura elettronica è generata dallo stesso gestionale che produce il DDT, altrimenti l’impresa è tanto più complessa quanto più sono numerose le righe di dettaglio.
L’Agenzia delle Entrate, in risposta ad una domanda posta da un contribuente ha affermato che “I DDT possono essere conservati in maniera cartacea. Qualora i DDT siano allegati alla fattura elettronica e l’operatore utilizzi il servizio di conservazione gratuita offerto dall’Agenzia delle Entrate, tali documenti saranno automaticamente portati in conservazione con la fattura. A tal proposito si ricorda che il singolo file fattura non deve superare la dimensione di 5MB”.
La risposta è senz’altro condivisibile e coerente col sistema normativo, la cui interpretazione conduce alla regolarità della fattura priva della indicazione del dettaglio dei beni/servizi oggetto della cessione, a cui sia allegato un documento di dettaglio a formarne parte integrante e sostanziale. Il problema sta però nella norma che, generando un miscuglio tra documenti informatici strutturati e documenti informatici destrutturati (si pensi ad una immagine), non permettono la interpretazione dei dati sottostanti.
Le liquidazioni periodiche IVA
La soppressione dell’obbligo di tenuta dei libri IVA lascia un vuoto dovuto alla esigenza di indicare sui registri non solo l’IVA detraibile, ma anche il necessario raccordo tra l’IVA esposta sulle fatture di acquisto e quella effettivamente detraibile, sia in relazione esclusione o riduzione della detrazione per alcuni beni e servizi, (articolo 19-bis1 del DPR 633/1972), sia in relazione alla riduzione della percentuale di detrazione per il pro-rata (articolo 19 comma 5 e articolo 19-bis DPR 633/1972). Tuttavia non sembra che vi sia alcun obbligo specifico al riguardo, posto che
- l’articolo 25 (registrazione degli acquisti) pone come obbligo quello di annotare le fatture ricevute in modo che risultino “… la data della fattura o bolletta, la ditta, denominazione o ragione sociale del cedente del bene o prestatore del servizio, ovvero il nome e cognome se non si tratta di imprese, società o enti, nonché l’ammontare imponibile e l’ammontare dell’imposta distinti secondo l’aliquota”,
- l’articolo 27 (liquidazione e versamenti mensili) non prevede alcunché di specifico.
Ne consegue che la necessaria correlazione tra le fatture di acquisto registrate e l’IVA detraibile possa essere costituita da qualsiasi documento, informatico o analogico, dal quale si evinca l’iter seguito nella determinazione dell’IVA portata in detrazione. Le liquidazioni periodiche IVA (note con l’acronimo LIPE), documento informatico alla stregua dei dichiarativi e delle comunicazioni fiscali di vario genere, possono essere ben utilizzate a tal fine, assoggettate a conservazione a norma, ed esibite a richiesta degli organi di controllo[6].
Fattura elettronica e privacy
Un incidente di percorso, che ha generato non pochi problemi, è l’avere sottovalutato che la fattura elettronica contiene dati riservati oggetto di tutela, talvolta sensibili, disattenzione che ha richiesto l’intervento del garante, che ha censurato l’uso incontrollato della fattura elettronica ed ha posto paletti e regole che probabilmente avrebbero dovuto rappresentare le colonne portanti del progetto.
Senza voler pontificare col senno del poi, probabilmente la strada maestra sarebbe stata scindere sin dall’origine i dati in due blocchi fisici: quelli rilevanti ai fini IVA, che avrebbero potuto transitare e risiedere all’interno del sistema di interscambio, e quelli non rilevanti ai fini IVA, in cui il sistema di interscambio avrebbe dovuto svolgere esclusivamente il ruolo di postino. La integrità della fattura nella sua interezza si sarebbe potuta assicurare dalla presenza nel file principale (dati IVA) dell’hash del file “dati accessori” e viceversa.
La strategia commerciale delle software house
Non tutte le software house hanno realizzato il giusto equilibrio tra business e coerenza degli aspetti economici connessi ai maggiori oneri di sviluppo e manutenzione del software. L’errore fondamentale è stato quello di confondere la procedura di generazione e contabilizzazione delle fatture elettroniche con la procedura di gestione del rapporto col sistema di interscambio. La standardizzazione del tracciato della fattura elettronica avrebbe dovuto rappresentare uno stimolo per un approccio basato sulla interoperabilità ed indipendenza del dato rispetto al software utilizzato, invece molte software houses hanno cercato di sfruttare l’occasione per creare una offerta “unica”, per cui chi avesse voluto “acquistare” il software per la generazione della fattura xml, è stato nella maggior parte dei casi obbligato a comprare anche il software per la gestione del rapporto col sistema di interscambio. Questa scelta non è stata felice. Vediamo perché effettuando la scansione delle fasi contraddistinguono il ciclo della fattura elettronica.
La generazione del file xml è la trasposizione in formato xml della fattura che gli applicativi generavano da tempo in pdf, con l’aggiunta di alcuni campi. Riguarda essenzialmente il ciclo attivo, ma in alcuni casi (autofatture) potrebbe riguardare anche il ciclo passivo. La gestione del rapporto col sistema di interscambio (soprattutto per ciò che riguarda il ciclo passivo) è stata molto laboriosa perché non tutti hanno compreso la enorme utilità (direi necessità) di dotarsi di un recapito telematico univoco (c.d. codice destinatario) previa registrazione all’Agenzia delle Entrate, in modo da assicurare il ricevimento sicuro e immediato delle fatture ricevute in cui l’unica condizione richiesta per il recapito era la corretta indicazione della partita IVA. La contabilizzazione è una fase un po’ più complessa (soprattutto per il ciclo passivo) perché richiede parametrizzazioni tese ad acquisire i dati necessari per la progressiva automatizzazione della generazione dei movimenti contabili. L’accorpamento delle tre fasi in un’unica offerta commerciale[7] e l’avere richiesto un corrispettivo in alcuni casi “a consumo”, come se il costo per il produttore del servizio fosse variabile e non, invece, fisso, ha infastidito gli utenti ed è stato visto come una “tassa” sulle fatture.
Conclusione
Ottimizzando la gestione informatica del ciclo dell’IVA è quindi possibile:
- non stampare i registri IVA, in quanto sostituiti dall’insieme delle fatture elettroniche, conservate a norma, integrate dalle liquidazioni periodiche trasmesse telematicamente;
- non emettere alcun documento cartaceo per la integrazione delle fatture di acquisto col reverse charge “interno” ma avvalersi della possibilità di emettere una fattura elettronica, facente luogo della integrazione, da trasmettere al sistema di interscambio;
- predisporre il sezionale delle fatture di acquisto cartacee in formato pdf, da assoggettare (preferibilmente) a conservazione a norma di Legge e da stampare a richiesta degli organi di controllo;
- conservare digitalmente le fatture elettroniche emesse e ricevute;
- conservare, analogicamente o digitalmente, le fatture di acquisto analogiche, con le eventuali integrazioni effettuate ai sensi dell’articolo 41, primo comma, D.L. 331/1993.
Il progresso si raggiungerà quando i metodi di lavoro innovativi ed adeguati ai tempi saranno patrimonio dei più, non solo di una fascia ristretta di soggetti, e ciò indipendentemente dalle loro dimensioni. Per realizzare ciò è necessario un intervento del legislatore, teso a rendere coerente il mondo reale “digitale” con una legislazione il cui baricentro si pone ancora all’interno del mondo analogico. Ma è anche necessaria una consapevolezza e una maturità informatica che non può essere imposta per legge. Purtroppo viviamo un momento contraddistinto da forti incoerenze: affidiamo ai nostri figli dispositivi elettronici e tablet sin dalla loro nascita, talvolta abiurando ai più elementari canoni educativi, e poi borbottiamo di non essere in grado di compilare una fattura elettronica. Probabilmente c’è una stanchezza sociale che si manifesta sotto forma di resistenza al cambiamento, giustificata da un atteggiamento dilatorio del legislatore nei confronti delle semplificazioni, che dovrebbero essere la naturale conseguenza delle innovazioni. Questo è il vero nodo da sciogliere.
Note
- Proprio qualche giorno fa è stato emanato il provvedimento ministeriale che ha elevato da 100 a 400 Euro il limite per la emissione della fattura semplificata. ↑
- Si pensi alla problematica dei documenti di trasporto che, anche se predisposti informaticamente, non sono sempre facilmente riproducibili nel corpo della fattura elettronica, per cui spesso si è costretti ad allegare i documenti di trasporto in formato pdf alla fattura elettronica, rendendo quindi impossibile un trattamento informatico dei dati in essi contenuti. ↑
- Si pensi alle registrazioni non iva dei semplificati, ai fini delle imposte sul reddito ↑
- Si ricorda che il codice T20 deve essere usato tassativamente solo in questa ipotesi. Nelle altre ipotesi di emissione di fattura emessa per conto terzi (per esempio, autofattura ex art.34 per gli agricoltori, oppure per i soggetti a regimi agevolati ex Legge 398/1991 con ricavi non superiori a 65.000 euro) il codice deve essere sempre TD01, la differenziazione sta nella indicazione del valore “CC” nel campo 1.6 dello schema di fattura elettronica. ↑
- Che poi è il registro principale ↑
- Vedi https://www.agendadigitale.eu/documenti/dichiarazioni-dei-redditi-quando-leccesso-di-formalismo-nega-i-vantaggi-del-digitale/ ↑
- Prassi seguita dalla maggior parte delle software houses ↑