Il ritardo nella trasmissione delle fatture elettroniche è senza ombra di dubbio una delle infrazioni che si sono presentate con maggiore frequenza dall’entrata in vigore dell’e-fatturazione. Si tratta di una infrazione a cui, nella quasi totalità dei casi, non è correlato alcun rischio di evasione o alcun debito d’imposta. Ci si chiede quindi la ragione per cui emerga un “accanimento” nei confronti di un problema che altro non è se non la conseguenza naturale di un adempimento innovativo che ha certamente portato enormi vantaggi alla Amministrazione Finanziaria in termini di recupero di evasione.
La riflessione sorge alla luce del provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 6 marzo 2023 con cui è stato annunciato l’avvio di una iniziativa dell’Agenzia che, previa ricognizione dei dati risultanti nel sistema di interscambio, fornirà a “specifici contribuenti soggetti passivi IVA” alcune informazioni relative alle fatture elettroniche B2B (emesse a imprese private) e B2G (emesse nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni) e ai corrispettivi giornalieri telematici, che risultano trasmessi al Sistema di Interscambio oltre i termini previsti dalla normativa vigente.
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Tali informazioni potranno essere utili per consentire agli interessati “una valutazione in ordine alla correttezza dei dati” al fine di poter ”.. fornire elementi, fatti e circostanze dalla stessa non conosciuti in grado di giustificare la presunta anomalia”.
Lo scopo della comunicazione, come espressamente indicato al punto 5.2 del provvedimento, è quello di informare gli interessati che relativamente alle violazioni formali commesse entro il 31 ottobre 2022, e a quelle prodromiche alle violazioni riguardanti le dichiarazioni validamente presentate relative al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2021 e a periodi d’imposta precedenti, i contribuenti “potranno beneficiare delle riduzioni sanzionatorie previste dall’articolo 1 della legge 29 dicembre 2022, n, 197, se regolarizzeranno le anomalie entro il 31 marzo 2023”.
E-fattura in ritardo, la differenza tra errore formale e meramente formale
Nel nostro sistema legislativo esiste una differenza tra errore formale ed errore meramente formale. Questa sottile distinzione, che ha formato oggetto di approfondimento anche da dall’Agenzia delle Entrate[1], origina dalla formulazione di due norme, probabilmente mosse dalla medesima volontà e dal medesimo fine, e che si pongono tra l’altro in maniera gerarchicamente subordinata l’una rispetto all’altra. La prima è contenuta nello Statuto dei Diritti del Contribuente, all’articolo 10, comma 3 della legge n. 212 del 2000 che prevede, tra l’altro, la non punibilità di quei comportamenti che si traducono in una “mera violazione formale senza alcun debito d’imposta”. La seconda è contenuta nell’articolo 6, comma 5-bis, del Decreto Legislativo 472/1997, che prevede che “Non sono inoltre punibili le violazioni che non arrecano pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo”[2].
L’Agenzia delle Entrate ha interpretato la suddetta norma ritenendo che le condizioni di inesistenza di “pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo” e di non incidenza “sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo” devono intendersi in senso alternativo e non congiunto, “con la conseguenza che non può configurarsi una violazione meramente formale ove manchi in concreto una sola di esse”.
Un’altra questione importante riguarda l’individuazione del momento in cui occorre stabilire se le omissioni o le violazioni siano state o meno di ostacolo all’esercizio del potere di accertamento. In altre parole, “se il giudizio sulla natura meramente formale della violazione debba essere compiuto in astratto (vale a dire a priori sulla sola base delle caratteristiche proprie di un fatto illecito) ovvero in concreto (vale a dire a posteriori in base all’effettiva incidenza dell’illecito sulla determinazione del tributo o sull’attività di controllo). Al riguardo, si ritiene che gli uffici debbano valutare in concreto (a posteriori), nei singoli casi specifici, se gli illeciti commessi abbiano determinato pregiudizio all’esercizio dell’azione di controllo[3]”. Questa importante linea di demarcazione tra violazioni sanzionabili e violazioni non sanzionabili, fissata dall’Agenzia delle Entrate, potrebbe ricondurre molte violazioni nell’ambito di quelle “meramente formali”: si immagini, per esempio, la omissione della comunicazione della variazione del domicilio fiscale di una impresa oppure l’errore di indicazione del codice ATECO dell’attività esercitata.
Perché serve una valutazione a posteriori
Ad avviso dello scrivente occorrerebbe attribuire enfasi e rilievo, in conformità alla soluzione proposta dall’Agenzia delle Entrate, ad una soluzione della questione con il ricorso alla valutazione “a posteriori” in funzione di due circostanze: la prontezza del contribuente nell’avere “rimediato” alla omissione, e la esistenza di un preciso rapporto di causa-effetto tra omissione e ostacolo all’attività di controllo, relativamente al quale deve comunque esistere in concreto la potenzialità di emersione di maggiori imponibili o di maggiori imposte dovute. Ciò dovrebbe portarci ad escludere la presenza di una violazione, che sia formale o meramente formale, in tutti quei casi in cui la omissione abbia generato controlli già avviati. Ma in maniera simmetrica si dovrebbe considerare che in tutte le ipotesi in cui il contribuente abbia sanato la irregolarità prima dell’avvio di attività di controllo da parte dell’Agenzia non dovrebbe esistere il rischio o il pregiudizio: infatti il rischio sarebbe stato neutralizzato dal “ravvedimento” ed il “pregiudizio all’attività di controllo” sarebbe anch’esso inesistente, posto che l’adempimento è intervenuto prima dell’avvio dell’attività di controllo.
L’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate
La stessa Agenzia delle Entrate è tornata sull’argomento con la circolare 13/E del 2/7/2018, affermando, a proposito di “Termini di trasmissione delle fatture al Sistema di Interscambio (SdI)”, che:
- Una fattura scartata e ritrasmessa entro cinque giorni dalla comunicazione di scarto può ritenersi comunque tempestiva (punto 1.6);
- “in fase di prima applicazione delle nuove disposizioni , considerato anche il necessario adeguamento tecnologico richiesto alla platea di soggetti coinvolti e le connesse difficoltà organizzative, si ritiene che il file fattura, predisposto nel rispetto delle regole tecniche previste dal provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate del 30 aprile 2018 ed inviato con un minimo ritardo, comunque tale da non pregiudicare la corretta liquidazione dell’imposta, costituisca violazione non punibile ai sensi dell’articolo 6, comma 5-bis, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472” (punto 1.5).
Le superiori indicazioni dovranno quindi essere tenute nella dovuta considerazione sia dall’Agenzia delle Entrate nella comunicazione che invierà ai contribuenti, sia dai contribuenti in sede di valutazione se aderire o meno alla sanatoria delle irregolarità di cui si è accennato in premessa.
Conclusione
Oltre a verificare se le comunicazioni che l’Agenzia delle Entrate invierà ai contribuenti saranno in linea con i principi sopra richiamati, sarebbe il caso di valorizzare l’importante contributo interpretativo dato dall’Agenzia Entrate con la citata Circolare 13/E del 2018, sopra richiamata, considerando che:
- Il concetto di “prima applicazione” deve essere inteso in senso relativo (al contribuente) e non assoluto (rispetto alla entrata in vigore dell’obbligo di trasmissione della fattura elettronica). Si pensi per esempio che ad un soggetto forfettario, per cui l’obbligo della fatturazione elettronica sorgerà nel 2024, la “prima applicazione” avverrà nel 2024;
- Se il parametro da considerare come determinante la fattispecie generatrice del pericolo di evasione è il pregiudizio della “corretta liquidazione dell’imposta”, si potrebbero individuare almeno due categorie di omissioni non sanzionabili: la prima è quella in cui la fattura elettronica sia stata trasmessa al SDI entro i termini per la liquidazione dell’IVA, la seconda è quella in cui la fattura elettronica sia stata conteggiata nella liquidazione IVA, anche se trasmessa successivamente[5].
L’Amministrazione Finanziaria dovrebbe ricordare che la fatturazione elettronica ha rivoluzionato in meglio e velocizzato la possibilità di accertamento dell’imposta, e che a fronte del maggior gettito recuperato grazie anche al sacrificio delle imprese e dei professionisti, sarebbe un atto dovuto la adozione di criteri di tolleranza più ampi (o meglio: ragionevoli e congrui) nella individuazione delle fattispecie generatrici di sanzioni, non ostando a ciò nessuna norma ed essendo di fatto demandato agli Uffici il relativo perimetro applicativo.
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Note
- Vedi circolare del 03/08/2001 n. 77 – Agenzia delle Entrate – Direzione Centrale Normativa e Contenzioso, punto 3.1 ↑
- Il comma 5-bis è stato aggiunto all’articolo 6, in adeguamento alla previsione dello Statuto dei Diritti del Contribuente, dall’articolo 7 del Decreto legislativo 26/1/2001 n.32 ↑
- Vedi nota 2 ↑
- È il caso, molto frequente, in cui l’emittente annota e conteggia immediatamente le fatture e si accorge anche molto tempo dopo dell’esito negativo della trasmissione. ↑