Qualche giorno fa abbiamo scritto un articolo critico sul decreto in materia di fatturazione elettronica.
C’è chi prontamente ha definito quelle nostre opinioni ingiuste, difendendo la bontà del provvedimento governativo. In verità, ci convincono davvero poco le puntualizzazioni fornite, che peraltro secondo noi confermano in toto le evidenti criticità già segnalate nel nostro precedente contributo.
1) «Da obbligo a opportunità»
In primo luogo, nel nostro intervento non ci siamo nemmeno sognati di disapprovare il sistema perché non prevede l’obbligatorietà per i privati della fatturazione elettronica (e abbiamo in verità sottolineato l’utilità delle agevolazioni ivi contenute). Inutile pertanto dilungarci sul punto, in quanto l’obiezione è palesemente pretestuosa.
Abbiamo criticato, invece, la penalizzazione del mercato in favore dell’accentramento verso un unico fornitore, che leggiamo essere stato già scelto senza alcuna selezione/procedura di evidenza pubblica. In tal senso, ciò che noi temevamo come altamente probabile è stato confermato con incredibile nonchalance. Il fornitore pertanto sarà Sogei (almeno così si leggeva, in modo trasparente, nella prima versione on line dell’articolo in risposta al nostro pubblicato su Agenda Digitale).
2) «Usare le infrastrutture esistenti»
A nostro avviso, è corretto riutilizzare l’attuale Sistema di Interscambio, già finora previsto solo per la cosiddetta Fattura PA, purché questo sistema rimanga ciò che è attualmente, ossia un semplice “nodo di scambio” per i dati relativi alle fatture elettroniche. Se invece si decide di utilizzare il SdI non solo per la trasmissione, ma anche per la formazione, la gestione e la conservazione gratuita delle fatture elettroniche, a disposizione di PA e privati, si finisce per snaturarne la funzione e per esasperare la “burocratizzazione” dei processi di fatturazione elettronica (si pensi anche solo alle ricevute di consegna e alle diverse notifiche), instaurando un sistema che di fatto rischia di escludere dal mercato i fornitori di soluzioni di conservazione (che magari si sono pure ingenuamente fatti accreditare presso AgID per sviluppare questo servizio e garantirne l’affidabilità!).
Questa è evidentemente una nuova forma (gravissima) di statalismo nei servizi di digitalizzazione.
Crediamo che l’Italia – se ha davvero voglia di ripartire – lo debba fare con correttezza nei confronti del mercato e degli stessi contribuenti, i quali – come abbiamo scritto – sono totalmente all’oscuro di ciò che c’è dietro questi processi che si intendono sviluppare (e che non riguardano solo le fatture elettroniche).
3) «Innovazione senza oneri»
Come già riferito, ciò che oggi appare come un regalo per i privati cittadini (la fattura elettronica “gratuita”), rischia di rivelarsi un “pacco” non gradito, e ciò per due ordini di motivi.
Innanzitutto i costi – che finora sono stati sostenuti dagli operatori del mercato che effettuano fatturazione elettronica e provvedono alla conservazione a norma delle relative fatture – ora verranno di fatto sostenuti da tutti i cittadini, in quanto ciò che diverrà gratuito per alcuni soggetti verrà posto a carico dello Stato.
Inoltre, si deve riflettere con attenzione sul fatto che in un possibile contenzioso tributario, in caso di richiesta di esibizione del documento informatico fiscalmente rilevante, sarebbe proprio la nostra controparte nel giudizio (l’Agenzia delle Entrate, per il tramite del suo fornitore IT) a dover “cooperare” con noi, dal momento che possiede e conserva per nostro conto (e si spera “a norma”) i nostri dati e documenti contabili.
Oltre a questo, si consideri che il servizio (gratuito) di redazione della fattura è una possibilità già offerta (pur se in maniera pessima) con FatturaPA, quindi, va benissimo se viene riproposto (magari in forma più usabile) anche per la fattura elettronica tra privati. Il grande rischio è invece nella centralizzazione del servizio di gestione e conservazione per questa tipologia di documenti, e cioè nella possibilità che il nostro (sempre amato) Sistema Paese statalizzi totalmente la conservazione di varie tipologie di documenti dei suoi cittadini e senza che nessuno se ne renda conto.
Qualcuno ha letto con attenzione l’art. 15 del nuovissimo decreto attuativo del Jobs Act? Sembrerebbe prevedersi anche in questo caso che il LUL (Libro Unico del Lavoro) venga direttamente tenuto e conservato dal Ministero del Lavoro! Scommettiamo che anche in questo caso si sta pensando a un unico fornitore? Magari sempre lo stesso, come peraltro già si fa (ed è stato da tempo denunciato) per i certificati medici on line dei dipendenti pubblici e privati (info: http://www.forumpa.it/pa-digitale/volano-i-risultati-dei-certificati-medici-on-line-ma-e-dibattito-sul-loro-valore-legale).
Vogliamo renderci conto che i cittadini italiani, lavoratori, dipendenti, interessati a trattamenti sanitari rischiano – senza neppure saperlo – di venire (ma gratuitamente, eh) spossessati dei loro dati e documenti proprio dalle loro controparti in un eventuale contenzioso? È un’eventualità molto rischiosa di cui nessuno dice nulla.
Inoltre, ha senso che proprio quello che ormai appare, nelle strategie governative, il futuro conservatore di Stato non sia iscritto all’elenco dei conservatori accreditati tenuto da AgID? Questa non è un’evidente violazione delle attuali regole tecniche contenute nel DPCM 3 dicembre 2013 in materia di conservazione, laddove si prevede che “le pubbliche amministrazioni realizzano i processi di conservazione all’interno della propria struttura organizzativa o affidandoli a conservatori accreditati, pubblici o privati, di cui all’art. 44-bis, comma 1, del Codice dell’amministrazione digitale”?
È davvero possibile che oggi i documenti dei cittadini italiani siano tranquillamente in mano alle controparti in eventuali contenziosi, le quali si servono di intermediari pubblici (anzi di un solo intermediario pubblico) che formalmente si limita a trasmettere dati, ma che invece di fatto dovrebbe conservarli nell’interesse di privati e PA e poi si dimentica di accreditarsi presso AgID?
Crediamo che sia utile un’ultima precisazione su quanto abbiamo letto nell’articolo in difesa del decreto del Governo. Nelle puntualizzazioni fornite c’è una frase profondamente sbagliata e non si può non ricordarlo. Si legge, infatti, questo: “credo che si tratti di un decreto che, estendendo la fatturazione ai privati, prova a porre rimedio […]”. In verità, la fatturazione elettronica per i privati è possibile in Italia dal 2004 (D. Lgs. 52/2004): al massimo questo nuovo decreto (confuso e sbagliato in molti suoi punti, come abbondantemente evidenziato) prova solo a promuoverne, piuttosto timidamente, l’utilizzo.