Da qualche anno a questa parte la tecnologia è entrata con decisione nella professione forense, incidendo sulle forme del processo, della prova e dell’informazione giuridica. Tra i lati positivi di questa evoluzione c’è senz’altro quella di aver generato interessanti commistioni fra il mondo giuridico e quello informatico, consentendo così di creare strumenti e utilità che semplificano la professione forense e l’amministrazione della giustizia.
Alle soluzioni a pagamento si affiancano molti strumenti gratuiti, spesso sviluppati da avvocati e/o informatici che dedicano il loro tempo libero a questi progetti che sono di grande aiuto ai professionisti. Tra questi applicativi tecnologici per la professione forense ve ne sono alcuni molto conosciuti e di ampia diffusione, che tutti gli avvocati hanno usato almeno una volta nel corso del loro lavoro. Pensiamo ad esempio agli strumenti presenti su Avvocatoandreani.it oppure su Dirittopratico.it, ma esistono anche altri applicativi, altrettanto utili, che però sono meno conosciuti.
Alcuni di questi sono nascosti proprio nei siti appena citati, spesso sfruttati solo in minima parte dai professionisti. Ad esempio Dirittopratico.it contiene, nella sezione “apps”, alcune soluzioni tecniche davvero avveniristiche, frutto di un lavoro di programmazione certosino condito con un pizzico di genio informatico. Tra i vari applicativi per creare preventivi, attestare la conformità di un atto, redigere precetti e decreti, vi sono infatti innovativi strumenti per dare (gratuitamente) prova della data di creazione di un documento.
Il “Registro Pubblico delle Impronte Informatiche”
Da un lato sul sito è presente un applicativo per fornire la prova di esistenza ad una certa data di un file, denominato “Registro Pubblico delle Impronte Informatiche”. Questo registro altro non è che un elenco di impronte Hash (stringa alfanumerica che rimanda univocamente ad un singolo file) che viene “datacertato” attraverso l’apposizione di una marca temporale ogni fine mese, e che viene quindi mantenuto sulla pagina del sito web. Il registro viene inoltre inserito sui servizi di “internet preservation” Wayback Machine e archive.is, due sistemi di archiviazione di pagine web nel tempo che, con l’ambizioso scopo di creare una “copia di riserva” del world wide web, sfruttano programmi crawler che sulla base di un algoritmo acquisiscono periodicamente i siti web (ad esempio l’algoritmo di Wayback Machine – Internet Archive si chiama Heritrix), ad oggi il sito Wayback Machine, ad esempio, contiene più di 500 miliardi di pagine web.
Il valore giuridico di questi “trusted snapshot” è stato certificato da numerose sentenze statunitensi: Caso Marten Transport v. PlatForm Advertising (Kansas District Court) Case no. 14-2464-JWL – Decided 29.04.2016 e Caso Telewizja Polska USA Inc. v. Echostar Satellite Corp. (Illinois Northern District Court, 2004). E anche l’Ufficio Europeo Brevetti considera affidabile il servizio Wayback Machine per acquisire prova della data di un evento rilevante ai fini della registrazione di un brevetto (Guidelines For Examination – Part. G – Chapter IV – Art. 7.5.4). Per tramite di questa webapp possiamo quindi provare che un file esisteva ad una certa data e tale prova sopravviverà anche se il sito dirittopratico.it dovesse scomparire, sia in virtù della copia di backup presente sui servizi di internet preservation, sia in virtù del fatto che potremo scaricare il registro e la marca temporale che fanno riferimento all’hash del nostro file (dovremo evidentemente curare di conservare con cura il file, il registro e la marca). Cosa succede, però, se voglio dimostrare che un file non esisteva prima di una certa data?
L’identificativo Unico del Giorno (IUG)
Su dirittopratico.it hanno pensato anche a questo problema con una soluzione che porta in digitale il metodo “analogico” che si è sinora utilizzato per dimostrare il fatto che un documento non potesse essere stato creato in data anteriore, ovvero la classica fotografia scattata mostrando il quotidiano del giorno. L’applicativo IUG genera un codice casuale ogni giorno; a questo codice si aggiunge un codice di controllo, basato sui primi sei numeri dell’impronta MD5 calcolata sulla codifica in base64 di un feed RSS di notizie “ultim’ora” acquisito al momento della generazione del codice.
In buona sostanza la parte casuale del codice garantisce la non prevedibilità dello stesso, mentre la parte calcolata sull’impronta delle notizie consentirà di verificare la correttezza del file in caso di dubbi. Anche qui è sufficiente conoscere il codice e il feed RSS di riferimento per verificarne la validità a prescindere dall’esistenza del sito web dirittopratico.it, possiamo quindi essere sicuri di poter contare sulla datacertazione digitale quando avremo necessità di darne prova.
Utilizzando insieme questi due applicativi riusciamo quindi -gratuitamente- a circoscrivere senza possibilità di dubbio la data di formazione di un documento.
L’acquisizione forense di pagine web
Le soluzioni per facilitare la vita dei professionisti non si fermano certo qui. A Torino alcuni informatici hanno rilasciato, nel 2013, un software forense gratuito per acquisire in maniera il più possibile neutra, oggettiva e documentata, una pagina web. Il software si chiama FAW – Forensics Acquisition of Websites, è ormai giunto alla settima release, ed è disponibile anche nella versione free, che consente comunque di compiere molte delle operazioni utili per una corretta acquisizione di pagine web per fini giudiziari.
Se oggi infatti la produzione in giudizio di uno screenshot di un sito web o di un cellulare sembra fornisca una prova difficilmente attaccabile di quanto rappresentato, in realtà le incertezze che derivano da questa tipologia di acquisizione e produzione documentale sono molte e forse solo la scarsa “cultura informatica” dei professionisti legali ha impedito sinora che emergessero in giudizio. Questo non solo per un problema derivante dalla facile alterabilità di simili stampe, ma anche per il fatto che le pagine web sono costruite con l’espresso obiettivo di cambiare a seconda dell’utente, del dispositivo che questo utilizza, del luogo di connessione, del sistema operativo, del browser , etc..
É quindi difficile ottenere un’acquisizione oggettiva di una pagina web, ed è quindi senz’altro opportuno adottare alcuni accorgimenti per poter ricostruire con certezza quale sia il contenuto voluto dal suo autore e/o quello percepito dal pubblico. Per fare un esempio banale, l’acquisizione di una prova su un browser che non viene pulito, ad ogni avvio, da cookie e altre informazioni memorizzate, può portare ad un’acquisizione falsata dalle preferenze in precedenza espresse dall’utente. Rischiamo quindi di non ottenere una prova oggettiva, ma solamente una prova limitata al dato di come la pagina web appare sul computer di chi ha acquisito la prova in quel dato momento.
Vi sono poi ipotesi più sofisticate in cui non è sufficiente acquisire il dato visibile di una pagina web per ottenere quel che ci serve, pensiamo ad esempio al caso in cui un’azienda nasconda nel codice di programmazione della pagina web delle informazioni -invisibili ai visitatori ma valorizzate ai fini dell’indicizzazione del sito- che fanno riferimento a marchi di aziende concorrenti e quindi contribuiscono a falsare il posizionamento sui motori di ricerca. La dimostrazione di una simile attività di concorrenza sleale passa quindi per l’acquisizione della pagina web e del codice di programmazione della pagina stessa, attività che ad esempio è inclusa di default in ogni acquisizione con FAW, garantendo inoltre maggiore obiettività alla prova.
Si tratta quindi di un altro strumento gratuito che permette al legale di “professionalizzare” questa attività in completa autonomia.
Diritto di famiglia 2.0
L’evoluzione tecnologica sta offrendo soluzioni innovative anche al settore del diritto di famiglia, non solo aiutando a provare quello che accade fra le parti in causa in questo delicato settore (basti pensare che Whatsapp, già nel 2015 era citato come fonte di prova nel 40% dei divorzi italiani), ma anche offrendo soluzioni concrete per aiutare a gestire il conflitto familiare in modalità più trasparente e serena. Tra questi progetti si distingue Anthea, un’applicazione che si propone di gestire direttamente online tutti i contatti fra i genitori in lite relativamente al minore o ai minori, incanalando così in un unico strumento di comunicazione documentato e trasparente tutte le problematiche. Nel proporsi come strumento di attenuazione del conflitto, Anthea offre ai genitori un calendario eventi relativo al figlio, una chat, un archivio documentale e fotografico, la possibilità di registrare la propria carta di credito per effettuare i rimborsi all’altro genitore e un filo diretto con gli assistenti sociali all’occorrenza.
L’adesione al progetto da parte di due genitori è stata inoltre cristallizzata in un recente provvedimento del Tribunale di Modena (sent. 2259/17 del 28.12.2017) nella quale il Giudice ha dato atto dell’impegno dei genitori a gestire i rapporti relativi alle figlie attraverso la app Anthea, sottolineando che il contenuto dell’archivio dell’applicazione avrebbe potuto essere prodotto in giudizio costituendo prova incontestabile fra le parti e che il mancato uso dell’applicativo da parte di uno dei due coniugi avrebbe potuto essere valutato dal Tribunale in sede di decisioni derivanti da una conflittualità fra i genitori insorta successivamente alla sentenza.
Smart Contract
Un’ulteriore soluzione che potenzialmente potrebbe portare un enorme beneficio al lavoro del professionista forense è quella dei cosiddetti smart contract. C’è da ammettere che da tempo sentiamo parlare di questi “contratti”, anche se finora ci sono sempre sembrati delle soluzioni distanti dalle necessità attuali nostre e dei nostri clienti. In realtà gli smart contract sono già utilizzati da numerose imprese nel settore dei servizi, rivelandosi utili ed economicamente efficienti nel risolvere un’importante serie di criticità.
Per comprendere come funziona oggi uno smart contract dobbiamo innanzitutto partire dalla sua (difficile) definizione. Con smart contract infatti non si intende un contratto, ma piuttosto un atto esecutivo di un obbligazione, che viene posto in essere in modalità automatizzata e “smart” (ovvero, in questo contesto, “catalizzato tecnologicamente”). Tenendo comunque a mente che stiamo parlando di una definizione dai contorni incerti, possiamo affermare che, ad oggi, generalmente si parla di smart contract per indicare un protocollo informatico in grado di eseguire automaticamente i termini di un contratto.
Molti di questi smart contract sono poi basati su blockchain (il registro su blocchi sul quale si fondano bitcoin e la maggior parte delle altre criptovalute), ovvero un registro pubblico e distribuito che garantisce la trasparenza e immodificabilità delle condizioni secondo cui opera il protocollo del “contratto”. Ci sono delle blockchain che si sono addirittura specializzate per ospitare smart contract, come Ethereum, e dei progetti che, lavorando su quest’ultima blockchain, offrono già oggi soluzioni operative.
Pensiamo ad esempio ad Oraclize, società londinese, ma con natali italiani, che si è specializzata nel fornire smart contract che funzionano con oracoli, ovvero dati affidabili che registrano un evento. Per fare un esempio potremmo pensare ad uno smart contract che eroga somme in esecuzione ad un contratto di assicurazione in maniera automatica. Perché questo smart contract funzioni è però necessario interpretare le informazioni sull’avveramento della condizione per cui la somma diviene esigibile (ad esempio il maltempo in un contratto di assicurazione per un venditore ambulante). Qui interviene il cosiddetto oracolo che, sfruttando siti web affidabili (nell’esempio potremmo far riferimento a siti che offrono informazioni meteorologiche) fornisce le informazioni rilevanti allo smart contract. L’oracolo può svolgere anche operazioni più complesse, ad esempio prendendo informazioni da motori di ricerca computazionali come Wolfram Alpha.
Gli smart contract possono essere anche utilizzati come strumento di risoluzione delle controversie. In questo settore opera ad esempio Jur.io, realtà anche questa nata in Italia, che si propone di offrire strumenti preventivi di risoluzione delle controversie. In buona sostanza il pagamento del prezzo di un contratto è subordinato ad un consenso tra i vari soggetti che sono autorizzati ad accedere alle somme oggetto di pagamento. Il deposito viene quindi di fatto sbloccato solo se una certa maggioranza di soggetti autorizzati miscelatore chiave ed assente all’operazione.
In questo modo è possibile affidare ad uno o più soggetti il ruolo di arbitratori e il loro intervento sarà di certo più efficace rispetto ad una procedura tradizionale, in quanto contestualmente alla decisione verseranno le somme in favore del soggetto risultato legittimato. La procedura inoltre si cura di prevedere una esecuzione dello smart contract anche senza l’intervento degli arbitratore e su diretto accordo delle parti, se queste non sono in contrasto sulla debenza del pagamento basterà infatti ad entrambe utilizzare le proprie chiavi per liberare le somme in favore del soggetto prescelto.
Queste soluzioni non costituiscono che alcune prime timide applicazioni di questa tecnologia al mondo del diritto, e non c’è da dubitare che assisteremo ad interessanti sviluppi in materia.
Cosa ci riserva il futuro
Tutte queste innovazioni tecnologiche sono estremamente importanti non solo perché semplificano la prova e la rendono meno incerta, ma anche perché, così facendo, assottigliano le discrepanze fra la realtà processuale e quella sostanziale, consentendo così un giudizio dove il giudice non deve più occuparsi di quel “facit de albo nigrum” che se da un lato semplifica l’amministrazione della giustizia, dall’altro la allontana dal reale, lasciando delusi coloro che la cercano. Per questo motivo simili conoscenze vanno studiate ed applicate dai professionisti, ovvero coloro che sono chiamati a trasferire la realtà (tecnologica) nel mondo del diritto.
In questo contesto dobbiamo guardare alle soluzioni che sono già disponibili nel presente ed anche affacciarci alle novità che potrebbero rappresentare il futuro della professione legale. Tra queste ultime vanno senz’altro richiamate le intelligenze artificiali che già oggi consentono di automatizzare l’attività professionale seriale/compilativa. Tali strumenti non devono certo essere visti come un ostacolo alla professione forense ma piuttosto anzi come degli utili strumenti che consentiranno ai legali di concentrarsi su attività ad alto valore aggiunto.
Il problema che ostacola il diffondersi di questi strumenti è proprio la forma del diritto e del linguaggio deontico, che manca di sistematicità ed è in continua evoluzione, costruendo così un mutevole e incerto database a fondamento del lavoro di tali A.I. Mentre altre discipline universali vedono investimenti e sviluppi maggiori, la ricerca in tema di legal tech arranca dovendo necessariamente parcellizzarsi sulle singole realtà nazionali (e in alcuni casi anche regionali/locali), anche se iniziano ad emergere esempi interessanti in Italia; ad esempio i legali che si occupano di privacy o di segreti industriali possono contare su Prisca, un chatbot Telegram che risponderà (in inglese) ai loro quesiti.
Un altro tema interessante è quello della giustizia predittiva, le cui implementazioni sono probabilmente molto più vicine di quanto pensiamo grazie alla digitalizzazione di tutti i provvedimenti giurisdizionali (moltissimi dei quali sono già disponibili in chiaro per i legali accedendo all’Archivio Giurisprudenziale di Merito sul Portale Servizi Telematici).
Insomma, le novità all’orizzonte sono numerose e numerose soluzioni già oggi possono semplificare il nostro lavoro e il sistema giustizia, basta solo cercarle e dedicare loro quel poco tempo che serve per imparare ad usarle. Il rischio: fare la fine di quel falegname con l’ascia spuntata che lamentava di avere troppo lavoro e di non avere il tempo per fermarsi e affilarla.