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Meta – Siae, cosa può succedere dopo la decisione del Consiglio di Stato



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Dal primo settembre, in seguito all’ultima pronuncia di luglio del Consiglio di Stato, i contenuti Siae potrebbero essere rimossi da Insagram e Facebook? Vediamo la situazione per capire cosa aspettarci

Pubblicato il 26 ago 2024

Simona Lavagnini

avvocato, partner LGV Avvocati



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Dal primo settembre i contenuti SIAE potrebbero essere di nuovo rimossi da Instagram e Facebook? Approfondiamo quali possono essere le eventuali conseguenze dell’ultima decisione di luglio da parte del Consiglio di Stato sul caso legato alla diatriba tra Meta e SIAE.

L’antefatto

A marzo 2023 abbiamo assistito tutti con un certo sgomento alla rimozione del repertorio SIAE dalle piattaforme di Meta, causa il mancato accordo fra le parti per la diffusione dei contenuti degli autori rappresentati da SIAE su Instagram e Facebook. Le parti avevano in essere una licenza che avrebbe dovuto essere rinnovata per il 2023. Meta aveva proposto a SIAE un compenso a forfait (anziché a royalty) per le utilizzazioni dei brani musicali nei video brevi come stories e reel. SIAE aveva accettato di discutere questo tipo di compenso, ma aveva richiesto una serie di dati per valutarne la congruità.

Meta si era rifiutata di condividere alcuni set di dati, ritenendoli non pertinenti, non necessari allo scopo e comunque confidenziali. Da qui la difficoltà delle parti a mettersi d’accordo su di una cifra. In prossimità della scadenza Meta annunciava e poi attuava la rimozione dei contenuti SIAE dalle piattaforme, dichiarando di voler evitare di incorrere in responsabilità per violazione dei diritti d’autore.

SIAE riteneva che invece la rimozione fosse un modo di fare pressione per indurla ad accettare le condizioni contrattuali proposte da Meta, in violazione delle regole che vietano l’abuso di dipendenza economica. SIAE agiva quindi avanti all’Autorità della Concorrenza e del Mercato (AGCM) che in via cautelare ed urgente ordinava a Meta di ripristinare i contenuti e di continuare le trattative con SIAE. In ottemperanza all’ordine le due società stipulavano, a copertura del periodo di trattativa, un accordo ponte, che secondo le ultime informazioni di stampa scadrà il 31 agosto 2024.

L’iter della giustizia amministrativa

Nel frattempo, il provvedimento di AGCM superava il vaglio del TAR Lazio, che con la sua decisione n. 16069 del 30 ottobre 2023 confermava in toto l’approccio di AGCM. Prima della pausa estiva, il colpo di scena: con decisione n. 5827 del 2 luglio 2024 il Consiglio di Stato, cui Meta aveva appellato, confermava pressoché integralmente le argomentazioni di quest’ultima e per l’effetto annullava il provvedimento cautelare assunto da AGCM.

La decisione del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato sottolineava che la decisione riguardava solo la fase cautelare del contenzioso e che restava quindi impregiudicato l’esito dell’istruttoria che nel frattempo AGCM aveva avviato (e che dovrà concludersi entro il 31 dicembre 2024), per valutare nel merito se la condotta di Meta violasse o meno le regole sulla concorrenza. È dubbio tuttavia che la decisione del Consiglio di Stato possa davvero essere neutra sul procedimento, considerato che AGCM (consapevole dell’assoluta novità del procedimento, il primo in assoluto in materia di dipendenza economica nel contesto digitale in Italia) ha “congelato” l’istruttoria – proprio nell’attesa della decisione del Consiglio di Stato.

Titolari dei diritti e piattaforme user generated, i nodi da sciogliere

In ogni caso, è certo che continua a non esservi pace fra titolari dei diritti e piattaforme user generated, e che siamo ancora lontani dall’avere raggiunto un assetto condiviso della disciplina di questo tipo di intermediari con riguardo – anche, ma non soltanto – alla questione dello sfruttamento di contenuti protetti.

Le piattaforme user generated sono state fin dal loro avvento sul mercato al centro di infiniti dibattiti che – per limitarci ai profili di diritto d’autore – hanno avuto ad oggetto la questione dell’utilizzo dei diritti esclusivi su musiche, testi, immagini, etc. da parte degli utenti dei social tramite la diffusione sugli stessi e se tale utilizzo costituisse o meno una fonte di responsabilità per le piattaforme.

Lo scenario europeo

In Europa si è creduto di trovare una soluzione con l’adozione della Direttiva 790/2019. L’art. 17 ha infatti stabilito che le piattaforme fanno uso di diritti d’autore quando concedono l’accesso al pubblico a opere protette dal diritto d’autore o altri materiali protetti caricati dai propri utenti. Dunque, le piattaforme devono dotarsi di una licenza per i contenuti diffusi dai loro utenti; e possono esonerarsi da responsabilità per la presenza di contenuti non autorizzati dimostrando:

  • di aver compiuto i massimi sforzi per ottenere un’autorizzazione
  • di aver compiuto, secondo elevati standard di diligenza professionale di settore, i massimi sforzi per assicurare che non siano disponibili opere e altri materiali specifici per i quali abbiano ricevuto le informazioni pertinenti e necessarie dai titolari dei diritti; nonché infine, in ogni caso,
  • di aver agito tempestivamente, dopo aver ricevuto una segnalazione sufficientemente motivata dai titolari dei diritti, per disabilitare l’accesso o rimuovere dai loro siti web le opere o altri materiali oggetto di segnalazione e aver compiuto i massimi sforzi per impedirne il caricamento in futuro.

Questa nuova regolamentazione lascia però aperta una questione, ossia che cosa succeda nell’ipotesi in cui le piattaforme decidano di non voler negoziare alcuna licenza e di non voler quindi consentire ai propri utenti la condivisione del materiale relativo. Non va infatti dimenticato che le piattaforme dovrebbero essere oggi nella condizione di utilizzare sistemi tecnologici evoluti che – tramite il cd. “content ID” – possono riconoscere i materiali non autorizzati ed impedirne il caricamento da parte degli utenti.

Se il sistema tecnologico è efficace ed i contenuti sono effettivamente esclusi dalla piattaforma, la Direttiva 790/2019 non appresta alcun rimedio, in quanto l’art. 17 riguarda un’ipotesi di esonero di responsabilità, presupponendo quindi che vi sia un utilizzo non autorizzato. In mancanza la norma semplicemente non opera.

L’impatto del DMA

Le norme di diritto civile generale come la direttiva 790/2019 non sono tuttavia le uniche utilizzabili nei riguardi delle piattaforme. Da qualche tempo a questa parte gli ordinamenti (fra cui in particolare quello europeo ed alcuni Stati membri) stanno cercando di perimetrare le attività delle piattaforme, dotandosi di strumenti specifici che rimandano all’ambito antitrust. Fra questi va in particolare ricordato il DMA (Digital Market Act – Regolamento 2022/1925), che introduce la qualifica di gatekeeper (ossia la grande impresa digitale che esercita un controllo su interi ecosistemi di piattaforme nell’economia digitale).

Il DMA impone nuovi obblighi per quanto riguarda diversi ambiti, come ad esempio l’interoperabilità, ovvero il trattamento e l’accesso ai dati. Vengono inoltre introdotti nuovi divieti, con riguardo alla disparità di trattamento fra i servizi e prodotti della piattaforma e quelli analoghi offerti da terzi sulla piattaforma stessa, oppure il tracciamento per motivi pubblicitari degli utenti finali al di fuori dei servizi essenziali della piattaforma, senza il loro previo consenso, e così via.

Il DMA intercetta tuttavia solo alcune condotte delle piattaforme, fra cui non sembra rientrare il rifiuto da parte della piattaforma di contrarre con un fornitore come SIAE. L’applicazione delle regole generali in materia di abuso di posizione dominante potrebbe in alcuni casi essere astrattamente possibile, ma complessa per le autorità antitrust.

La normativa italiana

Qui entra quindi in gioco l’art. 9 l. 192/98, che è la disposizione nazionale in materia di abuso di dipendenza economica, recentemente novellata (anche sulla scorta di esempi stranieri, fra cui in particolare la Germania) proprio al fine di introdurre un rimedio ad hoc per contrastare gli abusi del potere di mercato delle piattaforme digitali. Secondo la norma, è vietato l’abuso da parte di una o più imprese dello stato di dipendenza economica nel quale si trova una impresa cliente o fornitrice.

La dipendenza economica

Si considera dipendenza economica la situazione in cui una impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi. La dipendenza economica è valutata tenendo conto anche della reale possibilità per la parte che abbia subìto l’abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti. La dipendenza economica si presume, salvo prova contraria, nel caso in cui un’impresa utilizzi i servizi di intermediazione forniti da una piattaforma digitale che ha un ruolo determinante per raggiungere utenti finali o fornitori, anche in termini di effetti di rete o di disponibilità dei dati.

Nel caso Meta/SIAE sia AGCM sia TAR Lazio (in sede di impugnazione) avevano ritenuto che l’abuso di dipendenza economica potesse essere presunto, stante il ruolo determinante delle piattaforme di Meta per raggiungere gli utenti finali, rigettando tutte le argomentazioni a contrario sollevate da Meta.

Caso Meta/SIAE: l’analisi della pronuncia del Consiglio di Stato

Queste stesse argomentazioni sono invece state ritenute fondate dal Consiglio di Stato secondo cui – in estrema sintesi – AGCM non avrebbe adeguatamente argomentato in ordine al fatto che le piattaforme di Meta abbiano un ruolo determinante per raggiungere gli utenti finali. In particolare, il Consiglio di Stato si sofferma ed attribuisce particolare importanza alla difesa allegata da Meta, secondo cui la licenza in discussione con SIAE riguarderebbe unicamente la disponibilità di contenuti musicali del repertorio SIAE nella audio library delle piattaforme.

Questa licenza costituisce una mera funzionalità di cui gli utenti del servizio possono avvalersi per sincronizzare le proprie immagini con un contenuto musicale. Nulla impedirebbe agli utenti stessi di realizzare con altri mezzi video completi con contenuti musicali di SIAE, per poi accedere alla piattaforma e caricarli. Di conseguenza, non vi sarebbe “preclusione alcuna per quanti (autori compresi) intendono usufruire dei social per la diffusione di video già muniti di sottofondo musicale o intendano accedere sul web ai medesimi contenuti”.

Questa affermazione del Consiglio di Stato desta una certa perplessità, se è vero che nel marzo 2023, quando Facebook ed Instagram hanno effettuato le prime rimozioni a seguito della rottura della trattativa con SIAE, tutti i contenuti appartenenti al repertorio della collecting, comunque presenti sulle piattaforme, erano stati di fatto silenziati. Non risulta che sia stata effettuata alcuna distinzione fra contenuti realizzati tramite l’Audio Library e altri contenuti, ed anzi sembrerebbe che il sistema utilizzato per silenziare sia simile ad una tecnologia di content ID – che opera riconoscendo il contenuto e impedendone l’utilizzazione. La tecnologia non sembra in grado di distinguere se un determinato contenuto è stato realizzato tramite Audio Library o diversamente.

Inoltre, va considerato che la condivisione di contenuti SIAE tramite video realizzati dagli utenti senza utilizzo della Audio Library delle piattaforme prevederebbe l’operare dell’art. 17 della Direttiva 790/2019, cosicché Meta dovrebbe dimostrare di aver svolto i maggiori sforzi per negoziare con SIAE e, ove la risposta fosse positiva ed a Meta non potesse imputarsi alcun illecito sotto questo profilo, Meta stessa sarebbe comunque tenuta ad apprestare misure adeguate per impedire il caricamento dei contenuti non licenziati, pena l’insorgere di responsabilità a proprio carico. Il ragionamento del Consiglio di Stato sembrerebbe dunque generare una sorta di corto circuito logico, perché se Meta non è riuscita a concludere (ancorché legittimamente) alcuna licenza con SIAE, essa è obbligata ex lege a impedire il caricamento dei contenuti sulle piattaforme. Per tale ragione si realizzerebbe quell’effetto di preclusione che invece il Consiglio di Stato esclude.

L’interpretazione dei servizi di intermediazione

Ancora, e in collegamento con quanto ora osservato, il Consiglio di Stato interpreta la nozione di “servizi di intermediazione” forniti da una piattaforma digitale in modo particolarmente restrittivo, ritenendo che le piattaforme di Meta non offrano tale servizio perché esse non rendono disponibile uno streaming o un ascolto musicale completo, ma si limitano a consentire la sincronizzazione di immagini con brevi estratti di brani musicali e la loro successiva comunicazione al pubblico.

In effetti, è stato già affermato da più parti che il mercato dei social sia diverso da quello dei servizi streaming, che hanno funzioni diverse e non sono fra di loro sostituibili. Proprio per questo la fruizione di servizi di streaming che i titolari dei diritti possano utilizzare non è alternativa rispetto a quella che viene offerta dai social. Tremite questi ultimi è possibile promuovere i brani e dar loro una visibilità verso un pubblico molto più vasto e in gran parte diverso da quello dei servizi di streaming, e più in generale offrire una modalità di utilizzazione dei contenuti musicali specifica e propria dei social stessi.

Dipendenza “da assortimento”

Va anche considerato che nelle piattaforme si può verificare una forma peculiare di dipendenza economica, definita “da assortimento”. In altre parole, un fornitore (come SIAE) per essere credibile nei confronti della propria clientela (i titolari dei diritti) deve poter accedere anche a quella piattaforma. In assenza di questo “assortimento” la sua proposta non è sufficientemente appetibile e la clientela può essere oggetto di dispersione.

Da ultimo, la circostanza che il fatturato attuale di SIAE sulle piattaforme di Meta ammonti solamente all’1% del fatturato della collecting stessa non pare sufficientemente rilevante ad escludere la dipendenza economica, considerato che l’obiettivo della normativa è prevenire, piuttosto che correggere, le distorsioni di mercato nel settore, con ciò presupponendo un intervento in una fase molto precoce dell’affermazione sul mercato della grande impresa, di cui va considerata non tanto l’attuale monetizzazione quanto la potenziale capacità di monetizzazione futura.

I trend

Altri sono gli spunti offerti dalla decisione del Consiglio di Stato che meriterebbero di essere ulteriormente approfonditi. Al di là, tuttavia, degli aspetti di dettaglio della decisione, ciò che colpisce maggiormente è il suo – almeno apparente – disallineamento con le tendenze antitrust prevalenti a livello europeo (e non soltanto). Recentemente sembrano infatti emergere tendenze volte a cogliere e sottolineare il potere raggiunto da alcune piattaforme digitali, e ad applicare alle stesse tutti i correttivi resi disponibili dall’ordinamento.

Basti a questo proposito ricordare la recente decisione della Corte di giustizia dell’Unione Europea (17 luglio 2024, caso T-1077/23), con cui è stato respinto il ricorso di TikTok contro la qualificazione quale gatekeeper da parte della Commissione Europea, con conseguente necessità da parte di TikTok di conformarsi agli obblighi previsti dal DMA. Numerosi sono poi i precedenti antitrust nell’ordinamento tedesco, che sono anche stati all’origine di leading case della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ed hanno ispirato alcune delle ultime novità normative in materia di regolamentazione del settore: fra questi si potrebbe anzitutto citare la decisione del Bundeskartellamt B6-22/16 del 6 febbraio 2019, che ha portato alla sentenza della Corte di Giustizia del 4 luglio 2023, nel caso C-252/21, Meta v. Bundeskartellamt, relativo al trattamento di dati personali da parte delle piattaforme; nonché la decisione del Tribunale regionale di Düsseldorf del 18 aprile 2024, nel caso 14d O 1/23, concernente le modalità di gestione della moderazione e dei blocchi da parte di Facebook.

Conclusione

Mentre le norme e la giurisprudenza in materia si vanno consolidando, l’emersione dell’intelligenza artificiale potrebbe in tempi molto brevi causare sviluppi tecnologici che – saldandosi con la già considerevole forza di mercato delle piattaforme digitali – potrebbero generare sfide senza precedenti alla tenuta dei diritti d’autore.

È dunque auspicabile che le autorità incaricate dell’enforcement si muovano rapidamente e in modo coordinato per indicare la strada da percorrere, e che – in particolare nel contesto dell’Unione Europea – si evitino approcci contraddittori e/o frammentati, che inevitabilmente si riverbererebbero in modo negativo su tutti i soggetti coinvolti (dai titolari dei diritti, alle collecting, alle piattaforme, agli utenti).

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