approfondimento

Giustizia digitale, ecco perché serve una rivoluzione di governance



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Non solo ristrutturazione del processo: il digitale deve entrare nei Palazzi di giustizia trasformando ogni aspetto anche fuori dalle aule. Serve però una governance che affronti le priorità necessarie al cambiamento

Pubblicato il 26 apr 2024

Claudio Castelli

Presidente Corte Appello di Brescia



digitale

La digitalizzazione è il futuro anche per la giurisdizione. Digitalizzazione non significa solo nuova strutturazione del processo e introduzione di strumenti di intelligenza artificiale, ma anche gestione complessiva: digitalizzazione degli edifici e della loro manutenzione, lettura della litigiosità e delle modalità di contenerla anche tramite le ADR, supporto del lavoro del magistrato, dell’avvocato e di qualsiasi operatore giuridico, conoscenza e predittività degli orientamenti, rapporto tra realtà territoriale e giustizia, controllo di gestione.

Digitalizzazione che deve essere vista non solo come interna al sistema giustizia, ma con un’enorme capacità di dilatazione. Importante disporre di una governance all’altezza del compito.

Digitalizzazione e giurisdizione: lo scenario

Il sistema giudiziario è già oggi un luogo di produzione qualificato di dati il cui valore non si arresta all’interno della singola vicenda giudiziaria, ma è capace di produrre significati e informazioni che vanno oltre il singolo processo, fino a proporsi come coefficiente sociale dell’ordinamento con una capacità espansiva e qualificante l’azione della giustizia.

Il rapporto tra giustizia e digitale

La giustizia già oggi grazie al PCT e agli altri, rari per ora, processi di digitalizzazione sviluppati, produce una incredibile massa di dati che non solo possono e devono essere elaborati per metterli a disposizione di chi esercita la giurisdizione, ma sono un indice ed hanno un impatto che travalica l’aspetto giuridico per investire quello economico e sociale.

La digitalizzazione è quindi diventata non solo elemento essenziale per il funzionamento della giustizia (nel settore civile se il PCT non funziona tutto si blocca), ma formante della giurisdizione e componente essenziale della stessa gestione di tutti gli aspetti dei Palazzi di giustizia.

Se quindi il monopolio da parte del Ministero della Giustizia dell’informatizzazione era comprensibile e giustificato (oltre che dovuto) quando l’informatica poteva essere qualificata come uno dei “servizi relativi alla giustizia”, oggi la prospettiva è molto più intrinseca alla giurisdizione e richiede quindi apporti e interlocuzioni con altri soggetti. Il C.S.M. in primis, chiamato dalla Costituzione a tutelare la giurisdizione, ma anche l’avvocatura per il compito di difesa dei diritti cui è chiamata dall’art. 24 della Costituzione.

Le priorità da affrontare

Interlocuzione e collaborazione che oggi è dovuta a livello costituzionale, ma che si rende necessaria anche a livello funzionale, perché come l’esperienza insegna solo con il coinvolgimento e la sinergia di tutti gli operatori, magistrati, avvocati, cancellerie si possono realizzare programmi che funzionino e che rispecchino le esigenze (spesso giustamente diverse) delle varie categorie.

Abbiamo visto nel passato come il PCT si è potuto sviluppare e raggiungere un esito positivo in un arco temporale limitato (dalle prime notifiche telematiche on line con valore legale all’obbligatorietà sono passati appena quattro anni) grazie alla sperimentazione in una sede, sia pure significativa come Milano, e al coinvolgimento pieno attraverso la c.d. Commissione Mista di magistrati, avvocati, funzionari, tecnici, informatici per arrivare al fornitore.

Oggi la sensazione che si avverte è di lontananza tra una Direzione ministeriale informatica (la DGSIA) debole e con un numero insufficiente di informatici da un lato e gli uffici giudiziari dall’altro. La logica sembra quella dell’autoreferenzialità e dell’imposizione astratta, senza seguire quell’iter faticoso e fruttuoso che parla di coinvolgimento dei diversi attori della giurisdizione, di continui confronti, di correzioni, di sperimentazioni in sedi pilota, di formazione e di assistenza on site.

Questa logica ha portato all’imposizione di un sistema informatico agli uffici giudiziari minorili nel giugno del 2023 tuttora non adeguato e irrisolto e agli enormi problemi che sta incontrando App, il sistema che doveva lanciare il Processo Penale Telematico, a partire dalle richieste e dai decreti di archiviazione.

Giustizia digitale, i problemi di governance

Non si tratta di un risultato casuale, ma evidenzia un chiaro deficit di governance.

Un Ministero che non dialoga a sufficienza con uffici giudiziari e avvocatura. Un Ministero che, nei Dipartimenti e Direzioni che dovrebbero occuparsi di informatica, risulta avere perso l’unitarietà, ormai frazionato in più centri, con difficoltà di dialogo e di comunità di intenti. Se fino al 2022 c’era solo una DGSIA inserita nel Dipartimento dell’Organizzazione Giudiziaria del Ministero della Giustizia, oggi abbiamo due Dipartimenti, con il nuovo Dipartimento della Transizione Digitale da cui dipendono sia la DGSIA sia una nuova Direzione per le infrastrutture informatiche. Vi è da domandarsi se sia razionale la divisione tra organizzazione e tecnologie, ma al di là di questo aspetto la frammentazione di competenze è del tutto negativa e porterà a difficoltà di dialogo e sprechi.

Un Ministero che inoltre ha pochi informatici rispetto alle necessità e che non riesce a reclutarne altri per gli stipendi del tutto fuori mercato che lo stesso propone. E’ il problema del lavoro pubblico povero che fa sì che i bandi di reclutamento per alcune figure vadano deserti e che non si riescano ad attirare, come occorrerebbe, le migliori professionalità. In questo quadro come si può pensare di arrivare a personalizzazioni per la giustizia di programmi di intelligenza artificiale generativa, come pure sarebbe opportuno e necessario? Le prospettive sono inevitabilmente cupe. L’ipotesi è quella di una sostanziale ed occulta privatizzazione ove le società che vinceranno gli appalti potranno gestire i sistemi senza adeguati controlli ed avendo l’accesso ad una miniera di dati, con ovvi rischi per la sicurezza e per la stessa funzionalità.

Governance per la digitalizzazione della giustizia: gli obiettivi

L’alternativa da proporre oggi è di superare la DGSIA, costruendo una governance diversa, coinvolgendo tutti i soggetti istituzionali interessati. Un’agenzia (simile alla SOGEI del Ministero dell’Economia) controllata al 100 per cento dal Ministero della Giustizia, con un Consiglio di Amministrazione nominato di concerto dal Ministero e dal C.S.M. e sentito il C.N.F. che possa garantire agilità e stipendi adeguati e concorrenziali con dipendenti capaci e fidelizzati.

Agenzia dedicata ed in mano al Ministero della Giustizia per rispettare la Costituzione e assicurare il coinvolgimento di tutti gli operatori della giustizia, mentre va esclusa radicalmente ogni ipotesi di accorpamento con la SOGEI o altre agenzie già esistenti che porterebbero a subordinare la giustizia ad altre esigenze e ad elevare alla massima potenza quella lontananza e incapacità di farsi carico della complessità del sistema che oggi lamentiamo.

Non dobbiamo nasconderci il rischio di creare un nuovo carrozzone, oggetto di appetiti per ricoprire le cariche di responsabilità, ma l’obiettivo deve essere una struttura agile, funzionale e capace di assorbire e utilizzare le migliori energie e capacità che oggi esistono negli uffici giudiziari e nell’avvocatura.

Una prospettiva ambiziosa, quanto necessaria.

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