Se c’è un lato positivo in questa pandemia di coronavirus, è senz’altro il balzo in avanti tecnologico cui ci sta costringendo questo scenario inedito. Titubanze, incertezze e tentennamenti sull’adozione di soluzioni smart sono stati sostituiti da corse alla digitalizzazione per cercare di far funzionare la macchina della giustizia anche in questo scenario che mai prima d’ora avremmo ipotizzato.
Se da un lato alcune soluzioni collaudate sono state estese in modo indolore (come l’obbligo di deposito degli atti introduttivi in telematico nel processo civile avanti a tribunali e corti d’appello, che si inserisce sul solco di un procedimento pressoché interamente digitalizzato) in altri settori il conclamato ritardo tecnologico ha costretto a soluzioni improvvisate, con rischio di sacrificare le regole processuali e la privacy delle parti coinvolte.
La digitalizzazione dei fascicoli e delle comunicazioni
Il fascicolo telematico è ormai una realtà in quasi tutti i procedimenti civili (con le sostanziali eccezioni dei giudizi avanti al Giudice di Pace ed alla Suprema Corte di Cassazione). Gli unici atti che possono essere depositati in cartaceo sono quelli introduttivi, facoltà di cui però ci si serve ormai in poche ipotesi residuali, in quanto ormai la categoria preferisce nettamente le forme telematiche.
Il Giudice di Pace, giudice di prossimità che per sua natura gestisce cause in cui la presenza delle parti è maggiore (ed a volte le parti partecipano anche come difensori di se stesse, per cause di valore inferiore a 1.100 euro ovvero anche per cause di valore superiore ove il Giudice di Pace lo ammetta con decreto, in considerazione della natura ed entità della causa), non è mai stato inciso da procedure telematiche relative alla gestione dei fascicoli, salvo la timida comparsa della protocollazione via web (cui fa seguito, in ogni caso, il deposito cartaceo).
Nonostante questo è evidente che sarebbe possibile una telematizzazione del giudizio di prossimità, introducendo (sul modello del processo telematico avanti al Tribunale) un canale quantomeno facoltativo per il deposito degli atti in telematico, consentendo così un efficientamento degli Uffici e una gestione più agile delle procedure da parte di Giudici e legali. Se è vero che la telematizzazione delle procedure ha comportato un importante risparmio di spesa nel settore della giustizia civile, è evidente che un’amministrazione della giustizia efficiente dovrebbe (o, meglio, avrebbe dovuto) cercare di replicare tale risparmio anche nel procedimento avanti al Giudice di Pace.
Identico ragionamento può farsi nel procedimento avanti alla Corte di Cassazione, dove la telematizzazione delle procedure consentirebbe inoltre agli Ermellini di acquisire familiarità con uno strumento (quello telematico) su cui si trovano giocoforza a giudicare (senza conoscerlo) con funzione nomofilattica. Su questo fronte è attiva la sperimentazione del giudizio telematico avanti alla Corte di Cassazione a far data dal 25 settembre scorso, sperimentazione che comunque non ha consentito di accelerare i tempi di adozione del telematico in Cassazione in vista dell’emergenza sanitaria che ci ha travolti.
I processi telematici
Sul fronte del processo amministrativo, invece, la telematizzazione della procedura avanti ai T.A.R. ed al Consiglio di Stato è pressoché totale, sia dal lato delle parti che dal lato della magistratura, con limitate (e motivate) eccezioni. Sul processo amministrativo telematico pesa unicamente la normativa in tema di copie di cortesia, che tradisce lo spirito della normativa e ne riduce in certa misura gli effetti benefici per tutte le parti coinvolte.
Per quanto riguarda invece il processo tributario, il processo telematico è a regime dal 01 luglio 2019. L’obbligatorietà delle modalità telematiche si estende inoltre alla fase delle notifiche, ma non obbliga, ad oggi, i magistrati. Nel processo contabile invece le modalità telematiche sono meramente facoltative e basate quasi integralmente sulla PEC.
Discorso a parte va fatto infine per il processo penale, dove le esigenze caratteristiche di quel rito hanno giustificato un approccio prudenziale nell’adozione di modalità telematiche. Va però detto che questa “prudenza” ha inciso anche in settori in cui non ve n’era motivo, come ampiamente dimostrato da questa situazione di emergenza in cui, senza obiezioni, molte attività sono state “digitalizzate” senza che sorgessero obiezioni di sorta.
La situazione nell’emergenza sanitaria
Il coronavirus ha cambiato profondamente (anche se probabilmente solo temporaneamente) l’approccio dei magistrati e degli avvocati al metodo telematico ed ha consentito dei balzi avanti prima inconcepibili. I Tar Lombardia e Veneto hanno addirittura sospeso il deposito delle tanto care copie cartacee di cortesia (ora pericoloso veicolo di virus), e lo stesso è successo in numerosi tribunali civili (es. Padova).
Alcuni tribunali (es. Lecce) hanno poi dato il via libera al deposito via PEC degli atti destinati al Giudice di Pace consentendo così la prosecuzione dell’attività del magistrato di prossimità anche in questa delicata fase di emergenza, altri tribunali, tra cui Padova, hanno optato per la previa comunicazione via PEC dell’intenzione di depositare atti urgenti al Giudice di Pace. La Cassazione ha poi dato il via libera, con disposizione di servizio del Primo Presidente del 13 marzo scorso, al deposito di memorie o motivi aggiunti a mezzo PEC per il periodo dal 23 marzo al 31 maggio 2020.
Nel frattempo, a partire dal febbraio 2020, è in corso di organizzazione la sperimentazione del desk del consigliere, ovvero il corrispondente per la Cassazione della consolle del magistrato per tribunali e corti d’appello. Inoltre, in data 23 marzo 2020, sono stati pubblicati i nuovi schemi XSD da utilizzare sul Model Office per la sperimentazione del processo telematico in Cassazione, forse quindi l’attuale emergenza sanitaria ha inciso anche sui tempi della sperimentazione, ci si augura solo che l’avvio del telematico in Cassazione proceda speditamente anche una volta che sarà passata la crisi.
Gli effetti del decreto Cura Italia
Il D.L. Cura Italia è da ultimo intervenuto confermando, nel processo civile avanti ai tribunali ed alle corti di appello, l’obbligo del deposito telematico anche degli atti introduttivi fino al 30 giugno 2020, così come l’obbligo di assolvere al versamento del contributo unificato unicamente con sistemi telematici. Lo stesso decreto ha poi disposto la sospensione dei termini fino al 15 aprile.
Alla luce della sospensione dei termini alcuni Uffici hanno assunto provvedimenti radicali, come il Tribunale di Torino che ha adottato il 18 marzo scorso un protocollo in cui è disposto il rifiuto di tutti i depositi telematici non urgenti nel settore civile. Una simile scelta è criticabile per il fatto che comporta un esame della busta prima del rifiuto (previsto dal protocollo), nonché per il fatto che creerà la conseguenza di un sovraccarico di depositi concentrati nel momento in cui scadrà la sospensione. Più opportuni sembrano i provvedimenti adottati da altri Tribunali in cui la segnalazione di urgenza è affidata ad un duplice canale (flag su deposito ed email) mentre gli altri depositi non urgenti verranno aperti ove possibile e una volta smaltiti i depositi urgenti. La sospensione dei termini è stata estesa anche ai processi penale, amministrativo, tributario e contabile.
Il caso del procedimento penale
Con riguardo al procedimento penale, il D.L. Cura Italia ha inciso sulle notifiche e comunicazioni da parte della cancelleria. In primo luogo le comunicazioni e le notificazioni relative agli avvisi e ai provvedimenti adottati nei procedimenti penali sono effettuate mediante invio all’indirizzo di posta elettronica certificata di sistema del difensore di fiducia. Inoltre, tutti gli uffici giudiziari sono autorizzati all’utilizzo del Sistema di notificazioni e comunicazioni telematiche penali per le comunicazioni e le notificazioni di avvisi e provvedimenti. Finora (e dal 2012) questo step era bloccato perché mancava l’attività di verifica e accertamento della funzionalità dei servizi di comunicazione, attività su cui ora esplicitamente il D.L. Cura Italia impone di soprassedere.
Alcuni tribunali hanno poi esteso le facoltà dei difensori di deposito a mezzo PEC nel penale, ad es. Il Tribunale di Verona ha consentito al deposito a mezzo PEC delle istanze tese all’assunzione di prove indifferibili con anticipo di almeno tre giorni rispetto all’udienza. La digitalizzazione di queste forme di comunicazione e deposito nel procedimento penale provano il fatto che alcuni step del telematico nel procedimento penale sono stati troppo a lungo ignorati, a detrimento delle categorie professionali coinvolte, dei costi del processo e in ultimo degli imputati, “vittime” di un sistema colposamente inefficiente. Le garanzie di cui deve essere guarnito il processo penale non sono in contrasto con la tecnologia, che anzi potrebbe in alcuni casi rafforzarle, e comunque non tassellano necessariamente ogni attività del processo, anche nel penale ci sono attività che, data la loro natura non cruciale, possono essere affidate a byte invece che a cellulosa.
Le udienze da remoto
Un altro aspetto del processo su cui si è concentrata la telematizzazione forzata di questi giorni è senz’altro quello della celebrazione delle udienze in videoconferenza. Le uniche normative sul punto erano quelle presenti all’art. 146 bis del D.Lgs. 28 luglio 1989 n. 271 (che regola il dibattimento a distanza nel processo penale) e all’art. 16 del D.L. 23 ottobre 2018, n. 119 (per il processo tributario). La disciplina relativa all’udienza da remoto nel procedimento penale è però sempre stata riservata alla persona in stato di detenzione o alla persona ammessa a programmi o misure di protezione in procedimenti per reati particolarmente gravi e (nella maggior parte delle ipotesi) commessi da una pluralità organizzata di soggetti (associazione a delinquere, associazione a delinquere di stampo mafioso, associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, …) ovvero per ragioni di sicurezza o ancora qualora il dibattimento sia di particolare complessità’ e sia necessario evitare ritardi nel suo svolgimento.
La normativa è poi (giustamente in questo caso) molto garantista circa la libertà del soggetto che partecipa da remoto, disponendo che sia necessaria la presenza, con il soggetto che interviene all’udienza dibattimentale, di un ausiliario abilitato ad assistere il giudice in udienza per attestare l’identità del soggetto e dare atto che non sono posti impedimenti o limitazioni all’esercizio dei diritti e delle facoltà a questi spettanti.
L’udienza dibattimentale infatti esige che sia possibile una verifica completa delle condizioni del soggetto che partecipa all’udienza e della sua piena e libera partecipazione al giudizio. Una simile esigenza potrebbe riverberare anche nel settore civile se si pensasse di dar corso ad istruttorie testimoniali o ad interrogatori formali nelle forme della videoconferenza: sapere cosa o chi c’è dietro lo schermo, sapere che il teste non sta leggendo degli appunti preparati, diventa essenziale per poter valutare correttamente la prova (sarebbe forse meglio, a quel punto, dare ingresso alla testimonianza scritta).
La normativa del procedimento tributario, al contrario di quella che regola l’udienza a distanza nel penale, è invece rivolta alla generalità delle cause ed infatti si pensava che quello tributario sarebbe stato il primo processo ad ammettere in via generale la possibilità di celebrare udienze in videoconferenza. Molti avevano quindi guardato con grande interesse alla normativa in tema di udienze da remoto comparsa nel processo tributario telematico, lodandone alcuni aspetti e criticandone altri. Non molto comprensibile era risultata infatti la scelta di dover indicare la volontà di effettuare le udienze da remoto sin dal primo atto difensivo (mortificando quindi la flessibilità dello strumento) e quella di vincolare la videoconnessione all’aula di udienza (lato magistrati) e al “luogo del domicilio eletto” (lato parti e difensori), scelta la cui scarsa lungimiranza è stata resa evidente in queste settimane di emergenza, dove la videoconferenza è certo molto più utile ed attuabile se consente di connettersi dal luogo in cui si dimora. In ogni caso il via alle udienze da remoto nel processo tributario era subordinato all’emissione di uno o più provvedimenti del direttore generale delle finanze, che individuasse le regole tecnico-operative per consentire la partecipazione all’udienza a distanza. Purtroppo, nonostante siano trascorsi due anni dall’entrata in vigore del D.L. 119/2018, questi provvedimenti non sono stati emessi e la normativa che disciplina l’udienza da remoto è rimasta così inattuata.
La normativa emergenziale sulle udienze da remoto
L’attivazione delle udienze da remoto è stato un punto centrale nella normativa dell’emergenza sanitaria nel settore giustizia. Sul punto, prima che intervenisse il legislatore, il Tribunale di Bergamo, con disposizione di servizio del 24 febbraio 2020, ha dato il via libera alle udienze da remoto nel civile, da celebrarsi via Skype, Lync o equivalenti in caso di assenso dei difensori. Anche la Giustizia Amministrativa, dopo le aperture dell’art. 3 del D.L. 11/2020 che aveva ammesso la trattazione mediante collegamenti da remoto anche nel procedimento amministrativo, aveva risposto tempestivamente con un interessante provvedimento del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa in cui si ammetteva l’udienza da remoto nel processo amministrativo utilizzando Microsoft Teams o Skype for Business (applicativi già in dotazione alla Giustizia Amministrativa), ovvero tramite conference call oppure infine, in via subordinata, anche tramite chiamate di gruppo via WhatsApp.
Peccato che l’art. 83 del D.L. 18/2020 abbia, pochi giorni dopo, bloccato sul nascere questi entusiasmi, eliminando la possibilità di celebrare udienze in videoconferenza nel processo amministrativo e disponendo il passaggio in decisione delle controversie fissate per la trattazione tra il 16 aprile e il 30 giugno. Le parti hanno facoltà di presentare brevi note sino a due giorni liberi prima della data fissata per la trattazione. Gli unici procedimenti che verranno trattati da remoto sono quindi quelli civili e penali ai sensi dell’art. 83 D.L. 18/2020, per i quali, a certe condizioni, le udienze potranno celebrarsi mediante collegamenti da remoto nel periodo dal 16 aprile al 30 giugno. Fino al 15 aprile potranno inoltre essere svolte in videoconferenza le udienze urgenti e non sospese.
La modalità di svolgimento dell’udienza da remoto è solo uno tra i possibili provvedimenti che potranno essere adottati dai capi degli uffici giudiziari per contrastare l’emergenza epidemiologica e contenerne gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria. Rimangono inoltre le aperture per la giustizia tributaria e contabile, cui si applica l’art. 83 D.L. 18/2020 “in quanto compatibile”. Il problema che residua, con riguardo a questi due ultimi procedimenti, è quello di coordinare l’udienza da remoto con l’eventuale assenza di strumenti dedicati e dislocati su server ministeriali, nonché di consentire ai magistrati di rendere provvedimenti in formato nativo digitale, mancando una disciplina specifica sul punto (e in certi casi gli strumenti informatici necessari).
Si tratta senz’altro di un’occasione mancata, specie per il procedimento tributario che già due anni fa aveva introdotto la possibilità dell’udienza da remoto, salvo poi bloccarne gli sviluppi per la mancanza dei decreti attuativi. Venendo invece al procedimento civile ed a quello penale, le modalità di svolgimento delle udienze da remoto sono state individuate dal provvedimento pubblicato in data 20.03.2020 dalla DGSIA che ha individuato, per le udienze civili, i seguenti strumenti informatici da utilizzare per le udienze in videoconferenza: Skype for Business e Microsoft Teams. Considerando che Skype for Business è in via di dismissione (prevista per il luglio 2021) e confluirà proprio in Microsoft Teams (entrambi i programmi appartengono alla casa di Redmond), è evidente che non vengono offerte all’utente grandi alternative per la celebrazione dell’udienza da remoto e che ancora una volta la scelta dell’amministrazione non ha privilegiato software liberamente utilizzabile, preferendo invece una soluzione proprietaria.
Queste critiche però lasciano il tempo che trovano in una simile situazione di emergenza e non c’è che da essere grati per il fatto che il Ministero abbia già implementato un sistema pratico e funzionale per gestire le udienze da remoto, pronto all’uso in questo momento difficile. La ragione che sta dietro alla scelta di questi due software è presto spiegata dallo stesso provvedimento del DGSIA, che precisa che i collegamenti effettuati con i due programmi citati su dispositivi del Ministero o personali (inserendo le credenziali ospitate sul dominio giustizia) utilizzano infrastrutture del Ministero stesso o aree di data center riservate in via esclusiva al Ministero della Giustizia. La scelta di questi strumenti (sarebbe forse meglio dire “questo strumento”) riposa quindi verosimilmente su una considerazione di sicurezza dei dati trasmessi. L’udienza in videoconferenza può poi essere utilizzata solamente nei procedimenti in cui è prevista la partecipazione unicamente dei difensori e delle parti.
Pare francamente difficile però immaginare una corretta gestione dell’udienza con la partecipazione personale delle parti (specie se numerose) connesse in video con le stesse possibilità tecniche di intervenire che hanno i rispettivi legali. Le alternative, di ordine pratico, vanno dal silenziare in videoconferenza gli utenti “non professionali” salvo loro richiesta di prendere la parola (magari tramite chat), al “dissuadere” i clienti a partecipare in videoconferenza da parte degli avvocati, al far partecipare i clienti direttamente dallo studio del legale (rispettando la distanza di sicurezza) oppure infine, per i colleghi più temerari, al tentativo di “educare” i clienti all’etichetta dell’udienza da remoto, a cui tutti ci dovremo presto abituare. Del resto, anche in ottica sistematica, pensare che questa normativa emergenziale possa imporre al giudice un colloquio “diretto” con le parti personalmente (colloquio diretto che l’assistenza tecnica serve appunto a “filtrare” professionalmente) appare una forzatura, peraltro inedita nel codice di procedura civile.
Per le udienze penali è previsto invece l’utilizzo dei sistemi per il dibattimento a distanza di cui all’art. 146 bis D.Lgs. 28 luglio 1989 n. 271. Possono inoltre essere utilizzati i medesimi strumenti previsti per le udienze civili nell’ipotesi in cui non sia necessario garantire la fonia riservata tra la persona detenuta, internata o in stato di custodia cautelare ed il suo difensore e qualora il numero degli imputati, che si trovano, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione in luoghi diversi, consenta la reciproca visibilità. In questo caso le doverose garanzie del procedimento penale hanno spinto il legislatore a preferire una soluzione più garantista rispetto a quella per cui si è optato nel civile. Peccato che il baluardo a tutela dell’effettività del dibattimento, nel D.Lgs. 271 del 1989, non fosse tanto negli strumenti, quanto nella presenza fisica dell’ausiliario del giudice nell’aula in cui è presente il soggetto in stato di detenzione o sottoposto a misure di protezione.
Conclusioni
È una fortuna che il processo telematico sia così sviluppato in Italia. Strumenti radicati come quelli del processo civile, amministrativo, tributario e contabile telematico stanno consentendo al settore giustizia di continuare a funzionare, quantomeno con riferimento alle attività urgenti, senza contraccolpi e senza dover ricorrere a strumenti improvvisati. I ritardi e i tentennamenti del settore, peraltro in molti casi non giustificati, stanno però mettendo in difficoltà gli operatori in questa situazione di emergenza e stanno altresì costringendo molti operatori a soluzioni non ortodosse e in certi casi addirittura pericolose.
Pensare che nel 2020 non si sia arrivati alla telematizzazione del procedimento in Cassazione (pur con una sperimentazione già avviata), e che il Giudice di Pace non abbia un canale (pur ovviamente facoltativo almeno per le cause non patrocinate da un legale) per il deposito atti in digitale è davvero incomprensibile. Altrettanto incomprensibile è che nel 2020 non sia stato ancora introdotto a regime uno strumento per consentire la partecipazione a distanza alle udienze con effetti benefici sul lavoro dei professionisti, dei giudici, delle parti e finanche dell’ambiente. È poi assurdo pensare che nel 2020 esista ancora una parcellizzazione di strumenti e formati dei processi telematici (civile, amministrativo, tributario, contabile e penale), che impedisce allo processo digitale di crescere e di usufruire di opportune economie di scala.
Ci si augura quindi che questa emergenza sia di lezione e che ci sproni a creare un canale digitale che consenta, finalmente, ai professionisti del settore di affrontare il processo in mobilità.