Fa riflettere, sulle crescenti relazioni tra digitale e giustizia, il fatto che (da settembre) in Cina ci sia un Tribunale interamente dedicato, in via esclusiva, alle controversie in qualsivoglia modo legate a internet.
Tale Corte, con sede a Pechino, è come detto la seconda internet-related del Paese, essendo stata istituita già nel 2017 la Hangzhou Internet Court, ed essendo prossima l’apertura di un terzo Tribunale di tale tipo, sempre in Cina.
Il fenomeno presenta indubbiamente profili di interesse, che probabilmente travalicano la sfera propria dell’amministrazione della giustizia, essendo tali decisioni espressive di una spiccata sensibilità culturale alla materia della digital transformation.
Il perimetro di competenza delle internet Court
Come accennato, il perimetro della competenza delle “Internet Court” è tracciato in ragione dell’afferenza tecnologica dei giudizi, potendo essi abbracciare profili giuridici tra loro estremamente eterogenei. Per citarne solamente alcuni, si pensi alla materia del cyber crime, dello shopping online, della privacy, della concorrenza digitale, etc.
Tali iniziative rappresentano la risposta che il Governo cinese ha inteso elaborare, in concreto, per far fronte a una pressante domanda di giustizia focalizzata su questioni digitali, originata dalla crescita esponenziale di utenti costantemente connessi alla rete.
Il rapporto 2018 dell’Agenzia Governativa “China Internet Network Information Center” (CNNIC) ha infatti stimato il numero di fruitori cinesi di servizi digitali in 802 milioni, pari al 57,7% della popolazione, geograficamente concentrati, in particolare, nelle aree urbane del Paese. Numeri sorprendenti, in specie se confrontati con quelli degli altri Paesi (o meglio, degli altri continenti!): 700 milioni in Europa, 450 milioni in Africa, 345 milioni in America del Nord (cfr. Internet Usage Statistics 2018).
Accesso h24 alla Corte
Ebbene, la peculiarità di tali innovativi organi giudiziari – oltre al profilo per così dire tematico delle cause trattate – risiede anche nelle modalità di funzionamento, ad elevato contenuto digitale: a rivestire un ruolo cruciale è infatti la piattaforma, come luogo virtuale di accesso h24 alla Corte, per l’introduzione di un giudizio, per l’estrazione di documentazione, la consultazione del proprio fascicolo telematico, il reperimento di casi analoghi sui quali si è già precedentemente pronunciata la Corte, etc.
Il digitale fa così il suo ingresso nelle aule di giustizia cinesi, non già soltanto come oggetto delle controversie devolute alla competenza specifica delle nuove Corti tematiche, bensì anche e soprattutto come strumento principe nella gestione e nell’amministrazione del sistema giudiziario cinese.
Digital transformation, AI e giustizia
E ciò, del resto, in piena coerenza con quelle che sono le tendenze di portata globale, che ben si inscrivono nel contesto di quel fenomeno massivo e pervasivo sopra accennato, che va sotto il nome di digital transformation e che incontra nell’intelligenza artificiale il volano del cambio di paradigma in atto.
Come scrive Massimo Gaggi, «l’intelligenza artificiale sta arrivando nel mondo degli avvocati e in quello dei tribunali, con alcuni giudici che negli Stati Uniti cominciano a usare algoritmi per stabilire la pena da infliggere ai condannati» (M. Gaggi, Homo Premium. Come la tecnologia ci divide, Editori Laterza, Roma-Bari, p. 46).
Ad essere protagonista è dunque la pervasività del digitale, che diviene oggetto, fine e strumento di un sistema giudiziario che – pare indubitabile – è chiamato a ripensare se stesso, di fronte ad una crisi strutturale.
Digitalizzazione e tutela giurisdizionale
Ecco dunque che il tema della digitalizzazione ben si intreccia inevitabilmente con quello, sempre più pressante, dell’effettività della tutela giurisdizionale, in un ordinamento giuridico, quello italiano, segnato da una crisi che interessa la capacità del sistema giudiziario di garantire la composizione delle controversie in maniera efficace e in tempi ragionevoli.
Come evidenziato in dottrina lavoristica, infatti, la giustizia (in specie civile) è segnata da una «crisi di tempi e di effettività» (R. Pessi, La protezione giurisdizionale del lavoro nella dimensione nazionale e transnazionale: riforme, ipotesi, effettività, in Riv. It. Dir. Lav., 2010, I, p. 195).
Ecco dunque che il ruolo del giurista, mai come in questo momento storico disruptivo, si fa “creatore”, nell’aprirsi ad altre sfere della conoscenza e ad altre culture, cogliendo in esperienze quali quella dei Tribunali di internet cinesi una fonte di ispirazione e modelli di riferimento.
In questo senso, di grande attualità anche in ambito giuridico, pare il contributo offerto da Walter Ruffinoni, nel suo Codice del futuro. L’Italia e la sfida giapponese dell’innovazione (Marsilio, Venezia, 2017), secondo il quale la formula del successo nell’era digitale risiede nella coniugazione tra innovazione e tradizione, nel segno di una proficua contaminazione tra modelli ed esperienze, orientali e occidentali.
Al riguardo, l’esperienza cinese delle Corti dedicate ad internet costituisce proprio un’emblematica rappresentazione di tale virtuoso processo di dialogo.
Si ritiene invero necessario riallineare la funzionalità del sistema giudiziario rispetto alle effettive esigenze di giustizia che gli attori giuridici manifestano, in un contesto marcatamente segnato dallo iato tra territorialità del diritto e spazialità dell’economia.
Il digitale al servizio dell’efficienza del sistema giudiziario
In questa direzione, la sfida posta dalla digitalizzazione pare rappresentare una via imprescindibile, nell’ottica di perseguire un’opera di efficientamento del sistema giudiziario, tesa a garantire l’attualità del pensiero di un padre del Diritto italiano che, quasi sessant’anni fa, scrisse: «Il processo deve dare, per quanto è possibile praticamente, a chi ha un diritto tutto quello e proprio quello ch’egli ha diritto di conseguire» (G. Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile, Jovene, Napoli, 1960, I, p. 39).
In quest’ottica, per poter conseguire un simile obiettivo, risulta imprescindibile comprendere che «La tecnologia in fondo non è che un fattore abilitante, uno strumento laico ad alto potenziale che le singole persone possono plasmare e trasformare in soluzioni efficaci per rispondere alle sfide e ai bisogni del nuovo millennio» (W. Ruffinoni, op. cit., p. 25).