È ormai chiaro, man mano che l’utilizzo di sistemi di intelligenza artificiale si diffonde sempre di più, non solo nell’ambito dell’esercizio dell’attività di impresa ma anche nel mondo giuridico, con le sue sfaccettature e complessità, che un aspetto centrale è costituito certamente dalla necessità di assicurare la corretta formazione di questi sistemi, anche al fine di evitare possibili discriminazioni.
L’importanza del corretto addestramento delle IA
Proprio come per l’uomo, è fondamentale che le informazioni trasmesse alla macchina in sede educativa e formativa non siano viziate: uno degli aspetti più controversi, infatti, e che ha determinato una serie di problemi applicativi nell’utilizzo degli algoritmi, è certamente rappresentato dal rischio del cosiddetto bias algoritmico, ossia un errore nell’elaborazione del risultato frutto del procedimento algoritmico, determinato dal fatto che le informazioni fornite all’algoritmo sono errate o frutto addirittura di una stratificazione di dati viziata da pregiudizi di varia natura (razziale, sessuale, ideologica).
IA nella professione giuridica: la selezione delle fonti
E il processo di formazione è ancora più delicato se si ipotizza un utilizzo di sistemi di intelligenza artificiale basati su algoritmi altamente sviluppati che siano di supporto all’esercizio di professioni spiccatamente tecniche, come quella giuridica.
È evidente, infatti, che occorre evitare che il processo di formazione delle “macchine” si traduca in una mera acquisizione di dati (articoli, commenti, note a sentenza) rinvenuti nel mare magnum della rete, dove il livello dei contributi può essere il più disparato.
È chiaro allora che un corretto addestramento dei sistemi di intelligenza artificiale richiede come necessaria la preventiva delimitazione degli strumenti con i quali gli stessi devono essere addestrati, operando a monte un’attività di selezione che consenta di individuare quelle fonti che presentano un grado di certezza tale da consentire all’intelligenza artificiale addestrata su di esse di fornire all’utente un risultato che presenti un elevato grado di attendibilità.
Ciò, in termini pratici, si traduce certamente nella necessità di addestrare questi sistemi facendo acquisire i testi di legge, da intendersi in un’ampia accezione (codici, leggi, decreti-legge, decreti-legislativi, decreti ministeriali, regolamenti, provvedimenti delle autorità indipendenti); il che già pone in concreto una serie di difficoltà, considerate le tecniche utilizzate dal legislatore con una serie di modifiche e stratificazioni testuali che rendono spesso difficile, anche per l’operatore giuridico più esperto, individuare la norma che disciplina una determinata fattispecie in uno specifico momento storico.
Ma anche nella necessità di assicurare che tale formazione tenga conto del contributo giurisprudenziale che al testo normativo dà vita e, spesso, specialmente a fronte di formulazioni della norma non sempre chiare o comunque suscettibili di diverse interpretazioni, fornisce quella che deve ritenersi maggiormente in linea con il dato letterale e con la finalità della norma (art. 12 preleggi).
L’interpretazione giurisprudenziale della legge: diversi livelli (merito e legittimità)
È fondamentale allora evidenziare che in Italia, senza voler considerare in questa sede il livello comunitario e sovranazionale di interpretazione della legge, che pure ha ormai un peso sempre più determinante, i gradi di giudizio della giustizia sono tre (giudizio di primo grado, giudizio di appello e giudizio innanzi alla Corte di Cassazione), e che i primi due gradi possono essere assimilati sul piano funzionale, tant’è che rientrano entrambi nell’ambito dei cosiddetti giudizi di merito, ossia di quei giudizi che si traducono nella risoluzione del singolo caso che è sottoposto all’attenzione del giudice di primo grado e poi, eventualmente, del giudice di secondo grado o di appello. Si tratta, quindi, di un giudizio che si sostanzia nell’esame e valutazione del materiale istruttorio raccolto nel processo e nella decisione del singolo caso in applicazione della legge.
Diversamente, il giudizio innanzi alla Corte di Cassazione, esperibile peraltro solo in determinate ipotesi, implica il possibile esercizio da parte di tale organo della funzione cosiddetta nomofilattica, che si sostanzia nel “garantire l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale”, funzione riservata alla Corte di Cassazione ai sensi dell’art.65 della legge sull’ordinamento giudiziario (R.D. 30 gennaio 1941 n.12).
La funzione nomofilattica si traduce, in termini pratici, nell’affermazione di principi di diritto, la cui rilevanza travalica i confini della singola fattispecie – che pure rappresenta il punto di partenza della decisione dei Giudici di Legittimità e impone all’interprete la non sottovalutazione della stessa, perché un principio di diritto affermato in relazione a una singola fattispecie che presenti propri tratti di peculiarità potrebbe non essere del tutto riferibile a una fattispecie anche solo parzialmente dissimile dall’altra – e finisce con il contribuire, di fatto, a perfezionarne l’interpretazione; e ciò anche in un sistema come il nostro di Civil Law in cui il precedente giurisprudenziale, pur proveniente dalla Corte di Cassazione, non è vincolante, nel senso che non preclude al singolo giudice di merito di discostarsene, in maniera determinante all’interpretazione del testo normativo, fermo restando il vincolo giurisprudenziale c.d. verticale, oggi rafforzato dal nuovo art. 363 bis c.p.c. che ha introdotto il rinvio pregiudiziale.
Utilità di un addestramento dell’IA con decisioni raccolte in banche dati di merito
Ecco allora che viene da domandarsi se sia non solo tecnicamente corretta, ma anche utile sul piano pratico addestrare dei sistemi di intelligenza artificiale in ambito giuridico facendo acquisire decisioni dei giudici di merito, di primo e secondo grado.
Si tratta, infatti, come si è in parte anticipato, di decisioni che risolvono casi specifici, concreti, applicando e interpretando la legge e rispetto alle quali, quindi, certamente non è possibile individuare l’affermazione di principi di diritto di portata generale, almeno in linea di massima.
In altri termini, l’idea di addestrare i sistemi di intelligenza artificiale tramite le banche dati che raccolgono le sentenze e altri provvedimenti dei giudici di merito può portare a risultati sostanzialmente irrilevanti sul piano pratico perché sarà molto difficile per la macchina trarre da queste decisioni dei principi di diritto di portata generale – che, del resto, esse non sono tenute istituzionalmente ad affermare -, potendo semmai ritrovarsi in queste decisioni l’applicazione di principi di diritto affermati dalla Corte di Cassazione: anzi, estrarre un principio di diritto, da una sentenza destinata giuridicamente a non produrlo, è scelta fallace (trattando la situazione non già come è, ma come se fosse[1]).
Del resto, anche se si raffrontano sul piano più strettamente strutturale e del contenuto del provvedimento le decisioni dei giudici di merito e quelle di legittimità è possibile verificare che queste ultime contengono, sempre che si tratti di pronunce con le quali la Suprema Corte esprime la propria funzione nomofilattica, come ad esempio per le decisioni a Sezioni Unite, una parte della motivazione in cui si afferma espressamente il principio di diritto.
Il che comporta, anche in termini pratici, una maggiore facilità di addestrare i sistemi di intelligenza artificiale all’acquisizione di dati funzionali tratti dalle decisioni dei Giudici di Legittimità, laddove, invece, quest’attività risulta praticamente impossibile da svolgere rispetto alle decisioni di merito, per il motivo molto semplice che manca in queste pronunce l’enunciazione di un principio di diritto e che, laddove questa sia presente, o si traduce comunque in un richiamo a principi di diritto affermati dalla Corte di Cassazione, o costituisce l’affermazione sì di un principio di diritto – si pensi alle prime applicazioni di una norma di nuovo conio – ma la cui portata, anche in termini di consolidamento di un orientamento di giudici appartenenti a un determinato ufficio giudiziario, andrà necessariamente soppesata nel tempo acquisendo altre decisioni analoghe e che, quindi, non può comunque essere assimilata a una decisione della Corte di Cassazione.
Possibile ruolo delle banche dati di merito nell’ottica della giustizia predittiva
È allora possibile affermare che se appare sconveniente l’idea di addestrare sistemi di intelligenza artificiale in ambito giuridico mediante acquisizione di sentenze estratte da banche dati di merito, perché rischia di porre sullo stesso piano decisioni di merito e legittimità che hanno istituzionalmente una funzione e un’efficacia diversa, e quindi rischia di fornire all’interprete un ausilio solo apparente – perché la soluzione suggerita dalla macchina all’operatore giuridico potrebbe essere basata su una soluzione adottata da un Tribunale che opera un’applicazione difforme o non corretta di un principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione, o comunque poco utile concretamente – è possibile ipotizzare uno spazio di utilità della giurisprudenza di merito nella prospettiva, parzialmente diversa, rappresentata dalla prevedibilità delle decisioni.
In quest’ottica, infatti, può essere utile acquisire le decisioni dei giudici di merito al fine di consentire una verifica preventiva in ordine alla verifica circa la possibilità che una determinata azione legale che si intenda proporre innanzi a un determinato ufficio giudiziario possa avere successo ed eventualmente anche in che termini percentuali.
Si tratta, però, evidentemente, di un utilizzo del tutto diverso da quello di un sistema di intelligenza artificiale che, in ambito giuridico, sia addestrato per fornire delle possibili soluzioni di un caso giuridico e che, al contempo, non va comunque sottovalutato, proprio perché può favorire delle scelte più consapevoli e in termini più rapidi e agevoli da parte del cittadino che, rivolgendosi all’avvocato, intenda valutare se proporre o meno una determinata domanda giudiziale.
Un altro possibile spazio di utilizzo potrebbe essere quello di addestrare il sistema di intelligenza artificiale a un livello che consenta allo stesso di accedere alle decisioni di merito solo in quei casi in cui non è possibile rinvenire principi di diritto affermati dalla Corte di Cassazione, come ad esempio in caso di norme che introducano nuove fattispecie e rispetto alle quali, quindi, proprio per come è strutturato il sistema processuale italiano con tre gradi di giudizio, le prime applicazioni relative alle norme più recenti non possono che essere dei giudici di primo grado.
Cautela nell’utilizzo di I.A. addestrate con giurisprudenza di merito
Occorrerà, però, anche in questi casi, un utilizzo che si caratterizzi per una particolare cautela, che evidenzi, quindi, le incertezze dell’approdo giurisprudenziale evocato dall’I.A. e ne precisi, eventualmente, anche la limitazione sul piano spaziale, perché, ad esempio, le soluzioni giurisprudenziali potrebbero variare da un ufficio giudiziario all’altro.
Il che rende evidente l’assoluta necessità – specie in un sistema come quello italiano, caratterizzato da una stratificazione normativa non sempre di agevole decifrazione anche per l’interprete più avveduto e da un connotazione fortemente pluralista nelle soluzioni interpretative adottate dai giudici di merito, strettamente consequenziale alla prima e una non sempre felice tecnica redazionale delle norme – di assicurare che le soluzioni proposte da sistemi di intelligenza artificiale, prima di essere fatte valere in via giudiziale innanzi a un Tribunale, o anche in via stragiudiziale, siano pur sempre vagliate da professionisti esperti e competenti, dotati degli strumenti tecnici adeguati per valutare i dati elaborati da quella che resta pur sempre, per quanto sviluppata, una macchina.
Note
[1] F1 –> D1∧ F2 –> D2 => ¬ F1 –> D2 (letto come: se il fatto F1 va nel diritto D1 ed il fatto F2 va nel diritto D2, allora non è vero che il fatto F1 va nel diritto D2).