Con la nota indirizzata al Garante per la protezione dei dati personali, l’Unione delle Camere penali italiane solleva problemi di cybersecurity relativi alla svolgimento a distanza delle udienze tramite Skype for Business e Teams. Sotto questo profilo, alcune preoccupazioni possono essere condivise. Ma non in senso assoluto. Urgente inoltre aggiornare alcuni principi alla base del processo, per assicurarne una dematerializzazione.
Cyber security e processi penali
Personalmente, non ho ancora approfondito il tema della cybersecurity relativa allo svolgimento delle udienze tramite Skype for Business e Teams.
Va da sé che problemi di cybersecurity si pongono solo per le udienze che non sono pubbliche.
Tuttavia, immagino che la Direzione generale dei sistemi informativi e automatizzati (DGSIA) del Ministero della Giustizia abbia indicato tali modalità in via provvisoria, in attesa della predisposizione di infrastrutture informatiche ad hoc, interne al sistema giudiziario italiano. Immagino anche che la DGSIA abbia già stipulato degli accordi ad hoc con Microsoft Corporation proprio per la soluzione dei predetti problemi di cybersecurity, in vista dello svolgimento delle udienze tramite Skype for Business e Teams.
A mio avviso, quando si parla di processi telematici o di giustizia telematica, va sempre considerato il problema della cybersecurity, a prescindere dalla rete informatica utilizzata. Nessuna rete è sicura al 100%. A riprova di ciò va ricordato l’attacco hacker del 2019 alla p.e.c. degli Avvocati (gestita da una delle società italiane private che collaborano stabilmente con il Nostro Ministero della Giustizia).
Processo penale incostituzionale da remoto? Non scherziamo
Invece, a mio avviso, non può essere condivisa la dichiarata “ferma contrarietà dell’Unione al processo penale svolto da remoto per la sua evidente incompatibilità con i princìpi costituzionali”. Anche fra i miei Colleghi civilisti ci sono tanti contrari “a prescindere” alla completa smaterializzazione del processo civile (che, secondo loro, svilirebbe il ruolo dell’avvocato nel processo civile). A mio parere, alcuni principii del processo civile italiano vanno “modernizzati” e segnatamente:
I principi da ammodernare
- il principio del contraddittorio, che oggi può essere attuato a distanza grazie ai recenti sviluppi tecnologici;
- la pubblicità dei processi (per consentire il controllo dell’opinione pubblica sull’esercizio della giurisdizione ex art. 6 Convenzione europea dei diritti dell’uomo ed ex art. 14 Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966, salva la possibilità di esclusione del pubblico dalle udienze per varie ragioni;
- il processo deve compiersi in un tempo ragionevole (art. 111 comma 2 Costituzione italiana, art. ex art. 6 Convenzione europea dei diritti dell’uomo ed ex art. 14 Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966;
- il principio dell’oralità (il processo regolato dal codice del 1865 era un processo scritto).
Peraltro, problemi di “sicurezza” (non informatica) si sono posti in passato a causa dello stato penoso in cui versano gli Uffici giudiziari e le Cancellerie (soprattutto nei grandi centri come Roma, dove può entrare chiunque indisturbato e sottrarre documenti dai fascicoli, come accaduto in passato e documentato dal quotidiano La Repubblica), senza contare tutte le volte in cui mancano documenti dai fascicoli cartacei e non è dato sapere come è potuto accadere.
Insomma, problemi di sicurezza e di segretezza ci sono sempre stati. Vanno affrontati e risolti come sempre, senza strumentalizzazioni