Uno scenario critico: è quello in cui operano gli informatici forensi, professionisti privati al servizio delle Procure e dei Tribunali che hanno lanciato un grido di allarme sul tema dei compensi, raccolto da numerose altre categorie di professionisti al servizio della Giustizia. Una situazione a macchia di leopardo che incide in maniera altrettanto disomogenea sulla prestazione professionale del consulente. La normativa di riferimento è vecchia di quarant’anni, obsoleta, e viene applicata ad uno dei settori a più alto tasso di innovatività e velocità di aggiornamento.
L’associazione ONIF, l’Osservatorio Nazionale di Informatica Forense, si è fatta carico di sensibilizzare il legislatore sulla necessità di intervenire in questi ambiti, portando alla formulazione di una proposta di legge orientata soprattutto alla valorizzazione delle competenze, ma l’iter di discussione in Commissione Parlamentare non è mai stato avviato.
Eppure, già in troppi ambiti si sono riscontrati i danni provocati dalla mancata volontà a riconoscere le competenze: questo è solo uno dei tanti, troppi effetti collaterali, di cui manca consapevolezza a livello dell’opinione pubblica, che interviene solo per gridare allo scandalo, o per i tempi della giustizia che si allungano, o per gli eventuali errori intervenuti, o per altre ragioni ancora, senza cogliere né comprendere che ogni effetto ha una sua causa. Perché in ambito sanitario, chi può permettersi i costi della sanità privata, là dove viene riconosciuta come eccellente, può farlo. Ma non quando viene coinvolto in un processo.
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Informatici forensi, come viene regolata l’attività
La disciplina vigente in materia di compenso ai Consulenti Tecnici è il DPR 115 del 30.5.2002, il quale prevede che i compensi possano essere definiti alternativamente a percentuale sul valore della causa (nei settori non penalistici, evidentemente), in misura predeterminata prevista dalla legge (fissa o variabile) oppure commisurati al tempo (vacazioni). Tuttavia, il D.P.R. del 2002 si è limitato a convertire tali corrispettivi dalle lire in euro mentre la disciplina che li aveva concretamente definiti risale al 1988, periodo storico nel quale l’Informatica Forense non esisteva nemmeno.
I compensi
Il D.P.R. 352/88 prevede, per quelle professioni per cui non sono indicate specifiche tabelle, un compenso residuale “a vacazione” di 14,68 euro per la prima vacazione e di 8,15 euro per ciascuna delle vacazioni successive fino ad un massimo di 4 vacazioni giorno (ovvero 8 ore lavorative). La situazione prospettata pone grossi problemi: i dispositivi sottoposti a sequestro vengono consegnati al consulente per l’espletamento dell’attività tecnica delegata quindi il C.T., entrando a pieno titolo nella chain of custody (catena di custodia), ne diventa custode giudiziale, con tanto di obblighi di garanzia della sicurezza degli ambienti, cassaforti, porte blindate, sistemi di allarme, obblighi che impattano 24/7 sul professionista.
Una volta acquisito il dato, le medesime garanzie si applicano ai dati digitali, imponendo una impeccabile struttura informativa, garanzie di continuità e ridondanza del dato, rispetto del GDPR, ecc… anche questi elementi che impattano 24/7 in termini di costi e garanzie sul consulente a fronte di un sistema che paga, al massimo, 8 ore al giorno. Senza contare che l’informatica forense richiede forti investimenti nell’innovazione tecnologica nonché l’acquisto di licenze software annuali molto costose per il mantenimento dei sofisticati programmi di supporto all’attività.
Esempi pratici
A titolo di esempio, qualunque professionista che impieghi quattro giorni lavorativi al fine di formulare un parere motivato e ragionato, ovvero 32 ore di lavoro, fra acquisizione forense, analisi del fascicolo, approfondimento sulla tematica specifica e stesura della relazione, si vedrà riconosciuto come compenso per il proprio lavoro ben 136.93 euro al lordo delle imposte. In teoria.
Perché capita, soprattutto nel settore penale, che il magistrato incaricante ridetermini la liquidazione sacrificando le richieste del consulente, seppur legittime, sull’altare dell’economia processuale. Tagli del 30, 40, 50 e in alcuni casi 70% non sono eventi poi così rari in questo settore, per non parlare dei tempi di pagamento, che mediamente superano l’anno. Non è raro, fra l’altro, che si arrivi ad un numero di anni anche superiore: i pagamenti dei consulenti vengono effettuati attingendo ad un budget predefinito, terminato il quale nessun pagamento viene più corrisposto fino al momento in cui non verrà destinato un nuovo budget. Che non di rado significa “l’anno successivo”: alcune amministrazioni, per esempio, stanno pagando adesso (aprile 2022) i compensi relativi alle fatture del 2020 rimaste inevase. Con buona pace del rispetto delle scadenze.
La carenza di periti
Tutto questo ha di fatto provocato una “fuga di cervelli” e i professionisti più accreditati spesso accettano di operare per il settore pubblico solo per casi più interessanti, impossibilitati per evidenti ragioni a prestare la propria professionalità al servizio della giustizia, che invece ne ha bisogno. Il problema sollevato dagli Informatici non è isolato: medici legali, genetisti, psicologi, traduttori, sostanzialmente tutti i professionisti al servizio della Giustizia lamentano la stessa situazione, e spesso si trovano a disertare le richieste delle Procure.
Perché i compensi vengono decurtati
Le motivazioni delle decurtazioni apportate dai vari magistrati sono impossibili da ricondurre ad un unico vulnus giuridico: alcuni invocano la pluralità di incarichi ad un unico consulente, e quindi la necessità di rideterminare tutte le liquidazioni ai fini dell’economia processuale (senza considerare che essa dipende proprio dall’esiguo numero di consulenti disponibili e preparati), altri ritengono che l’attività sia svolta in maniera meccanica senza bisogno di particolari specializzazioni, altri ancora decurtano suggerendo al consulente di fare ricorso per veder riconosciute le proprie ragioni.
Eppure, a riguardo le norme sono chiarissime: il Ministero di Giustizia ha chiarito con una circolare già nel 2006 che la pluralità di incarichi non è motivo legittimo di decurtazione delle vacazioni. Il consulente è un libero professionista ed in molti casi una ditta con dipendenti: sarebbe antieconomico impegnare per un solo “caso” un’intera azienda per diversi mesi al prezzo di 32 euro giornalieri lordi, allo scopo di fornire consulenza informatica su decine e decine di dispositivi di cui spesso bisogna anche eseguire l’analisi investigativa dei contenuti. E l’analisi investigativa comporta la “digestione” di centinaia di migliaia di documenti e foto, centinaia di migliaia di video, centinaia di migliaia di messaggi testuali e audio da trascrivere: tutti elementi che non sempre è possibile esaminare attraverso l’uso di parole chiave e che sempre più spesso vanno analizzati uno per uno nella loro interezza se si vuole fare un “lavoro a regola d’arte”.
Le norme sono chiarissime anche in tema di tariffe, per quanto siano esigue (artt. 50 e ss. DPR 115/2002) e riguardo all’esiguità del compenso si è espressa più volte la Corte Costituzionale (sentenze n. 102/2021 e 192/2015), sollecitando il Legislatore ad una revisione organica delle spese di Giustizia.
Informatici forensi, possibili soluzioni
L’unica arma a disposizione del consulente, in questo momento, è quella del ricorso avverso la liquidazione operata dal P.M. ai sensi dell’art. 15 del D.Lgs. 150/2011: strada che spesso da soddisfazioni ma che allunga ulteriormente i tempi di liquidazione e non risolve il problema di base ossia l’oggettiva inadeguatezza delle tariffe riconosciute dal Testo Unico.
Va detto però che risulta difficile, in un sistema siffatto, trovare soluzioni di facile applicazione in quanto è evidente che sarebbe necessaria una riforma strutturale: un sistema che prevede il pagamento di pochi euro lordi all’ora, incurante del tipo di attività, della natura delle competenze necessarie, delle qualifiche del professionista che opera, dell’esito delle attività stesse e di qualunque altro parametro, è un sistema livellato verso il basso.
Eppure, si tratta della Giustizia. Non esiste meritocrazia, non esiste il riconoscimento delle competenze, non esiste il concetto di valore né di esperienza riconosciuta o requisiti minimi per l’esercizio della professione, tutti elementi invece auspicati dalla stessa Corte Costituzionale al fine di “assicurare un livello di precisione tecnica e di attendibilità dei risultati delle indagini confacente alla complessità della materia e alla delicatezza degli interessi coinvolti” (cfr di nuovo Corte Cost. n. 102/2021). Alcune Procure, autonomamente, hanno approvato dei tariffari interni per le operazioni di acquisizione forense: un passo importante di riconoscimento che ha “sbloccato” alcune fasi del lavoro. Tuttavia nulla ancora è stato definito per regolamentare e tariffare la fase di “analisi investigativa”, elemento essenziale che spesso la Polizia Giudiziaria, per carenza di mezzi tecnologici e tempi/uomo, non riesce ad eseguire in autonomia.
Serve un confronto politico
Sarebbe quanto mai importante avviare un confronto a livello politico, coinvolgendo tutti i cosiddetti stakeholder, al fine di raccogliere puntualmente le criticità, le possibili soluzioni, i compromessi, e i suggerimenti utili a definire un percorso normativo che possa finalmente consentire di superare l’impasse attuale. Impasse che, non lo si dimentichi, riguarda tutti i professionisti che lavorano per la Giustizia.