Il 3D virtuale si prospetta come la quarta era della tecnologia computeristica[1]. Il metaverso, infatti, non va pensato limitatamente ai paradigmi che lo raffigurano come un ambiente virtuale immersivo[2], ma si presenta soprattutto come una rivisitazione della tecnologia della rete Internet, capace di sostituire tutti gli apparati mobili esistenti, generando nuove tecnologie e mutando il comportamento dell’uomo.
Una svolta tecnologica non esente da problemi, anche nella sfera della tutela dei dati e della proprietà intellettuale.
Sarà metaverso in mille settori: ecco tutte le possibilità di business
In questo universo, come già avviene, la simulazione 3D ci potrà consentire di valutare anticipatamente, ad esempio, gli effetti della costruzione di un edificio sul traffico, sulla sicurezza e persino sul clima di una città, per poi divenire uno strumento basato sulla tecnologia “cloud”, idonea a trasformare il pianeta in una gigantesca piattaforma digitale.
Guardando agli aspetti problematici di questa svolta tecnologica, il metaverso porterà all’acutizzarsi dei problemi già esistenti nell’era digitale e cioè, fra le diverse distonie ipotizzabili, si riscontrerà la diffusione online di informazioni o notizie inaccurate (fake news), con la inerente radicalizzazione delle posizioni di coloro i quali a tali disinformazioni aderiscano. Si manifesteranno significativi problemi anche riguardo alla tutela dei dati e delle informazioni sia private che aziendali. A questi temi andranno ad aggiungersi molte delle questioni attinenti alla tutela della proprietà intellettuale.
La contraffazione nel metaverso
Nell’ambito degli scenari critici che potranno riguardare i diritti di privativa industriale che confluiranno nel metaverso, assume un ruolo centrale l’uso dei segni distintivi delle imprese. Se è vero che “la moda sbarca nel Metaverso”, addirittura con la già avvenuta realizzazione della prima “Metaverse Fashion Week”, è altrettanto indubitabile che i prodotti dei brand più famosi potranno essere soggetti a contraffazione nel momento in cui essi saranno indossati dai milioni di “avatar” che affolleranno la realtà virtuale.
E la riproduzione abusiva virtuale di un bene tutelato appare oggi come assai più agevole di quella di un bene fisico, rendendo così complessi gli accertamenti di eventuali violazioni dei diritti sui disegni e marchi di abiti, cinture, borsette e di tutte le altre commodities vendute nelle piattaforme online del mondo virtuale.
Se l’aspetto della violazione dei segni distintivi si presenta come la componente patologica dei diritti di privativa, da parte dei titolari dei diritti si dovrà provvedere alla loro registrazione per ottenerne la tutela anche nel mondo virtuale il quale, da semplice estensione del mondo fisico attuale, sarà suscettibile di divenire un mondo digitale a sé stante.
La WIPO (l’Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale) ha già sviluppato alcuni studi che invitano i titolari dei diritti a effettuare le proprie registrazioni dei diritti di proprietà industriale per il loro impiego nel metaverso[3], anche al fine di evitare che terzi in malafede effettuino essi stessi delle registrazioni abusive in danno degli effettivi titolari dei diritti.
I precedenti in tribunale con gli NFT
La possibilità che eventuali violazioni dei diritti sui marchi e sui prodotti altrui possa occorrere per il tramite delle nuove realtà virtuali, incluso il metaverso, è già stata oggetto di alcune azioni giudiziarie – in particolare negli Stati Uniti – che hanno riguardato la commercializzazione degli NFT.
Particolarmente interessante, per i principi di diritto che sono emersi nel corso del contenzioso, è la decisione interinale dell’U.S. District Court di New York resa dal giudice Jed S. Rakoff il 18 maggio 2022, la quale vede di fronte le parti attrici, “Hermes International” e “Hermes of Paris, Inc.” (“Hermes”), e la convenuta “Maison Rotschild” (“Rotschild”).
Si tratta di questioni che solo apparentemente riguardano la giustizia statunitense, in quanto in essa vengono esaminate materie afferenti alla libertà di espressione, alla tutela dei segni distintivi, alla qualificazione delle opere d’arte, temi che si riflettono necessariamente in tutti i sistemi giuridici del globo, tenuto anche conto che la tecnologia dei virtual digital marketplace appare radicata, almeno per ora, principalmente negli U.S.A.
Il caso Metabirkin al Tribunale di New York
L’oggetto della causa sopra ricordata può essere sintetizzato come segue: nel mese di dicembre 2021 la Rotschild ha realizzato alcune immagini digitali che riproducono le famose borse di lusso “Birkin” della Hermes, raffigurate in una versione in pelliccia sintetica. Tali rappresentazioni sono state denominate con il titolo di “MetaBirkin”[4] di cui è stata creata una collezione di 100 esemplari, numerati ciascuno da 0 a 99. Tali immagini digitali sono state riprodotte con la tecnologia blockchain in altrettanti NFT, i quali sono stati posti in vendita su quattro diverse piattaforme digitali e promossi per la vendita sui principali social network.
Secondo le tesi di Rotschild, la finalità artistica di questa operazione sarebbe quella di riconoscere un tributo alla borsetta più famosa, oltre che più esclusiva e di migliore qualità, esistente al mondo, dando vita a un’opera d’arte e non ad una serie di atti contraffattivi di un segno distintivo rinomato, così come ipotizzato dalla Hermes.
Di contro, la visione dei fatti proposta al giudice dalla casa di moda francese è stata diametralmente opposta a quella fatta valere in giudizio dalla Rotschild, sostenendo la prima che la seconda avesse commesso la violazione del proprio marchio “Birkin”. Rotschild avrebbe infatti violato i diritti di privativa di Hermes alla stregua del Lanham Act[5], sfruttando commercialmente il segno distintivo “MetaBirkin” allo scopo di utilizzare un marchio di proprietà di Hermes attraverso il suo abbinamento a una linea di prodotti, quelli trasferiti sugli NFT, che sono ad essa stessa riconducibili.
Ad avviso di Rotschild, invece, trattandosi di opere d’arte l’utilizzazione del nome “MetaBirkin” sarebbe legittimo in base al Primo Emendamento della Carta costituzionale U.S.A., in linea con i principi elaborati nella decisione Rogers vs. Grimaldi – MGM/UA e PEA[6], che aveva riconosciuto la non applicabilità del Lanham Act in taluni casi, oggetto di specifico esame delle Corti, alla stregua del I e del XIV Emendamento della Costituzione statunitense che riguardano rispettivamente la libertà di pensiero e il diritto di tutti alla non discriminazione e al giusto processo.
La sentenza sul caso Metabirkin
Il tribunale di New York, valutate le tesi delle parti, nella propria decisione sopra ricordata ha riconosciuto agli NFT posti in vendita dalla Maison Rotschild l’esclusione dalla tutela del marchio appartenente alla ricorrente Hermes trattandosi di opere d’arte.
Al contempo, il giudice non ha accolto la “Motion to Dismiss”[7], cioè la richiesta di respingere in toto le domande proposte dalla convenuta, motivando tale decisione con il fatto che vi è la possibilità che l’azione della Hermes possa avere fondamento su basi diverse rispetto alla tutela del nome dell’opera d’arte, cioè sulla scorta della giurisprudenza che protegge l’uso commerciale del segno distintivo della casa di moda francese.
Infatti, gli NFT che sono stati abbinati a un file digitale di una borsetta “Birkin” sarebbero suscettibili di potenziale utilizzo nel metaverso, risolvendosi quindi in un uso non-speech (cioè non meramente connesso alla libertà di pensiero o di espressione artistica) delle immagini digitali che esse riproducono. Qualora tale potenziale utilizzazione dell’opera “MetaBirkin” occorresse da parte della Rothschild, secondo il tribunale si dovrebbe effettuare un’analisi della liceità di tale impiego, basata sui paradigmi stabiliti dalla sentenza Polaroid Corp. v. Polarad Electronics Corp. resa il 28 febbraio 1961 dalla Corte d’Appello di New York[8].
In tale decisione si sono stabilite delle precise regole avuto riguardo alla determinazione della lesività dell’uso di un marchio concorrente, di simile assonanza, ove il suo utilizzatore dovesse estenderne l’uso a un settore merceologico precedentemente non preso in considerazione, come avverrebbe nel caso delle “MetaBirkin” trasferite dagli NFT al Metaverso.
Conclusioni
Seppure l’opinion del Tribunale di New York – a parere di chi scrive – fornisca un’interpretazione non del tutto convincente della sentenza Rogers per estenderne le conclusioni al caso Hermes / Rotschild,[9] questa importante controversia dirige la nostra attenzione verso una serie di problemi legali che dovranno essere affrontati nel prossimo futuro.
Quali saranno le sorti dell’uso di immagini che raffigurano personaggi noti, quelle dei brani musicali interpretati dai soggetti che si muoveranno nel mondo virtuale o delle clip tratte da opere filmiche famose, oppure ancora le letture di libri, poesie, disegni, opere pittoriche che compariranno nel nuovo mondo del metaverso?
A questi interrogativi si aggiungono i temi della giurisdizione in materia di Internet, spesso affrontati ma non del tutto risolti, soprattutto nei casi in cui i contraffattori siano difficilmente identificabili e il luogo del verificarsi degli illeciti di difficile determinazione come accade nel mondo virtuale.
Intanto ai primi dieci casi attualmente pendenti di fronte ai tribunali statunitensi in materia di proprietà intellettuale e di metaverso, se ne aggiungeranno molti altri nell’intento di stabilire principi più saldi per la tutela della proprietà intellettuale.
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Note
- Si veda a tal proposito M. Ball, “The Metaverse And How It Will Revoluzionize Everything” W.W. Norton & Company, Inc. nonché la recensione proposta dal Time https://time.com/6197849/metaverse-future-matthew-ball/. Non si tratta solo della sintesi dell’opinione di uno dei massimi esperti in materia sulle opportunità di impiego del metaverso, ma soprattutto di un’analisi degli effetti a breve sull’economia mondiale dello sviluppo delle iniziative di Meta, al cui progetto si stanno accodando altre Big Tech come Amazon, Apple, Google, Microsoft, Nvidia e la cinese Tencent, tutte imprese impegnate (anche) nello studio e nello sfruttamento dell’Internet tridimensionale. ↑
- reso possibile dall’impiego di strumenti di RA e RV ↑
- Nel WIPO Magazine del mese di marzo 2022, si ipotizza la possibilità di una “trademark dilution” per quei segni distintivi che non risultino sufficientemente forti o rinomati. Si veda qui: https://www.wipo.int/wipo_magazine/en/2022/01/article_0006.html ↑
- Dagli atti del processo emerge che in precedenza, Rotschild avesse creato un’immagine digitale chiamata “Baby Birkin” in cui una borsa Birkin trasparente conteneva un feto in gestazione alla quarantesima settimana, trasferendola in un NFT che era stato posto in vendita per 23.500 dollari, per poi essere a sua volta rivenduto dall’acquirente per $ 47.000. ↑
- La legge statunitense sui marchi, nota anche come “Trademark Act of 1946” ↑
- Qui si rimanda alla sentenza del 5 agosto 1988 che promana dalla stessa Corte di New York ora chiamata a decidere la causa avviata oggi da Hermes: https://law.justia.com/cases/federal/district-courts/FSupp/695/112/2345732/. Si tratta di una controversia sorta per l’uso fatto dal grande regista Federico Fellini del nome della ballerina e attrice Ginger Rogers nel titolo del film: “Ginger e Fred” e nella sua sceneggiatura. In questa controversia, intrapresa dall’attrice, il tribunale statunitense ha considerato legittimo l’uso fatto dal regista italiano nel lungometraggio e nella sua promozione del nome di Ginger Rogers (e, implicitamente, anche di quello di Fred Astaire che non era parte del processo neppure attraverso eredi o fondazioni), in quanto Federico Fellini aveva inteso utilizzare i nomi dei due artisti facendo leva sull’alta reputazione dei due artisti per il livello di stile e di eccellenza nella danza che essi evocavano. In nessun modo il Film, quindi, poteva fare arguire al pubblico che l’opera potesse riguardare i due ballerini. Non sussistevano per la Corte di New York, né la violazione del nome e della portata commerciale della sua identità, né la violazione del diritto alla publicity ad esso connesso, come pure non è stata commessa una violazione del diritto alla privacy di Ginger Rogers, poiché il suo nome è stato usato per fini di pubblico interesse come espressione della libertà di pensiero e di informazione per il pubblico riguardante un’opera d’arte, il Film, e non a scopo commerciale o a fini di inganno per il pubblico circa il suo contenuto.↑
- La Maison Rotschild aveva chiesto al giudice che venisse dichiarata l’infondatezza delle domande di Hermes per l’assenza di elementi di prova plausibili. Una “mozione di rigetto” ai sensi delle norme Federali statunitensi di procedura civile, si fonano sull’articolo 12(b)(6) che impone al giudice di accertare la sufficienza giuridica delle affermazioni fatte valere nella citazione.↑
- Con questa sentenza il giudice è tenuto a valutare nell’uso del marchio fatto da terzi una serie di elementi riguardanti la similarità di un marchio, la possibilità che l’utilizzatore di quel segno distintivo possa passare da un settore merceologico ad un altro, le modalità dell’azione di concorrenza sleale confusoria, la qualità dei prodotti, la sofisticatezza dei consumatori dei prodotti messi a confronto. ↑
- Il perimetro della causa Rogers è quello di un impiego del nome di Ginger Rogers in un film che certamente è un’opera d’arte, concetto che non automaticamente può essere esteso a una rappresentazione digitale di una borsetta, la “Birkin” di Hermes, che è stata ricoperta di pelliccia per poi essere traslata in una collezione di NFT. Appare in tal senso prevalente l’uso del marchio della Hermes rispetto all’autonomia dell’opera d’arte in cui esso è inserito ad uno con il prodotto commerciale della Rotschild. Tale circostanza non pare conformare questa decisione al principio secondo cui un’opera d’arte non deve essere semplicemente un oggetto commerciale in cui la finalità dell’uso del nome / marchio altrui non può lecitamente configurare una forma mascherata di pubblicità per un prodotto commerciale collaterale. ↑