Tra i conflitti interpretativi più frequenti legati alle criptovalute, che negli ultimi anni ha coinvolto i redditi derivanti dall’utilizzo di valute virtuali, è quello legato alla loro assoggettabilità fiscale. A far chiarezza sulla situazione ha pensato il Tar Lazio, con una sentenza che costituisce un importante precedente giurisprudenziale destinato a fare “scuola” nel settore delle criptovalute.
La decisione del Tar Lazio
Con la sentenza n. 01077/2020 del 27 gennaio 2020, i giudici amministrativi hanno rigettato il ricorso proposto da due associazioni di categoria, che lamentavano l’introduzione da parte dell’Agenzia delle Entrate delle “valute virtuali” tra gli obblighi del cosiddetto “monitoraggio fiscale”, introdotto attraverso la Direttiva 88/361/CEE e recepito in Italia con il D.L. 28 giugno 1990, n. 167. La vicenda trae origine dall’emissione, da parte della Agenzia della Entrate, delle “Istruzioni per la compilazione del modello 2019 per la dichiarazione dei redditi delle persone”, con le quali aveva previsto l’obbligo di inserire all’interno del quadro RW del Modello Unico delle persone Fisiche anche le valute virtuali. Seguendo le “Istruzioni” impartite dall’Agenzia, queste ultime sarebbero comparse all’interno del Modello accanto alla voce relativa ai “redditi finanziari di provenienza estera”.
Le ricorrenti si erano fortemente opposte alla vincolatività di tale “nuova” prescrizione emessa dall’Agenzia, ritenendo che le suddette “Istruzioni” fossero, oltre che sprovviste di fondamento normativo, anche imperniate sull’erronea equiparazione – ai fini fiscali – tra investimenti di attività finanziare estere e valute virtuali. In secondo luogo, le ricorrenti lamentavano altresì l’esistenza di una espressa previsione legislativa contenuta all’art. 3, comma 5 del d.lgs. 231/2007, con la quale venivano esclusi dalla “categoria” degli operatori finanziari, i prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale. Era quindi evidente, a detta delle ricorrenti, come le ragioni suesposte avrebbero di fatto reso “fisiologicamente” inattuabile qualsiasi forma di assimilazione tra i redditi di natura finanziaria e redditi derivanti dall’impiego di valute virtuali.
Nonostante la pervasività delle ragioni addotte dalle ricorrenti, il TAR rigettava in toto il ricorso. Secondo i giudici amministrativi, le “Istruzioni” emesse dall’Agenzia delle Entrate, pur non possedendo natura costitutiva della corrispondente obbligazione tributaria, sono tuttavia qualificabili come strumento meramente ricognitivo di obblighi dichiarativi già esistenti. A riprova di tale assunto, è decisivo il D.L. 167/1990, che, a seguito delle modifiche apportate dal D.lgs. 90 del 2017, ha inserito tra le operazioni rilevanti ai fini del monitoraggio ex art. 1 del decreto-legge, l’utilizzo delle “monete virtuali”. Il legislatore stesso avrebbe in tal modo finito per assoggettare, agli obblighi di monitoraggio fiscale, sia l’utilizzo delle valute virtuali e dei “mezzi di pagamento”, sia gli operatori finanziari che non.
L’accezione funzionale delle criptovalute
A ulteriore conferma della legittimità del trattamento fiscale previsto dall’Agenzia delle Entrate, il TAR ha adottato nella sentenza una accezione prettamente funzionale, e scevra da tentativi classificatori, delle operazioni condotte mediante i valori virtuali. Secondo i giudici il trattamento fiscale delle criptovalute dipende dal concreto utilizzo che ne viene fatto, indipendentemente dalla natura dei token in quanto tali: i valori sottesi alle “rappresentazioni digitali” sono pur sempre riconducibili ad una ricchezza fisica espressione di capacità contributiva che “giustifica” ed impone la riconduzione alle pertinenti ed esistenti forme di tassazione.
La prevalenza del carattere funzionale delle criptovalute, e l’assimilazione normativa tra impiego di valute virtuali e “mezzi di pagamento”, hanno indotto, i giudici amministrativi a ritenere le istruzioni in perfetta continuità e coerenza con obblighi dichiarativi e concettuali già esistenti nell’Ordinamento giuridico.
Lo scenario internazionale
Una decisione, che seppur lineare e coerente con l’elaborazione giuridica nazionale, contrasta con alcuni orientamenti emersi sullo scenario internazionale e europeo. Giurisdizioni come quella della Germania, Portogallo, Singapore, Georgia, o Corea del Sud, hanno scelto di esimere da tassazione tutte quelle le transazioni effettuate attraverso criptovaluta.
Risulta tuttavia evidente che, pur rappresentando un primo tentativo chiarificatorio della materia, lo sforzo interpretativo dei giudici amministrativi abbia messo in luce la non totale adeguatezza degli strumenti legislativi attualmente a disposizione dell’interprete oltre che una forma di abdicazione del proprio ruolo, da parte del legislatore, nei confronti delle Authorities di settore. L’augurio è che per il futuro si riesca ad ovviare alle problematiche interpretative esistenti e a pervenire ad una disciplina fiscale di favore in grado di implementare le già promettenti prospettive di crescita del mercato dei crypto-asset.