A distanza di non molti mesi dall’entrata in vigore, il Legislatore è in procinto di approvare correzioni e integrazioni alla legge Cartabia della giustizia civile, emanando un nuovo decreto legislativo. Il Consiglio dei Ministri del 15 febbraio 2024 ha approvato, in esame preliminare, il correttivo alla riforma del processo civile, il quale, senza apportare sostanziali modifiche all’impianto del d.lgs n. 149/2022, intende risolvere alcuni problemi applicativi. La novella sul punto di emanazione mira, fra l’altro, al completamento della integrale digitalizzazione della giustizia civile.
La pubblicazione e comunicazione della sentenza digitale
Al fine di adeguare al processo civile telematico (p.c.t.) le disposizioni sulla pubblicazione della sentenza e la sua comunicazione, il Legislatore sostituisce l’art. 133 c.p.c. Il cambiamento si è reso necessario a seguito dell’obbligatorietà del deposito telematico degli atti del giudice, introdotta nell’art. 196 quater disp. att. c.p.c. dall’art. 35, co. 3, d.l. n. 13/2023 (conv. con modif. l. n. 41/2023). Oggi, il sistema informatico non prevede più la firma del cancelliere né l’apposizione della data da parte di quest’ultimo.
La novella prevede che la sentenza è pubblicata mediante deposito telematico e che il cancelliere ne dà immediata comunicazione alle parti costituite. La comunicazione conterrà in allegato il testo integrale del provvedimento, secondo quanto previsto dall’articolo 45 disp. att. c.p.c. Nella norma novellata rimane fermo il tradizionale principio in base al quale la comunicazione della sentenza fatta dal cancelliere non è idonea a far decorrere il termine breve per impugnare (di cui all’art. 325 c.p.c.)
Le comunicazioni telematiche di cancelleria
Il Legislatore si appresta a modificare, fra l’altro, l’art. 136 c.p.c., allo scopo di semplificare e modernizzare le comunicazioni di cancelleria, eliminando la previsione del “biglietto” e codificando la sua trasmissione tramite PEC. Infatti, la comunicazione di cancelleria, nell’àmbito del p.c.t., è sostanzialmente identica a una notifica tramite PEC e, pertanto, non vi è ragione alcuna di differenziare la disciplina delle comunicazioni telematiche rispetto alle notifiche a mezzo PEC.
Deriva che, quando la comunicazione non ha esito positivo per causa non imputabile al destinatario, si procede con la notifica tramite ufficiale giudiziario nelle forme tradizionali; invece, se la notifica non ha esito positivo per causa imputabile al destinatario, l’atto è inserito nel portale dei servizi telematici gestito dal Ministero della Giustizia, come previsto dalle nuove disposizioni per le notifiche a mezzo PEC dell’ufficiale giudiziario e quelle a cura dell’avvocato. Le concrete modalità per l’inserimento dell’atto nel portale saranno quelle descritte nell’art. 149 bis c.p.c., il quale costituirà la norma di riferimento sulle notifiche a mezzo PEC e sulle conseguenze dell’impossibilità di effettuare l’adempimento secondo tali modalità per causa imputabile al destinatario.
Le notifiche telematiche a mezzo PEC
La riforma Cartabia ha novellato, fra l’altro, il sistema delle notificazioni in materia civile, elevando il canale telematico a modalità privilegiata per eseguire le notificazioni, modificando la relativa disciplina contenuta non solamente nel codice di rito. Le funzioni dell’avvocato sono risultate estese a seguito dell’introduzione dell’obbligo di notifica telematica a mezzo PEC. Pertanto, la notificazione deve essere eseguita telematicamente (argomentando ex artt. 137 e 149 bis c.p.c., 3 bis e 3 ter l. n. 53/1994) allorché il destinatario è un soggetto per il quale la legge prevede l’obbligo di munirsi di un indirizzo di PEC (o domicilio digitale) risultante da pubblici elenchi o quando il destinatario ha eletto domicilio digitale.
Le correzioni che il Legislatore si appresta a emanare mirano al miglioramento della disciplina della notificazione a mezzo PEC eseguita dall’ufficiale giudiziario, eliminando adempimenti diventati superflui dopo il perfezionamento del p.c.t. Così, intervenendo sull’art. 149 bis co. 2 c.p.c., la novella prevede che l’ufficiale giudiziario può trasmettere all’indirizzo PEC del destinatario, risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, non solo la c.d. “copia informatica” dell’atto sottoscritta con firma digitale ma anche, in alternativa, il c.d. “duplicato informatico” dell’atto stesso. Il duplicato informatico dell’atto consiste in un documento informatico ottenuto mediante la memorizzazione della medesima sequenza di bit del documento originario; in altri termini, si tratta di un secondo originale a tutti gli effetti.
La notifica a mezzo ufficiale giudiziario
Sempre in materia di notificazioni telematiche, modificando il co. 3 dell’art. 149 bis c.p.c., l’intervento correttivo mira ad armonizzare la disciplina delle notifiche via PEC con la disciplina delle notifiche eseguite dall’ufficiale giudiziario con modalità tradizionali (si pensi alla notifica in mani proprie o a mezzo del servizio postale). Infatti, viene ribadita la scissione del momento di perfezionamento della notifica per il notificante e per il destinatario, precisando che la notifica effettuata dall’ufficiale giudiziario a mezzo PEC si perfeziona:
- per il notificante nel momento in cui consegna il documento informatico all’ufficio notifiche;
- per il destinatario della notifica nel momento in cui il gestore rende disponibile il documento informatico nella sua casella PEC.
Nel caso di notifiche via PEC, infatti, può accadere che l’adempimento venga effettuato dall’ufficiale giudiziario in un momento successivo a quello in cui il richiedente gli ha trasmesso gli atti.
Il Legislatore aggiunge il co. 7 all’art. 149 bis c.p.c. al fine di colmare una lacuna normativa e di disciplinare l’ipotesi in cui la notifica non possa essere effettuata a mezzo PEC o l’invio di questa non vada a buon fine. In particolare, si distinguono due cause di mancato perfezionamento della notifica via PEC eseguita dall’ufficiale giudiziario:
- se l’invio della notifica via PEC non va a buon fine per causa non imputabile al destinatario, si dovrà procedere alla notificazione nelle forme tradizionali;
- se l’invio della notifica via PEC non va a buon fine per cause imputabili al destinatario (a titolo esemplificativo, si pensi al caso in cui il destinatario non ha curato di mantenere attiva e capiente la sua casella PEC), l’atto sarà depositato in una apposita area web esposta nel portale dei servizi telematici del Ministero della giustizia e accessibile al destinatario. A tal fine, si prevede – allo scopo di garantire la conoscibilità e al contempo la riservatezza dell’atto – che l’area web sia generata automaticamente dal portale e sia collegata al codice fiscale del destinatario, e che l’atto da notificare debba essere accompagnato da una dichiarazione dell’ufficiale giudiziario circa la sussistenza dei presupposti per procedere secondo tali modalità. Analogamente a quanto avviene con le notifiche a mezzo posta in caso di assenza del destinatario, poi, si prevede che per quest’ultimo la notifica si intende perfezionata con il decorso di dieci giorni dall’inserimento ovvero, se anteriore, nella data in cui egli accede all’area riservata.
Le notifiche dell’avvocato
Vengono modificate alcune norme della l. n. 53/1994, la quale disciplina le notificazioni eseguite dall’avvocato. Viene novellato l’art. 3 ter l. n. 53/1994 relativo alle notifiche tramite PEC, la cui disciplina per il caso di impossibilità di recapito del messaggio viene uniformata a quella prevista dall’art. 149 bis c.p.c. per le notifiche effettuate con le medesime modalità dall’ufficiale giudiziario. In altri termini, si prevede:
- se il recapito non è possibile per causa imputabile al destinatario, l’atto da notificare viene inserito in un’apposita area riservata creata sul portale dei servizi telematici del Ministero della giustizia; come per le notifiche eseguite dall’ufficiale giudiziario, si prevede che, in questo caso, il perfezionamento per il destinatario si ha nel decimo giorno successivo all’inserimento dell’atto nel portale o, se anteriore, nella data in cui il destinatario stesso accede all’area riservata;
- nel caso in cui, invece, il mancato recapito sia stato determinato da causa non imputabile al destinatario, la notifica sarà eseguita dall’avvocato o dall’ufficiale giudiziario nelle forme tradizionali.
Viene novellato, fra l’altro, l’art. 9 l. n. 53/1994, il quale prevede che l’avvocato che notifica un atto di impugnazione o un atto di opposizione a decreto ingiuntivo deve darne avviso al cancelliere del giudice che ha emesso il provvedimento, depositando copia dell’atto, affinché questo abbia contezza del fatto che il provvedimento non è passato in giudicato. L’intervento ha lo scopo di adeguare la norma al p.c.t. e si prevede che il professionista debba depositare telematicamente copia dell’atto notificato nel fascicolo informatico relativo al provvedimento impugnato o opposto, in modo che il cancelliere possa effettuare le dovute annotazioni.
L’intimazione telematica a mezzo PEC ai testimoni
Il Legislatore interviene, fra l’altro, sull’art. 250 c.p.c. relativo all’intimazione ai testimoni, al fine di adeguare le disposizioni codicistiche al progresso tecnologico. Viene previsto che la citazione del teste possa essere effettuata tramite PEC all’indirizzo risultante da pubblici elenchi, viene soppresso l’uso del fax e si prevede che il difensore che ha citato il testimone debba depositare nel fascicolo informatico copia dell’atto inviato e della ricevuta e dell’avviso di ricevimento o la ricevuta di avvenuta consegna del messaggio PEC.
Scritture contabili digitali e fatture elettroniche diventano prove scritte nel procedimento monitorio
Il decreto correttivo interviene sul co. 2 dell’art. 634 c.p.c. relativo alla prova scritta nel procedimento per decreto ingiuntivo per crediti relativi a somministrazioni di merci e di danaro nonché per prestazioni di servizi fatte da imprenditori che esercitano una attività commerciale e da lavoratori autonomi anche a persone che non esercitano tale attività, allo scopo di agevolare il recupero dei crediti da parte di imprese e professionisti.
La disposizione secondo la quale le scritture contabili costituiscono idonea prova scritta ai fini dell’emissione dell’ingiunzione viene aggiornata alla luce dei mutamenti intervenuti negli ultimi anni, che hanno visto scomparire le scritture contabili cartacee in favore di quelle tenute in formato elettronico e con esse gli obblighi di bollatura e vidimazione. Di conseguenza, viene espunta dalla norma la previsione che condiziona il valore probatorio delle scritture alla corretta esecuzione di tali adempimenti e le scritture contabili vengono totalmente equiparate a quelle previste dagli artt. 2214 ss. c.c. È richiesto che tanto le une quanto le altre siano tenute, anche con strumenti informatici, conformemente alle prescrizioni di legge.
Inoltre, si aggiunge un ulteriore periodo, dopo l’ultimo, al co. 2 dell’art. 634 c.p.c., al fine di prevedere che costituiscono prova scritta idonea anche le fatture elettroniche trasmesse attraverso il Sistema di interscambio (SDI) istituito dal Ministero dell’economia e delle finanze e gestito dall’Agenzia delle entrate. La modifica si è resa necessaria perché i soggetti obbligati a emettere fattura elettronica sono esonerati dall’obbligo di tenere i registri predetti. Pertanto, alcuni uffici giudiziari non hanno finora concesso, in mancanza di una previsione testuale, decreti ingiuntivi per crediti fondati su fattura elettronica, in mancanza delle scritture contabili menzionate.
La novella prevede che anche la fattura elettronica trasmessa attraverso il sistema di interscambio dell’Agenzia delle entrate sia prova scritta sufficiente per emettere un decreto ingiuntivo, analogamente alla fattura cartacea annotata nelle scritture contabili. Infatti, il sistema di interscambio genera documenti informatici autentici e immodificabili che non sono semplici “copie informatiche di documenti informatici” bensì “duplicati informatici”, assolutamente indistinguibili dai loro originali, potendo essere scaricati dai sistemi di un terzo qualificato, quale l’Agenzia delle Entrate.
Le modifiche che riguardano la fase introduttiva della causa
Per quanto concerne la fase introduttiva del processo, l’intervento correttivo prevede l’eliminazione della necessità di redigere e depositare la nota di iscrizione a ruolo -o NIR, atto non più necessario con il completamento del p.c.t. – così come l’eliminazione del deposito del fascicolo di parte cartaceo (non più necessario tranne alcune eccezioni) e dell’obbligo per la parte che sta in giudizio personalmente di eleggere domicilio nel Comune in cui ha sede l’ufficio giudiziario. Potendo sostituire il domicilio fisico con il domicilio digitale.
Il fascicolo informatico d’ufficio e di parte
Sono inserite le modifiche all’art. 196 quinquies, commi 1 e 4 c.p.c., il quale disciplina l’atto del processo in formato elettronico. La disposizione contenuta nel co. 1 viene perfezionata con un intervento minimale ma utile a ribadire che anche gli atti del processo che provengono da magistrati, cancellieri, segretari e personale UNEP devono essere redatti in formato elettronico.
Le modifiche al co. 4 -il quale nel testo vigente si riferisce unicamente al provvedimento del magistrato – hanno lo scopo di prevedere con norma primaria che qualunque atto del processo depositato in formato cartaceo, nei limitati casi in cui ciò è possibile, deve essere inserito a cura della cancelleria nel fascicolo informatico, previa estrazione di copia informatica. La nuova disposizione ha lo scopo di puntualizzare che in questo caso il provvedimento del magistrato si intende depositato, anche ai sensi dell’art. 133 c.p.c., quando avviene l’inserimento nel fascicolo informatico. Si tratta di un aspetto quanto mai rilevante e sul quale era opportuno dissipare ogni incertezza, considerato che alla data della pubblicazione della sentenza è collegato il termine di decadenza per le impugnazioni previsto dall’art. 325 c.p.c. e, quindi, il momento in cui la sentenza stessa passa in giudicato.
L’obbligo di deposito telematico di atti e di provvedimenti e le eccezioni
Il Legislatore interviene sul primo e sul quarto comma dell’art. 196 quater c.p.c. contenente disposizioni sull’obbligatorietà del deposito telematico di atti e di provvedimenti. Al co. 1 viene eliminato il riferimento alla nota di iscrizione a ruolo e viene riformulata la previsione circa il deposito di copie cartacee su ordine del giudice. Segnatamente, la norma vigente prevede che per ragioni specifiche il giudice possa ordinare il deposito di copia cartacea di singoli atti e documenti, il cui originale può essere tanto cartaceo quanto informatico. Tuttavia, in certi casi, è necessario acquisire al processo l’originale cartaceo di specifici atti o documenti (a titolo esemplificativo, si pensi all’ipotesi della scrittura privata disconosciuta o del testamento olografo impugnato per difetto di olografia, in cui è necessario svolgere specifiche verifiche proprio sull’originale).
Nel caso della verificazione della scrittura privata e della querela di falso, infatti, il codice di rito già prevede il deposito dell’originale del documento e la sua custodia (artt. 217 e 223 c.p.c.) ma la medesima esigenza potrebbe porsi anche in altre occasioni che non è possibile prevedere a priori. La norma è stata modificata nel senso di prevedere che il giudice può ordinare il deposito di singoli atti e documenti su supporto cartaceo, indipendentemente dal fatto che si tratti di originali o di copie. In aggiunta, si è previsto che egli ha tale potere solo quando l’acquisizione dell’atto o documento in formato cartaceo sia effettivamente necessaria ai fini della decisione e che nel provvedimento il giudice deve specificamente indicarne la ragione, al fine di conciliare l’esigenza di cui si è detto con la necessità di evitare che la norma possa prestare il fianco a prassi non in linea con il generalizzato obbligo di deposito telematico.
La modifica del co. 4 intende circoscrivere le ipotesi in cui è possibile derogare all’obbligo di deposito telematico in caso di malfunzionamento dei sistemi informatici. A tale scopo, si prevede che il malfunzionamento deve essere attestato dalla Direzione generale per i servizi informativi automatizzati del Ministero della giustizia e solo in questo caso il presidente del tribunale può autorizzare il deposito in modalità cartacea degli atti urgenti.
Il domicilio digitale e l’udienza digitale
Al fine di completare la digitalizzazione del processo civile, la novella introduce un nuovo articolo 196 septies.1 disp. att. c.p.c. (rubricato Domicilio digitale), quale norma di chiusura del sistema. La nuova norma recepisce le analoghe disposizioni già contenute nel d.l. n. 179/2012, prevedendo al co. 1 che “Salvo che la legge preveda diversamente, le comunicazioni e notificazioni al difensore o alla parte presso il difensore sono effettuate tramite posta elettronica certificata all’indirizzo risultante da pubblici elenchi o dal registro generale degli indirizzi elettronici gestito dal Ministero della giustizia”.
Il co. 2 prosegue stabilendo che, quando la parte sta in giudizio personalmente, ai soggetti dotati di domicilio digitale eletto, ai sensi dell’art. 3 bis commi 1 e 1 bis d.lgs n. 82/2005 (CAD), o che hanno indicato un domicilio digitale speciale, ai sensi dell’art. 3 bis co. 4 quinquies CAD, le comunicazioni e le notificazioni sono effettuate tramite PEC o servizio elettronico di recapito certificato qualificato. In tal caso, si applicano le disposizioni previste dal co. 7 dell’art. 149 bis c.p.c., salvo che la legge non preveda diversamente.
Il co. 3 prevede che le comunicazioni e le notificazioni alle pubbliche amministrazioni che stanno in giudizio avvalendosi direttamente di propri dipendenti sono effettuate agli indirizzi di posta elettronica comunicati a norma dell’art. 16 co. 12 d.l. n. 179/2012 (conv. con modif. l. n. 221/2012). In caso di mancata comunicazione, la notifica è effettuata ai sensi dell’articolo 16 ter co. 1 ter d.l. n. 179/2012 (conv. con modif. l. n. 221/2012).
L’ultimo co. ribadisce che i pubblici elenchi degli indirizzi di PEC sono quelli previsti dagli artt. 6 bis, 6 ter e 6 quater CAD. La novella prevede, infine, fra l’altro, l’inserimento nell’art. 196 duodecies dopo il co. 4 disp. att. c.p.c. di un nuovo comma che disciplina l’udienza con collegamenti audiovisivi a distanza. Con tale disposizione si consente al giudice, in caso di gravi motivi, di autorizzare il collegamento audiovisivo delle parti da un luogo diverso da quello dal quale si collegano i difensori. L’autorizzazione è concessa su istanza di parte ed è richiesta l’attestazione, da parte dei difensori, sul fatto che le parti sono state edotte della necessità di rispettare, durante il collegamento, le prescrizioni dettate dal medesimo articolo 196 duodecies e l’attestazione sul possesso di idonei strumenti informatici per il collegamento