Se l’agire risente oggi della esponenziale influenza o dominanza delle tecnologie e delle forme di intelligenza che scaturiscono dall’esercizio di metodi di intelligenza artificiale applicati alla ormai massiva, multiforme e crescente realtà di dati, quale ruolo, quale specimen, quale spazio rimane nella esclusiva determinazione delle professionalità del diritto?
Prendendo rigorosamente e fermamente le distanze dalla tesi che suffraga la sostituzione tout court, il punto che ci pone è quello che attiene alla valorizzazione di quello spazio di autonomia nel quale la professionalità, la deontologia che quella professionalità rafforza, delimita e amplifica nell’impegno valoriale, insieme con la consapevolezza costituiscono baluardi di garanzia a fronte di una società che transa, comunica, vive, decide in modo “ibrido”, umano ed artificiale insieme.
Ecco perché è tempo che si affronti il tema di cosa significhi la trasformazione digitale dal punto di vista del professionista del diritto e della necessaria formazione che deve a questo essere offerta affinché la autonomia sia mantenuta, anzi aumentata, dinnanzi ad un contesto decisionale che è largamente cambiato.
Lo scenario attuale
Oggi, laddove prima si era abituati a validare una decisione o a sancire l’accettabilità di una azione, sulla base di un solo criterio di legittimazione, legato alla metrica della qualità dominante o monopolistica di un settore (il giusto, l’esatto, il conforme, l’efficiente, l’efficace), si trova piuttosto una combinazione di metriche di qualità.
Ne deriva che le decisioni e i contributi alla decisione che vengono dati da diverse forme di “intelligenza” (combinando expertise e identificazione di criteri normativi di accettabilità) devono rispondere ad un insieme, composito, di parametri di qualità.
Alcuni esempi possono essere tratti dalla esperienza vissuta in fase di reazione alla emergenza pandemica esplosa a seguito della diffusione della SARS-19. Laddove l’utilizzo di algoritmi di previsione del tasso di potenziale rischio di contagio e di diffusione venivano costruiti a partire da basi dati alimentate attraverso un circuito locale-nazionale-europeo-internazionale, le decisioni prese in materia di limitazione ovvero di rilascio graduale delle stesse delle libertà individuali – come quelle di mobilità, di carattere economico, di accesso ai servizi pubblici – sono state legittimate sulla base della combinazione di razionalità tratte dal dato algoritmico, di razionalità organizzative e funzionali – ad esempio la sostenibilità del controllo del rispetto delle limitazioni ovvero la sostenibilità delle limitazioni stesse per il sistema economico di base – e giuridico-ordinamentali – la necessaria garanzia di alcuni livelli incomprimibili di libertà e diritti fondamentali.
Negli ultimi due anni di questi molto è già stato scritto. Autorevoli ricerche comparate hanno mostrato la diversità delle reazioni dei paesi europei e il grado di differenziazione nella accettazione sociale, ancorché della reazione del sistema giuridico e giurisdizionale. Ancora, della combinazione di discrezionalità tecnica e garanzia giuridica e giurisdizionale molto si è discusso, trattato, normato. Il nostro paese è particolarmente sensibile a tali combinazioni anche in ragione delle esperienze, ancora una volta drammatiche, di eventi calamitosi che hanno segnato il territorio, ma soprattutto la vita dei cittadini e delle comunità, e che hanno dato luogo a percorsi di tipo giudiziario ampiamente discussi in dottrina e nella pubblicistica.
Il punto di vista del professionista del diritto
Molto meno invece si è discusso in una chiave sistemica e di lungo periodo di cosa tutto questo significhi dal punto di vista del professionista del diritto e della necessaria formazione che deve a questo essere offerta affinché la autonomia sia mantenuta, anzi aumentata, dinnanzi ad un contesto decisionale che è largamente cambiato.
Annoverare fra le cause del cambiamento dello scenario contestuale in cui il professionista del diritto si situa soltanto il fattore esogeno della tecnologia ovvero della trasformazione digitale è errato sul piano empirico ed analitico. Sarebbe come immaginare che i cambiamenti cui abbiamo assistito nel corso degli ultimi trent’anni possano essere spiegati solo con la variabile esogena della globalizzazione. Non è così. Accanto al progresso della matematica, della capacità computazione, della disponibilità di contenuti in formato digitale e di basi di dati capaci di travalicare in modo naturale i confini dei territori governati in modo precipuo e proprio dallo strumento del diritto, altri fattori intervengono nel modificare lo scenario in cui si esercita la professionalità legale. Fra questi il primo per salienza, per peso specifico e per potenziale foriero di conseguenze è il divenire della normatività, innanzitutto di quella giuridica.
Il divenire delle norme
La norma è divenuta – si è manifestata essere – uno spazio, non un insieme dato di vincoli. Spazio di significati che si innestano su un universo normativo plurale, connesso sia a forme di normatività create dal basso, su base casistica, sia a forme di normatività caratterizzate da gradi di cogenza diversi e granulari – capaci di passare dalla soft law alla hard law o di restare nel novero delle norme di qualità ma avere un peso de facto di imposizione di una compliance funzionale molto forte.
Di tutto questo quanto segue non intendo trattare in profondità, considerando invece queste brevi considerazioni come premesse. Esse vogliono portare alla attenzione delle istituzioni una opportunità di valorizzazione delle professioni del diritto e dei diritti rimettendo al centro la autonomia del giudizio della professionalità legale e la sua – ad oggi – quantomai necessaria postura di autonomia epistemica dinnanzi al ventaglio di normatività che insistono sul campo di decisione, di azione e di interazione con il cittadino.
È oggi importante che sia progettata una politica istituzionale di carattere formativo in senso ampio, di professionalità lungo tutto il corso della carriera, e che sia capace di assicurare che l’ultima ratio dinnanzi a forme di intelligenza che possono coadiuvare la decisione del professionista resti nelle mani di quest’ultimo, reso capace di renderne conto in modo apertamente inclusivo e democratico al cittadino che voglia chiederne spiegazione, ovvero al sistema economico o del territorio che in quella autonomia riconosce la garanzia di una terzietà non comprimibile.
La professionalità come padronanza di intelligenze e saperi
Non accade di frequente che contesto istituzionale, dinamiche politiche congiunturali e processi di sviluppo tecnologico orientino, nemo volens, il loro fascio di luce verso uno dei grandi snodi tematici del pensiero politico e sociale del liberalismo costituzionale: la libertà di scelta e la autonomia del giudizio.
Di recente, in un fortunato volume intitolato On Freedom Cass Sunstein, ha ripercorso in modo innovativo il tema della scelta avvalendosi dell’idea della architettura delle scelte, quel complesso articolato di vincoli ed opportunità che definiscono il perimetro entro cui si esercita, appunto, la scelta di agire. Il corollario della libertà di scelta è la responsabilità dell’agire. Se, come in fondo tutto l’impianto del pensiero politico liberale e dei fondamenti stessi del concetto di Stato di diritto assume, la libertà di scelta attiene all’ontologia della persona allora essa scaturisce dalla ontologia stessa della persona e si riflette nella fenomenologia dei comportamenti. Eppure, nessuna persona agisce in vacuum.
Proprio perché inseriti in contesti sociali, istituzionali, culturali, dove le strutture si protraggono e determinano una continuità fra momenti dell’agire che si susseguono nel tempo, proprio perché parte di mondi che sono caratterizzati da vincoli ed opportunità, nessuna persona e soprattutto nessuna persona che si trovi a svolgere un ruolo istituzionale agisce in vacuum. Dunque, esistono delle forze capaci di incidere sul comportamento: sono forze che influenzano il comportamento. Come lo fanno? Incidendo sui vincoli e le opportunità, non solo quelli oggettivi e strutturali ma anche quelli culturali, ossia agendo come una sorta di meccanismi di oscuramento o di attivazione di opzioni di comportamento possibili in teoria che diventano possibili nella realtà (o non possibili a seconda del tipo di forza e della direzione dell’influenza).
Lo spazio di autonomia delle professionalità del diritto
Il dibattito attuale che tocca i temi della autonomia e dell’automazione costringe a riprendere il tema di quello spazio, non comprimibile o quantomeno non riducibile a zero, dove si esercita l’autonomia, ossia la espressione della persona come capace di originare da sola – autos – un criterio normante – nomos – e ordinante dell’agire.
Il tema dello spazio di autonomia diventa cruciale quando si discute di garanzie e di servizio reso dalle professionalità del diritto in un nuovo scenario che tiene conto sia della concomitanza e della co-partecipazione di diversi ordini normativi che diverse fonti di norme orientano e danno un significato a quell’esercizio della libertà di scegliere che è appunto il momento ultimo, la solitudine ultima e massima, di chi appunto è espressione della umanità nel contesto istituzionale sia della combinazione di diverse forme di “intelligenza” ivi compresa quella estrapolata dal supporto/ausilio della matematica avanzata applicata a basi di dati massivi.
Il primo ventennio del XXI secolo si è senz’altro qualificato per lo sviluppo esponenziale della scienza dei dati, per il trasferimento in formato digitale di contenuti e forme di elaborazione documentale, per la crescente enfasi posta sulle aspettative, le promesse e le opportunità che il connubio fra digitale e intelligenza computazionale fanno insorgere in merito alla decisione, alla organizzazione, alla erogazione dei servizi. I riflessi sulla tutela dei diritti della persona, nonché sulle forme di controllo e di partecipazione che attori istituzionali portatori di valori e competenze sono in grado di assicurare all’interno dei processi, sono senza alcun dubbio una questione non solo aperta, ma di rango primario nella agenda del millennio che si apre davanti.
Diritto e digitalizzazione
Negli ultimi cinque anni poi il settore del diritto e della giustizia è stato attraversato da un fenomeno particolarmente diffuso e di portata ancora largamente inesplorata derivato dalla combinazione di due fattori: da un lato, la disponibilità, spesso in open access, di dati di carattere statistico sociale, economico, commerciale e di documenti di tipo giuridico e giudiziario in formato digitale; dall’altro lato la fruibilità di tecniche di matematica applicata e di scienza dell’informazione, unite allo sviluppo di macchine dalla capacità di calcolo in crescita esponenziale.
Tali considerazioni acquisiscono un valore particolarmente alto nel contesto dell’esercizio delle funzioni delle istituzioni della terzietà, ovvero delle istituzioni cui viene assegnato il ruolo di contrappeso esterno al circuito di diretta legittimazione elettorale o di rappresentanza di interessi e posizioni socioeconomiche o valoriali. Queste funzioni rappresentano il tratto distintivo di un ampio ventaglio di dispositivi istituzionali, diversamente strutturati a seconda degli ordinamenti, ancorché convergenti per alcune caratteristiche, sia che ci si riferisca a funzioni esercitate da attori individuali, sia che ci si riferisca a funzioni esercitate da organizzazioni complesse o organi collegiali. In tal senso le professioni giuridiche si trovano a svolgere il duplice ruolo che consiste nell’esprimere la terzietà e al contempo agire con una razionalità legata al caso individuale.
In generale, questa pluralità di intelligenze e della pluralità normativa che ad esse è connessa – valutare la qualità di una decisione presa con ausilio di algoritmi non è la stessa cosa che valutare la validità di una decisione fondata sulla norma giuridica – è andata sviluppandosi in risposta – sovente frammentata territorialmente – ad una richiesta e ad un vacuum funzionale, sorti dal progressivo rendersi complessa della conoscenza tecnica e scientifica, dall’innalzamento del grado di specializzazione, dall’incompleto – e disomogeneo – allineamento fra formazione avanzata e aggiornamento necessario e dall’emergere di profili di responsabilità legate all’innesto non lineare della conoscenza fattuale all’interno del ragionamento giuridico e giurisdizionale.
L’evoluzione del sapere scientifico e delle competenze tecniche
Un dato si aggiunge a questo quadro a valle della esperienza degli ultimi anni e guardando alla prospettiva di evoluzione che abbiamo davanti. Le conoscenze tecniche e scientifiche che entrano nella giurisdizione obbediscono a criteri di qualità che attengono alla metodologia di scoperta e validazione di ipotesi esplicative ed interpretative soggette ad un divenire fisiologico, quello proprio della scienza e delle scienze. Basterebbe richiamare questo aspetto con riferimento alle professionalità di carattere medico per non avere alcun dubbio su questo aspetto e sulla sua salienza. Tuttavia, non si tratta del solo meritevole di considerazione.
A fianco della ineludibile evoluzione del sapere scientifico esiste poi un profilo di pluralità delle scuole di pensiero, delle visioni scientifiche di insiemi di fenomeni che per la loro complessità e la loro novità costituiscono ad oggi la frontiera della competenza tecnica. Su questa frontiera le prospettive di valutazione tecnica non sono convergenti, o almeno non lo sono in modo univoco e necessario. Si pensi ad esempio alle competenze tecniche in materia ambientale, in materia di responsabilità rispetto ai danni lavoro correlato, in materia, più sofisticata, ma non meno attuale, di innesto matematico e algoritmico di intelligenze automatizzate nei processi di organizzazione del lavoro o di erogazione di servizi nel mondo bancario, assicurativo, medico.
Le criticità su cui agire sono direttamente connesse con i valori di fondo che trovano il punto di convergenza nella qualità della risposta che lo Stato di diritto nel suo “essere messo in azione” attraverso la singolarità del caso e del contesto deve dare alla società e al cittadino. Tale risposta deve essere di fatto e di percepito come terza, autorevole, duratura, leggibile. Le criticità rispetto a cui l’azione delle istituzioni ordinistiche è necessaria e benefica sono quindi la qualità e la autonomia.
La necessità di equilibrio
Come coniugare dunque quello spazio di autonomia del giudizio e del ragionamento con l’equilibrio che si chiede nella persistente, regolare, inflessibile e al contempo implicita e silenziosa postura rispetto a intelligente plurali che rispondono a criteri di validazione del sapere diversi? Proprio perché è necessario coniugare in una strategia condivisa la pluralità delle voci dei territori e delle realtà ordinistiche locali con l’ideale comune che dà autorevolezza sul piano costituzionale e democratico alle professionalità del diritto come presidio di garanzia nello spazio di autonoma e consapevole combinazione di intelligenze plurali di cui la persona professionista resta detentrice della maîtrise.
L’aspettativa e il bisogno funzionale dell’autonomia ha il suo precipitato istituzionale in diritto positivo nello status ordinamentale assegnato alle garanzie di maîtrise del sapere giuridico. Ma questa garanzia è strettamente connessa al fatto che l’agire, la risposta data al cittadino, sia validata in conformità ai parametri di validazione del sapere giuridico.
Quel sapere, tuttavia, co-partecipa – pur con ruolo dominante – alla combinazione di intelligenze che co-partecipano a definire il contesto conoscitivo di cui dispongono le professioni del diritto per ragionare, decidere, risolvere problemi, proporre soluzioni. Non basta dunque la garanzia che de jure e de facto si invera nella maîtrise del sapere giuridico ad assicurare che vi sia un rispetto effettivo di quel bisogno di presidio di garanzia di tipo complessivo. Tale garanzia di qualità si configura come l’effetto della combinazione di parametri diversi fra loro di qualità di saperi e intelligenze che rispondono a normatività distinte. Eppure, in questa combinazione, che è refrattaria qualsiasi forma di reductio ad unum, resta la funzione di presidio che deve essere esercitata dalla autonoma valutazione della professionalità del diritto.
Occorre sviluppare percorsi in cui siano discussi e costruiti linguaggi e metodi capaci di dare una identità istituzionale alla posizione della professionalità del diritto aumentandone la consapevolezza della capacità di interagire con tutte le intelligenze plurali che intervengono sia nella organizzazione degli Studi, sia nella preparazione di casi, sia nella due diligence, sia ancora nella interlocuzione con le istanze della regolazione nelle materie di frontiera del prossimo futuro, come le criptovalute, la robotica, l’intelligenza artificiale.
Gli obiettivi di una agenda istituzionale di ampio respiro
È a partire da questa idea di fondo che viene qui incoraggiata la elaborazione di una agenda istituzionale per una strategia integrata di apprendimento e cultura della professionalità.
Tale agenda istituzionale si inquadrerebbe in una prospettiva di ampio respiro e di alta cultura della trasformazione democratica e sociale, laddove essa potrebbe comprendere oltre all’accompagnamento dello sviluppo della professionalità giuridica come presidio delle garanzie in un setting di Stato di diritto trasformato dalla digitalizzazione e dall’avanzamento scientifico e tecnologico in genere, anche una capillare azione sul territorio di comunicazione al cittadino, al fine di rendere l’interazione fra cittadino e professionalità giuridica mutualmente foriero di un capitale fiduciario non solo sul piano individuale, ma anche sul piano sistemico.
Perché questa prospettiva possa rendersi attuale e realizzabile occorre che le occasioni di dialogo istituzionale e professionale alto e plurale sia qualifichino come momenti in cui le istituzioni portano ad un tavolo di dibattito e di elaborazione critica la loro prospettiva, anche di natura pratica e orientata alle politiche pubbliche, oltre che alla progettazione tecnologica, e le istanze della ricerca scientifica si rendano interlocutori attenti a costruire quel ponte di raccordo fra modello e situazione di esperienza giuridica e normativa che costituisce il banco di prova delle ipotesi di lavoro con cui si studia e si elaborano teorie e spiegazioni.
Una preziosa occasione che va in questa direzione, valorizzando la possibilità di una prospettiva euro-comune e comparata che oggi è offerta dalla indubbia esplosione di attenzione e di azione regolativa e normativa in materi di società digitale che caratterizza sia l’Europa sia gli altri ordinamenti e le altre aree di regionalismo – più o meno normativamente integrate – è creata a Firenze dal connubio di istituzioni della cultura, istituzioni economiche, sociali e politiche, ovvero voci della scienza e della tecnica, raccolte attorno ad una giornata di alti studi e di dialogo internazionale sul tema della fiducia e della società digitale, organizzata dalla Fondazione Italiana del Notariato in collaborazione con la Commissione Informatica del Consiglio Nazionale del Notariato e Notartel.
Conclusione
Vale la pena qui riportare l’auspicio che per questa via sia avviato un percorso di attuazione partecipata delle norme giuridiche primarie che andranno nel prossimo futuro insistendo sui fenomeni di più alta intensità innovativa – come la robotica, l’intelligenza artificiale e le criptovalute. Su questa attuazione a fronte di un obbligo indirizzato dal legislatore europeo agli Stati membri la effettiva combinazione di qualità strutturale e tecnica – comprensiva di profili strutturali di sicurezza – di qualità matematiche con i gradi più alti di garanzia della tutela dei diritti fondamentali il presidio anche coadiuvato da ricerca specializzata e orientata a rilevazione in contesto di rischi effettivi e/o potenzialità di miglioramento sia svolto dalle professioni del diritto.
Dinnanzi dunque ad una modificata architettura delle scelte e ad una riconfigurazione degli spazi di decisione e di intervento ovvero di contributo irriducibile e qualitativamente distintivo della intelligenza professionale giuridica occorre che vi siano tutte le strategie istituzionali che quella autonomia e quella garanzia accompagnino, coltivino in una ottica di cultura riflessa, di dibattito e di aperta discussione, di modo che nelle molte grammatiche che lo Stato di diritto trasformato del XXI secolo la grammatica dell’ultima istanza, quella che spiega e dà significato alla decisione, alla scelta ultima presa dinnanzi al cittadino di oggi e di domani sia quella che parla nei termini dei diritti e delle libertà fondamentali.