I cinque problemi basilari del Processo civile telematico

Gli applicativi attuali non tutelano pienamente la giurisdizione. E’ in corso una modifica che non si vedrà prima del 2016-2017. La pec è uno strumento farraginoso. Su tutto, pesa la carenza di organico e di governance complessiva

Pubblicato il 31 Lug 2015

Enrico Consolandi

Magistrato, referente informatico Tribunale di Milano

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Il testo normativo base del processo telematico si è iniziato a scrivere nell’ottobre 2012 con il dl 179/2012; da allora tutti gli anni normative, per lo più di urgenza, intervengono su quel testo ad aggiungere, modificare, limare, mettere a punto, inserire nuove scadenze, poi spostarle.

Nonostante questo attivismo normativo – forse proprio per questo – a distanza di tre anni il processo civile telematico ha ancora bisogno di molta carta ed uno dei più recenti acquisti fatti sono state le stampanti, perché il PCT ha spostato gran parte della produzione cartacea dagli avvocati agli uffici pubblici, i quali sono arrivati impreparati.

Analizziamo ora i quattro principali motivi della stampa degli atti e quindi i problemi alla base del PCT.

Assegnazione del fascicolo nell’udenza collegiale

Negli attuali applicativi il giudice accede agli atti provenienti dal difensore solo quando è titolare del fascicolo; vi è tuttavia una fase precedente, quella della assegnazione del fascicolo al giudice, che è compiuta da altri magistrati che non hanno acceso al fascicolo: il presidente del Tribunale ed il presidente di sezione. Di qui la necessità di una copia cartacea almeno dell’atto di parte, perché possano sapere su cosa stanno lavorando.

Tenuto conto che un errore nella assegnazione alla sezione o al giudice comporta una “falsa partenza” del processo che può far perdere mesi di tempo, è nell’interesse generale che nella assegnazione si possa vedere il contenuto dell’atto.

La questione è stata da tempo sottoposta al Ministero per la modifica degli applicativi e sarebbe semplicemente risolvibile con una condivisione del fascicolo o una visibilità accordata ai presidenti. Tuttavia non è mai stata sviluppata per la concomitanza di un altro progetto informatico, che ha coinvolto il CSM e cioè l’algoritmo di assegnazione automatica dei processi, nel cui ambito esiste una funzione riservata ai presidenti per la distribuzione secondo criteri predeterminati. Si tratta di un intento teoricamente lodevole, perché esclude la possibilità di scegliersi il giudice, alla parte ed anche al presidente (su questo tema efficace la satira di un presidente del Tribunale di Milano visibile a http://digilander.iol.it/jocan/satira/satira_giuridica.htm), ma che ha portato a limitatissimi risultati concreti per la difficoltà di utilizzo dell’applicativo. Anche questo applicativo non consente al Presidente di vedere telematicamente gli atti e quindi non risolve il problema iniziale, cioè la decisione “al buio” circa la assegnazione.

A ciò si aggiunge che in molti processi, tipicamente quello d’appello e la volontaria giurisdizione, il presidente non solo assegna, ma fissa anche la prima udienza e ciò non può essere fatto senza vedere gli atti.

Gli applicativi attuali – è in corso una modifica che non si vedrà prima del 2016 – quindi non tutelano pienamente la giurisdizione: è necessaria la stampa.

Nè ci si può fidare della indicazione dell’oggetto della causa indicati dall’avvocato, perché molto spesso sono imprecisi o indicati con l’oggetto che finisce per “999” che corrisponde a indicazione generica. E’ il problema di una grande raccolta di dati realizzata con il concorso degli avvocati, ma troppo spesso imprecisa e che nessuno realmente controlla.

Evidente inoltre il difetto di coordinamento fra norma – quella che dal 30 giugno consente qualsiasi tipo di atto introduttivo per via telematica – e (mancato) sviluppo tecnologico, anche per la incapacità di coordinare due progetti, entrambi non a punto, che si sono evidentemente danneggiati a vicenda e comunque troppo pochi conoscono.

Residua qualche problema normativo perché le disposizioni di attuazione del codice civile continuano a prescrivere che la assegnazione sia fatta sulla nota di iscrizione e questa è, nel PCT, un documento digitale firmato CADES dal difensore, che quindi non tollera aggiunte: una stampa della nota risulterebbe quindi inevitabile, non fosse che si tratta di norma caduta in desuetudine, ma che qualche partigiano della carta potrebbe rispolverare.

Il pubblico ministero non ha accesso al fascicolo

Sin dal 2013 si rilevò che una delle parti del processo civile, il PM, che in molte materie deve essere sentito, ha potere di iniziativa e soprattutto deve vistare una serie di sentenze, fra cui quelle di divorzio, nel PCT è cieco e muto. Non ha accesso al fascicolo telematico, non può essere nel REGINDE perché è un soggetto interno alla amministrazione della giustizia, ma non ha alcun applicativo che lo metta in grado di vedere gli atti del fascicolo telematico e depositare memorie o istanze.

Non resta che stampargli gli atti: il processo civile può essere telematico, ma quando arriva al PM si deve fare cartaceo.

Anche in questo caso alla radice di questa falla tecnologica – destinata ad essere risolta forse nel 2016 – vi è una incapacità di scelta: i fondi si volevano ricavare da quelli dell’expo, ma era necessario l’assenso del Ministero, il quale non sapeva determinarsi se inserire questi dati nel sistema civile di cognizione con il SICID e la consolle utilizzati dai giudici civili, ovvero se realizzare una migrazione parziale degli atti ad altro registro SICP, riservato ai penalisti, che comunque ad oggi non prevede un repository documentale e l’utilizzo di firma digitale. A ciò si è aggiunta la difficoltà negli ultimi anni di determinarsi sulla spesa di questi fondi expo dedicati alla giustizia.

Come il cavallo di Buridano, nella incapacità di scegliere si è perso molto tempo ed occasioni di semplificazione e risparmio: si pensi che tutti i mesi i Tribunali periferici inviano migliaia di processi di divorzio – e non solo di divorzio – alla sede della Corte d’Appello, perché la Procura Generale vi apponga un visto senza il quale la sentenza non è definitiva; ogni mese questi fascicoli tornano al Tribunale di provenienza. Oggi questo necessita la stampa, mentre sarebbe più semplice ed economico realizzare tutto ciò con la semplice visibilità di un fascicolo informatico.

Si farà, nel 2016, o forse nel 2017.

Utenza a-tecnica come gli amministratori di sostegno

Il PCT consente molte cose agli avvocati, ad altri professionisti, che siano munti di firma digitale e casella PEC, ma il singolo cittadino non vi accede.

La volontaria giurisdizione, in particolare la nomina di amministratori si sostegno, viene utilizzata per almeno il 50% da normali cittadini, ai quali non si può chiedere di munirsi di questi strumenti, un redattore di testi ed xml. Questi quindi continuerà ad utilizzare la carta e gli si dovrà stampare il provvedimento telematico del giudice.

Esiste un sistema di accesso ai registri per la utenza atecnica, visualizzabile anche tramite smartphone, ma è sfornito di autenticazione forte, per cui gli atti e molte registrazioni vengono oscurati, per evidenti motivi di privacy.

Forse la introduzione dello SPID per la identificazione digitale potrebbe consentire una migliore visualizzazione ai privati, ma certamente l’attuale sistema della PEC per l’invio di file PDF con strutture che necessitano appositi applicativi, per lo più a pagamento e complessi, impedisce in questi casi la diffusione del PCT ed ancora i porcessi alla carta.

La pec e i file pesanti

Nel 2009 vi fu una sterzata del PCT alla PEC, utilizzata anche per veicolare i testi e le relative informazioni strutturate e gli allegati; ma i protocolli della PEC sono quelli della posta, Pop, Impa, Smtpo, che mal sopportano file pesanti, mentre le allegazioni di molte perizie superano i limiti imposti dalla tecnologia prescelta. Si è scelto dunque di inviare più pec e vi sono processi che per l’invio di un solo atto necessitano decine di PEC (esempi noti superano gli 80 messagi PEC).

Si genera così una selva ove è impossibile trovare ciò che serve, se non aprendo 80 diverse buste, e gli attuali applicativi non consentono di isolare, per successive consultazioni, i documenti importanti, per cui ogni volta che servirà un certo documento sarà necessario ripetere la ricerca.

Le regole tecniche sul processo telematico prescrivono una facile recuperabilità delle informazioni che così è compromessa. Inevitabile in questi casi ricorrere ad una stampa, dove i documenti sono più facilmente recuparabili, ordinabili, maneggiabili. Qui è il sistema della PEC veicolare che va rivisto, ma su di esso poggia ormai tutto il PCT per cui non sarà semplice.

Carenze di organico e nell’assistenza

A tutto ciò si aggiungono i numerosi contrattempi per le lentezze di una assistenza che ha tempi di intervento contrattuali incompatibili con il lavoro giudiziario, che non può avere soste di giorni in attesa dei tecnici. Così pure sul rilascio delle firme digitali le procedure del Ministero allo stato richiedono settimane, perché centralizzate, ma senza firma digitale il giudice non può provvedere telematicamente né conoscere gli atti delle parti.

Anche in questi casi la stampa dei file si rende necessaria ed assicura la continuità del lavoro.

Il d.l. 85/2015, in corso di conversione, dopo le modifiche alla Camera reca una norma che fa carico al ministero della Giustizia di stabilire come e chi provvede alla stampa in questi casi, ma è una norma che rinvia la soluzione anziché fornirla, lasciando nelle more ai singoli uffici una autoorganizzazione, spesso carente e fonte di contrasti e prassi differenti.

Siamo dunque ancora lontani da un processo interamente telematico: d’altronde ci si è apprestati ad una impresa unica al mondo, posto che nessun altro Stato utilizza al nostro livello la informatica nei giudizi civili, senza una governance della innovazione, con pochi mezzi e con un personale molto vecchio (la media attuale del personale di Cancelleria è superiore ai 52 anni).

Dopo anni di inaridimento dei fondi per la informatica finalmente il Ministero è riuscito ad ottenerne dal governo ed è diventato centro di spesa di fondi europei, ma rispetto ai nuovi fondi manca oggi il personale per gestire gli investimenti. Qualsiasi nuovo progetto necessita di personale per stendere contratti, analizzare le procedure, gestire i contratti e i collaudi e gli anni di vacche magre han fatto sì che il personale della DGSIA sia oggi ridotto all’osso e difficilmente riuscirà a gestire efficientemente e in fretta i nuovi fondi che pur si rendessero disponibili.

A fronte di ciò i nuovi obiettivi posti dalle leggi saranno in buona parte mancati: si tratta di raccolte dati imponenti per le quali manca il personale per il data entry e poi per la cura e manutenzione.

Ad esempio l’albo dei CTU progettato con l’urgenza del nuovo decreto legge sarà popolato da decine, se non centinaia di migliaia di CTU; il d.l. prevede che siano questi stessi ad iscriversi, ma avranno in parte necessità di assistenza e nessuno potrà dargliela. La assenza attualmente dell’applicativo, che va ancora progettato e realizzato, toglie urgenza, ma anche utilità alla norma.

La vera urgenza è la qualificazione, assunzione e motivazione del personale. La illusione di poter pigiare un bottone ed avere un sistema informativo pronto e fatta lasciamola ad altri, ci vogliono lavoratori formatie competenti per gestire la informatizzazione.

Il PCT non potrà dare frutti se non con il maturare di nuove professionalità, che oggi sono carenti ed è quasi impossibile pretendere da personale vicino alla pensione di farsela ex novo.

Il d.l. 83/2015 su questo finge di dare soluzioni indicando, ancora una volta, il personale di altre amministrazioni come da assumersi alle dipendenze di Giustizia: norme simili se ne sono viste già in precedenza e non hanno dato frutti. Il personale che arriverà, se arriverà, si vedrà fra anni e soprattutto non avrà la professionalità che serve, in materia informatica, non avrà conoscenza degli applicativi, dovrà essere convertito.

Il personale è poi necessario in relazione alle procedure adottate: attualmente la scelta ministeriale è di negare l’inserimento automatico nella base dati agli atti degli avvocati e ciò comporta che ciascuna busta inviata venga lavorata dalla Cancelleria. Questa lavorazione può tardare di giorni e a volte di settimane. Nelle more il giudice non ha modo di sapere se vi è una memoria di un avvocato da leggere ed è accaduto che alcune decisioni siano state prese mentre le memorie erano in attesa di accettazione.

Il problema è dunque di coordinamento: se il personale manca le procedure non possono essere troppo onerose, ma anche di progettazione dei tempi, perché in carenza di una giusta organizzazione accelerare sulla informatizzazione rischia di essere un autogol, generando inevitabilmente insoddisfazione negli utenti per servizi carenti.

Anche le procedure informatiche devono ancora essere ottimizzate: sono frequenti tempi d’attesa dell’ordine dei minuti, a volte delle decine di minuti, ed è tempo perso dal personale, che, come detto è sempre minore.

Sarebbe necessario fermarsi e consolidare le architetture, le procedure, invece sempre nuovi decreti d’urgenza aggiungono nuovi impegni in modo del tutto inopportuno ed ancora si torna al problema iniziale: se ci fosse personale per sostenere gli investimenti tutto si potrebbe fare, ma senza gli inconvenienti sono inevitabili.

Una governance di questa innovazione è ancora carente, il legislatore e l’organizzatore non si parlano, troppo spesso fanno finta che tutto vada bene, sbagliano sui tempi e le capacità, a volte per non ammettere i propri errori. Non si può contare sulla sola capacità di supplenza ed auoorganizzazione degli uffici, se non altro perché essendo queste differenti da ufficio ad ufficio, non si colma il gap telematico fra chi ha creduto e spinto sulle nuove tecnologie e chi le ha lasciate dormire, quando non addirittura osteggiate.

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