La Corte Suprema spagnola con una sentenza ha negato la possibilità della restituzione del bitcoin poiché non è un oggetto materiale, né ha lo status giuridico di denaro. Nello specifico, la Corte ha condannato l’accusato a risarcire il danno pagando il valore in euro dei bitcoin alla data del loro trasferimento nel 2014. Analizziamo la situazione.
La sentenza della Corte suprema spagnola
Ecco come finisce la sentenza n. 326/2019 del 20 giugno emessa dal Tribunal Supremo Spagnolo (in seguito “La Corte Suprema” o “La Corte di Cassazione Spagnola”). Si veda –alla fine– il Fondamento Giuridico Terzo. Pertanto, anche se gli elementi di prova giustificano che il contratto di investimento è stato stipulato consegnando ai ricorrenti i bitcoin e non gli euro trasferiti all’accusato, la Corte Provinciale di Madrid (Audiencia Provincial de Madrid) non può stabilire la restituzione dei bitcoin, ed è opportuno riparare e risarcire il danno secondo le modalità indicate nella sentenza della Corte d’appello, cioè, l’importo del contributo monetario versato viene restituito ai danneggiati, con un incremento, come danno (“perjuicio”), che si manifesta nella redditività che il prezzo delle unità di bitcoin avrebbe offerto dal momento dell’investimento alla data di scadenza dei rispettivi contratti.
L’osservazione e molti anni di esperienza nel campo del Diritto mi portano a interpretare le sentenze, categorizzandole in due tipologie diverse, quelle in cui dal risultato della sentenza nasce il fondamento tecnico legale e quelle in cui dal fondamento tecnico legale nasce il risultato della sentenza. Questo è un caso speciale. L’esito della sentenza (num. 326/2019) è, a mio avviso, una conclusione ragionevole. Anche se non era l’unica possibile. Infatti, non è illogico restituire al danneggiato, in termini di giustizia materiale, il valore in euro di quanto pagato per i suoi bitcoin, maggiorato della plusvalenza.
Il framework normativo
Tuttavia, il sostegno della base tecnico-giuridica non supporta correttamente, a mio parere, il peso di tale decisione. Infatti non sembra accompagnare armoniosamente il risultato del giudizio in una materia innovativa (bitcoin) che necessita di luce, chiarezza e certezza da parte di un referente come la Corte Suprema in virtù dell’applicazione, tra l’altro, dell’Art. 1.6 del codice civile spagnolo che stabilisce che “la giurisprudenza deve integrare l’ordinamento giuridico con la dottrina ripetutamente stabilita dalla Corte di Cassazione nell’interpretazione e applicazione del diritto, dei costumi e dei principi generali del diritto”
Per questo è doveroso analizzare le definizioni, le considerazioni e i ragionamenti contenuti nella base giuridica della sentenza. Perché sono, difatti, elaborazioni che hanno il potenziale di cristallizzare e diventare la bussola di altre sentenze dei tribunali di grado inferiore. Pertanto, è importante formulare una critica costruttiva e rispettosa della sentenza pronunciata dalla Corte di Cassazione Spagnola.
Il caso
È la prima volta che la Corte Suprema spagnola si pronuncia sulla prima e più importante criptomoneta, il bitcoin. La Corte Suprema, con la sentenza n. 326/2019 del 20 giugno, conferma quella dettata dalla Corte Provinciale di Madrid. La sentenza è stata impugnata sia dal condannato che dall’accusa privata e la Corte di Cassazione ha respinto tutti i ricorsi presentati confermando la sentenza della Corte Provinciale.
L’imputato ha firmato diversi contratti di High Frequency Trading (HFT) in virtù dei quali si è impegnato a gestire i Bitcoin che gli sono stati consegnati in deposito da ciascuna delle parti contraenti, dovendo reinvestire gli eventuali dividendi e consegnare alla scadenza del contratto i profitti ottenuti in cambio di una commissione che avrebbe trattenuto. La Corte Suprema analizza questa sigla (HFT) quando afferma che “l’High-Frequency Trading è un tipo di negoziazione che si svolge nei mercati finanziari utilizzando strumenti tecnologici per ottenere informazioni dal mercato, eseguendo, attraverso algoritmi informatici, molteplici e numerosi ordini di acquisto-vendita in brevi periodi di tempo”.
L’accusato non ha dimostrato di aver effettuato nessuna delle innumerevoli operazioni contrattuali poiché, come spiegato dalla Corte Suprema, solo lui, in qualità di gestore di investimenti, poteva fornire la documentazione che giustificasse la sua azione sul mercato finanziario e le operazioni di acquisizione o di vendita. Pertanto, l’accusato, pur avendo concordato che avrebbe fatto questo tipo di investimento con i bitcoin non lo ha mai fatto, essendo solo guidato, come indica la sentenza, “dalla raccolta abusiva di denaro da parte di coloro che si lasciavano convincere“.
La condanna per truffa
Art. 248 del Codice penale spagnolo “Commettono truffa coloro che, con l’intento di lucro, usano l’inganno sufficiente a produrre errore in un altro, inducendolo a compiere un atto di disposizione a proprio danno o a danno di altri “. Articolo che è equivalente, con piccole sfumature, all’Art. 640 del Codice Penale Italiano Truffa. “Chiunque, con artifizi o raggiri inducendo taluno in errore , procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da cinquantuno euro a mille trentadue euro”. La sentenza confermata dalla Corte di Cassazione considera l’imputato penalmente responsabile di un reato continuato di truffa ai sensi degli articoli 248, 249 e 74 del Codice Penale spagnolo, imponendo l’obbligo di risarcire le vittime al valore del prezzo del bitcoin al momento della risoluzione di ciascuno dei contratti che ognuno di essi aveva con l’imputato.
Ricordiamoci che il reato continuato si configura quando un soggetto “viola una o più disposizioni di legge, con azioni diverse, per realizzare un medesimo disegno criminoso”. (art. 81, co. 2 codice penale italiano). Nel caso spagnolo è simile. Si veda: Art. 74 codice penale spagnolo: (…) chi, in esecuzione di un piano preconcepito o approfittando della stessa occasione, compie una pluralità di azioni od omissioni che offendono uno o più soggetti e violano lo stesso precetto penale o precetti della stessa natura o simili, è punito come autore di un reato …continuato…”
Le conseguenze civili del reato
Una volta che il reato è stato provato, bisogna analizzare la responsabilità civile derivata da questo, cioè l’applicazione dell’Art. 110 e 111 del codice penale spagnolo che equivale all’ Art. 185 del codice penale italiano nonostante l’Art. venga trattato in modo diverso, ma con un nucleo simile. Ed è qui che ha origine la domanda più importante: deve restituire i bitcoin che gli sono stati dati? O deve restituire l’equivalente in euro alla data del contratto, cioè il 2014?Ricordiamoci che in agosto e settembre 2014 ogni Bitcoin aveva un valore in quel momento più o meno fra duecento e quattrocento euro (200 e 400 euro), tuttavia alla data di emissione della sentenza della Corte di Cassazione Spagnola il bitcoin aveva un valore di diecimila cinquecento euro (10.500 euro) più o meno. C’è una differenza approssimativa di almeno trecentocinquantamila euro (350.000 euro) tra una possibile interpretazione della responsabilità civile e l’altra, cioè restituire i bitcoin con il valore attuale, o, restituire gli euro corrispondenti al valore del bitcoin nel momento in cui erano stati trasferiti all’accusato.
Infatti, uno dei motivi del ricorso è stato l’interpretazione degli articoli 110 e 111 del codice penale spagnolo. Ma che cosa dicono questi articoli riguardo la responsabilità civile? L’Art. 111 del codice penale spagnolo dice che “dovrà restituirsi, tutte le volte che sia possibile, lo stesso bene” Mentre l’Art. 110 del codice penale spagnolo dice che: “La responsabilità stabilita nell’Art. precedente comprende:
- Restituzione.
- Riparazione del danno.
- Risarcimento dei danni materiali e morali.
Pertanto, nei reati che hanno per oggetto l’incorporazione al proprio patrimonio di beni altrui, nelle varie forme in cui rientra la responsabilità civile derivante da un reato penale, la restituzione della cosa o del bene deve essere considerata preferibile al risarcimento del danno. Il risarcimento deve avvenire in via sussidiaria, cioè quando non è possibile la restituzione della cosa. Questi articoli equivarrebbero, come abbiamo detto prima, e con le loro diverse sfumature, all’Art. 185 del codice penale italiano: “Ogni reato obbliga alle restituzioni, a norma delle leggi civili [1168–1169]. Ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale [2059], obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui [2043–2054]” E cosa dice La Corte di Cassazione Spagnola nell’interpretare questi articoli (110 e 111 codice penale spagnolo)? Per rispondere a questa domanda, successivamente, riporterò, diverse considerazioni che corrispondono a frasi testuali della sentenza oggetto di analisi e che hanno una relazione con un punto concreto (esempio beni patrimoniali). Questo ci aiuterà ad effettuare una breve analisi da cui possono sorgere i primi dubbi, domande o considerazioni per poi fare una riflessione più dettagliata e discorsiva.
Beni patrimoniali/Attivi patrimoniali
I bitcoin sono attivi patrimoniali? Questi sono alcuni passaggi letterali della sentenza che si riferiscono al punto di cui sopra.
- la prova accredita “che il contratto di investimento era stato stipulato consegnando i bitcoin ricorrenti e non gli euro“.
- “il bitcoin non è altro che un attivo immateriale“.
- “L’atto di disposizione patrimoniale che deve essere risarcita si materializzò attraverso il denaro -in euro-“.
I bitcoin sono stati consegnati. È un fatto provato. Secondo la sentenza il bitcoin ha la condizione di bene patrimoniale. D’altra parte, la sentenza nega tale condizione all’atto di disposizione patrimoniale in quanto ritiene che si sia materializzata attraverso del denaro -in euro- e non sul bene patrimoniale che sembra sciolto (il bitcoin) come un’aspirina, pur riconoscendogli in precedenza la condizione di bene patrimoniale. Lo trovo, con tutto il dovuto rispetto, contraddittorio.
Conferimenti in denaro (“aportacion dineraria”)
- “restituendo alla parte lesa l’importo del contributo monetario versato”
- il bitcoin “Non è affatto denaro né può essere considerato tale dal punto di vista legale”
- “Il contratto di investimento è stato eseguito consegnando bitcoin e non euro“
La Corte ritiene che l’imputato debba restituire alle parti lese “l’importo del contributo monetario (“dinerario”) versato”. Ma è un contributo monetario (“dinerario”)? i querelanti hanno consegnato denaro? Come indicato al punto c) (vedi sopra) il contratto è stato eseguito consegnando bitcoin e non euro. È un fatto certo. Il tribunale ritiene provato che i bitcoin sono stati consegnati. Dice anche, categoricamente, che il bitcoin non è denaro. Non è possibile ordinare la restituzione di un contributo monetario, quando in realtà non è mai esistito tecnicamente. Il tribunale qualifica il bitcoin come un bene. Sarebbe quindi più opportuno parlare di restituzione del contributo non monetario versato.
Ricevere o consegnare Bitcoin
- “L’imputato intendeva impadronirsi (“apoderarse”) dei bitcoin ricevuti“.
- “Il bitcoin è un attivo di controprestazione o di scambio in qualsiasi transazione bilaterale“.
- “non sono stati spogliati/privati (despojados) dei bitcoin che dovrebbero essere loro restituiti“.
Secondo la sentenza: l’imputato ha ricevuto i bitcoin. D’altra parte, la sentenza indica anche che l’accusato non ha privato (“despojado”) i querelanti dei bitcoin. Cosa significa allora la frase “non sono stati privati dei bitcoin”? Secondo la RAE, “despojar” è: “privare qualcuno di ciò che ha”. A priori, è contraddittorio. È come se il bitcoin fosse stato ricevuto e trasmesso; ma poi, successivamente, si disintegra, evapora, scompare come se fosse un esperimento quantico dove piccole particelle di bitcoin si incontrano in più realtà diverse contemporaneamente, o hanno la capacità di apparire e scomparire costantemente (principio di sovrapposizione).
D’altra parte, la frase menziona il verbo impadronirsi (“apoderarse”) per riferirsi al bitcoin, in uno dei suoi passaggi. Ne deduciamo che non sfugge, quindi, alla possibilità di prendere possesso della cosa o di esserne proprietario. Qualcosa che non si potrebbe dire dell’aria o di qualsiasi elemento non suscettibile di appropriazione (res extra commercium). Tuttavia, e nonostante ciò, quando la sentenza afferma che “non sono stati spogliati/privati (“despojados”) dei bitcoin” sembra contraddire quanto sopra e creare uno scisma tra la realtà e il territorio giuridico.
Restituire i bitcoin
- “La giurisprudenza di questo Tribunale (“Sala”) ha espresso l’obbligo di restituzione dei beni oggetto del reato“.
- “il bitcoin non è qualcosa che può essere restituito, poiché non è un oggetto materiale, né ha lo status giuridico di denaro“.
- “Consente di utilizzare il bitcoin come attivo…..a titolo oneroso o di scambio in qualsiasi transazione bilaterale“.
- Il bitcoin è “un attivo patrimoniale di carattere immateriale, sotto forma di unità di conto dove si immagazzinano tutte le transazioni in maniera permanente in un database denominato blockchain.
- “Per quanto gli elementi di prova giustifichino che il contratto di investimento è stato stipulato consegnando …i bitcoin e non gli euro…, il Tribunale d’ appello (“de instancia”) non può accordare la restituzione dei bitcoin”.
Da queste parti della sentenza si evince che il bitcoin può essere scambiato, ma il fatto che non si tratti di un oggetto materiale ne preclude la restituzione, secondo la Corte Suprema. Non sono d’accordo. Pertanto, la domanda ovvia è: se non è suscettibile di ritorno, non è anche suscettibile di consegna? Il fatto che il bitcoin non abbia le condizioni di denaro per la Corte Suprema non dovrebbe indurci all’errore di descriverlo come qualcosa che non c’è e non esiste.
Bitcoin come attivo immateriale
- “Il Bitcoin non è altro che un attivo patrimoniale immateriale”
- “sotto forma di unità di conto”
- “Il bitcoin è una unità di conto della rete con lo stesso nome”
In primo luogo la sentenza afferma che il bitcoin è un bene immateriale e poi indica che gode di una forma. Questo ci fa dubitare, a priori, della sua qualificazione come immateriale (senza forma). Ci obbliga a porci le seguenti domande: Questa unità di conto è ospitata in uno spazio intellettuale ed è immateriale? O in uno spazio sensibile percepibile dai sensi? Infine, tale unità di conto non può essere condivisa fisicamente? Un Bitcoin è un Semper Augustus? Questo misterioso tulipano che non sappiamo se esistesse veramente o solo si trattava di una rappresentazione ideale disegnata su carta? Nel 1635 i bulbi di Semper Augustus furono venduti per 6000 fiorini che equivaleva ad una lussuosa villa nel centro di Amsterdam. Il bitcoin non è un “Semper Augustus”. Gli elementi “sensibili” (corpus mechanicum e technicum) del bitcoin sono:
- “Hash” (funzioni crittografiche univoche) che chiudono i blocchi.
- Le “scritture contabili”: documento elettronico conservato all’interno del Blockchain che dicono chi (quale indirizzo) possiede, riceve e trasferisce cosa.
- Chiave pubblica e una privata per la crittografazione
- Il wallet è un portafoglio virtuale che memorizza le chiavi pubbliche e private che danno diritto all’utente di utilizzare i bitcoin.
Non si tratta quindi di un atto potenziale. Non è un elemento che deve nascere o crescere. Esiste ora e per sempre dal momento in cui la transazione viene registrata nella blockchain, che non dorme nel “mondo delle idee”, ma in un mondo reale e verificabile attraverso la crittografia. Una volta effettuata questa prima analisi, esaminiamo tutti questi aspetti in modo più approfondito, recuperando i fatti.
Cosa comporta la sentenza
Comporta che si rifiuti la pretesa dell’accusa di restituire i bitcoin. E quindi il danno viene concretizzato con il valore in euro dei bitcoin alla data del loro trasferimento nel 2014 più un indennizzo che consiste nella redditività che si sarebbe prodotta tra il momento dell’investimento e la data di scadenza dei rispettivi contratti. Ma veramente i bitcoin non sono suscettibili di restituzione? L’interpretazione, come abbiamo già sottolineato, non la condivido perché per fondamentare la decisione si afferma che “il bitcoin non è suscettibile di restituzione” quando invece, sì, che sarebbe possibile fare una restituzione dei bitcoin attraverso una nuova operazione.
la Legge spagnola parla della restituzione dei beni come prima scelta. Ma per la cassazione il fatto che i bitcoin non siano cose materiali sembra anche impedire di qualificarli come beni. E qui si apre il dibattito sulla natura giuridica dei bitcoin. Inoltre, il fatto di essere rappresentazioni digitali di valore, pur non avendo una forma fisica, non dovrebbe essere un motivo per negare la loro esistenza, perché sarebbe come negare il digitale. Il fatto che, secondo la sentenza, non si tratti di un oggetto materiale (né la considerazione giuridica del denaro), non dovrebbe essere un ostacolo, inoltre, all’applicazione della dottrina che La Corte Suprema stessa allude all’obbligo di restituire qualsiasi bene oggetto del reato, perché nella nozione di qualsiasi proprietà rientra sia la proprietà materiale che quella immateriale.
L’ingiustificato arricchimento
L’accusato è rimasto con il bitcoin, li ha usati o venduti? Non lo sappiamo. E sicuramente è molto rischioso ammettere, senza alcun tipo di dubbio, che l’imputato si sia beneficiato di un aumento del valore dei bitcoin. E non possiamo nemmeno dire con assoluta certezza che l’imputato non se ne sia approfittato. Siamo nel campo delle ipotesi. Sappiamo che l’imputato non è riuscito a provare che ha eseguito le operazioni. Ed era necessario provare questa circostanza per difendersi dal reato di truffa. L’ipotetico uso successivo dei bitcoin non ha fatto parte integrante, almeno alla luce del contenuto della sentenza, dell’attività probatoria. Ad ogni modo, è opportuno prestare attenzione a questo tipo di reato in cui entrano in gioco i bitcoin perché altrimenti potrebbe essere estremamente redditizio per il truffatore prendere e restituire il valore dei bitcoin a 400 euro, conservando per sé, ipoteticamente, tutta la rivalutazione che il bene ha potuto avere negli anni a seguire, quindi, producendosi un eventuale e presunto ingiustificato arricchimento.
Il giudice nega la sostanzialità materiale del bitcoin e, quindi, se il bitcoin non può essere restituito, resta solo da reinterpretare il danno in euro come il debitore avrebbe preferito, visto l’enorme aumento sperimentato dal bitcoin tra il 2014 e il 2019. La questione è che in Spagna non esiste un precetto simile (1278 codice civile italiano). Tuttavia, la Corte Suprema, come abbiamo visto, utilizzando altre argomentazioni giuridiche, applica la soluzione sicuramente voluta dall’imputato, senza, in questo caso, che quest’ultimo abbia un’ obbligazione facoltativa passiva che gli permettesse di scegliere se pagare in moneta di corso legale (euro) o in criptovaluta.
Conclusione
Detto ciò, in questo caso parliamo di un enorme aumento del valore del bitcoin dal 2014 ad oggi, però potrebbe essere stato il contrario. Sicuramente, nella sentenza si intravede una decisione di non vincolarsi alle grandi oscillazioni di un valore ancora non riconosciuto ufficialmente. Il problema è che l’interpretazione data dalla Corte di Cassazione Spagnola obbligherà gli abogados/avvocati in Spagna e in Itaila a fare uno sforzo in più per reinterpretare il bitcoin in sede giudiziaria, soprattutto per quanto riguarda la loro natura giuridica. Ecco la mia definizione:
La natura giuridica dei bitcoin corrisponde a “un bene mobile, intellegibile e sensibile, che naviga in un contesto “phygital”, atipico e fungibile, di carattere patrimoniale. È un oggetto di diritto suscettibile di appropriazione, negoziazione e trasmissione per mezzo di un sistema blockchain di carattere transnazionale, con regole private condivise tra tutti gli utenti, che aspira – senza esserlo ancora – ad essere moneta di corso legale e le cui funzioni principali sono metodo di pagamento contrattuale e un’ altra forma di investimento sui generis di natura finanziaria”.